Capitolo 46

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Francesco's POV
Facevo avanti e indietro lungo il corridoio dell'ospedale ormai da ore. Ero entrato in ambulanza con Tommaso, ormai privo di sensi. Ero lì, seduto in disparte, con la testa tra le mani, mentre il veicolo correva a sirene spiegate verso il pronto soccorso.
La camicia bianca di Tommy era ormai intrisa di sangue e il rosso vivo si estendeva a macchia d'olio su tutto il tessuto.
Appena arrivati, i medici l'avevano portato subito in sala operatoria. La sua vita era appesa a un filo.
E, in quel momento, io ero al di fuori, aspettando. Avevo chiamato i nostri amici, Armanda e Gaia, la quale purtroppo non sarebbe riuscita a venire subito, in quanto si trovava in Belgio.
Le due donne di casa Zorzi erano scoppiate in un pianto disperato, ma Armanda, forte come non mai, aveva chiuso in fretta la telefonata, per mettersi subito in macchina.
Mi appoggiai contro una parete, scivolando giù lentamente. Singhiozzai. Tommaso si era preso una pallottola per me. Quel colpo era indirizzato a me. Dovevo fare qualsiasi cosa per tenerlo lontano. Ero io a dover proteggere lui, ero io a doverlo calmare. E, invece, la mia agitazione aveva aggravato la sua. Non sarebbe successo nulla di tutto ciò, se solo io fossi riuscito a farlo tranquillizzare.
Le lacrime ricominciarono a scendere e scossi la testa, sconsolato.
'Fra, ehi'-la voce di Andrea Zelletta mi fece alzare la testa.
Appena il mio sguardo incontrò il suo, il labbro inferiore mi tremò e scoppiai a piangere, disperato.
'Fra, andrà tutto bene. Tommaso tornerà da te'-mi sussurrò lui.
'È colpa mia, Andre, non ho saputo proteggerlo'-dissi con la voce rotta dai singhiozzi.
'No, Francesco, non ti permetto di dire una cosa del genere. Mi hai spiegato in modo frammentario, ma so per certo che non sia stata colpa tua'-ribadì lui.
Gli occhi del mio amico erano lucidi. Si sforzava di non piangere di fronte a me, ma, appena Stefania fece il suo ingresso nel reparto, avvicinandosi a noi, finalmente scoppiò anche lui, vedendola in lacrime.
Si catapultò su di noi, stringendoci in un abbraccio materno, ma allo stesso tempo cercava qualcuno che rispondesse al suo gesto, confortandola.
Cercammo di farci forza a vicenda, ma il dolore mi stava attanagliando gli organi interni.
Ero spaventato.
Ero arrabbiato.
Ero frustrato.
Ero annebbiato dalla sofferenza.
Il mio ragazzo era in una sala operatoria, lottando tra la vita e la morte, e io non ero con lui. Al suo posto avrei dovuto esserci io.
'Fra, vuoi qualcosa alle macchinette?'-mi chiese Stefania, asciugandosi gli occhi.
Io scossi la testa in segno di diniego, la voce non voleva uscire. Mi faceva male la pancia e sentivo nello stomaco un buco incolmabile. O meglio, un vuoto che solo Tommaso poteva riempire.
Mi alzai da terra, dopo minuti fermo lì, e andai ad aprire la finestra per respirare un po' d'aria fresca.
Anche Tommaso aveva bisogno d'aria, ma non volevano concederglielo. Se fosse sopravvissuto, gli avrei donato anche la mia. Gli avrei donato ogni mio respiro.
Qualcuno mi toccò il braccio, risvegliandomi dai miei pensieri.
'Armanda'-sussurrai, abbracciandola stretta a me.
'Tesoro'-mormorò lei di rimando, le lacrime scorrevano sul suo viso.
Mi passai una mano tra i capelli, nervoso.
'Ce la farà. Tommaso combatte da tutta la vita, lo sai meglio di me'-affermò lei.
'Armanda, l'ho visto in una pozza di sangue, l'hanno colpito a sinistra, io...'-iniziai, parlando velocemente e in modo febbrile-'...ho paura'-terminai con un sussurro.
'Anch'io, Francesco, ma lascia spazio alla speranza. Fallo per te e fallo per Tommy'-mi disse lei, posando una mano sul mio cuore e accennando un piccolo sorriso.
Io ricambiai, ma ero certo che il mio assimigliasse più ad una smorfia.
'Gaia?'-chiesi.
'È disperata. Sta cercando un volo dell'ultimo minuto per raggiungerci'-mi spiegò-'Viktor dovrebbe essere con lei, non la lascia da sola, per fortuna'.
Io annuii, facendole intendere di aver capito.
Ci andammo a sedere su dei seggiolini scomodi, attaccati alla parete. Anche Stefania e Andrea, i quali erano andati a prendere qualcosa da bere, tornarono, posizionandosi accanto a noi.
Il trucco di Stefania era sbavato ovunque.
'Sta arrivando Simone'-ci informò-'fortunatamente, eravamo qui vicino per lavoro'.
'Elisabetta arriverà tra un paio d'ore'-continuò Andrea-'cerca di fare il prima possibile'.
Le lancette dell'orologio attaccato al muro scandivano il tempo, lasciando che il rumore del ticchettio fosse l'unico suono in quel corridoio, al quale si aggiungevano a volte dei singhiozzi, provenienti da qualcuno di noi.
Le ore passarono, interminabili. Anche Elisabetta ci aveva ormai raggiunti e si era unita alle carezze, agli abbracci, alle pacche sulle spalle in caso di bisogno. Si era mostrata fortissima, più di quanto lo fosse effettivamente. Infatti, poi, parlando con Armanda, si era lasciata andare ad un lungo pianto liberatorio.
Tommaso era ormai sotto i ferri da dodici ore. Non ero in grado di sentire la fame, la sete, la stanchezza, niente di niente, solo un immenso dolore, come un coltello che si conficcava nel petto e rimaneva lì, senza venire estratto.
Finalmente, la porta della sala operatoria si aprì e ne uscì un dottore.
'Siete la famiglia di Tommaso Zorzi?'-chiese.
Sì, eravamo la sua famiglia. Tutti. Ognuno di noi era parte di lui.
'Sì, io sono sua madre. Mi dica pure'-dichiarò Armanda, stringendo la mano di Stefania, pronta a qualsiasi evenienza.
'L'operazione è stata lunga e complessa, ma Tommaso è stato fortunato nella sua sfortuna. La pallottola ha sfiorato il cuore di o,2 millimetri, un nulla che poteva andare a compromettere la sua vita.
Ora, devo dirvi che Tommaso è entrato in coma. Gli abbiamo indotto anche quello farmacologico, ma ci era già entrato all'interno della banca, subito dopo il colpo. Quando gli effetti del coma farmacologico cesseranno, non sappiamo ancora quando e se si risveglierà da quello naturale. Signora, mi dispiace sottrarla all'affetto dei suoi cari in questo momento, ma avrei bisogno che mi seguisse per visionare la cartella clinica di suo figlio'-aggiunse il dottore, rivolto verso Armanda.
Lei, dal canto suo, si alzò e lo seguì.
Le parole del chirurgo mi si accavallavano nella testa.
'0,2 millimetri'.
'Compromettere la sua vita'.
'Coma'.
Non sappiamo quando e se si risveglierà'.
'Fra, andrà tutto bene'-disse Stefania a bassa voce, accarezzandomi la schiena.
L'odore di disinfettante, il quale si era ormai insinuato nelle mie narici, e quell'ambiente grigio e freddo mi fecero venire la nausea.
E, infatti, mi alzai, fiondandomi al bagno più vicino e rigettando tutto ciò che avessi nello stomaco.
'Butta fuori tutto'-mi disse la voce di Elisabetta, che era accorsa da me.
Mi pulii la bocca con il dorso della mano, per poi sciacquarmi per bene al lavandino lì accanto.
Racchiusi le mani a coppa e lasciai che l'acqua riempisse quella concavità, dopodiché la gettai anche sul mio viso.
'Va tutto bene, Fra'-continuò Eli, affiancandomi-'continua a tenere accesa la speranza'.
Dopo aver detto ciò, mi lasciò un bacio sulla spalla, coperta dalla camicia, per poi lasciarmi il mio spazio.
Speranza.
Era la seconda volta che mi veniva detto di tenerla viva. Nel mio petto, la sentivo. Era come una fiamma che continuava ad ardere, senza mai spegnersi. A tratti si affievoliva, ma non cessava mai di esistere.
Tommaso doveva vivere, doveva riaprire gli occhi, doveva tornare a sorridere.
Era passato così poco tempo, eppure quelle ore che avevamo vissuto distanti erano sembrate un'eternità. E io ero lì, circondato dall'amore delle persone che mi volevano bene, mentre lui si trovava a lottare da solo, chiuso in una stanza spoglia, in cui solo l'odore di disinfettante regnava.
Sospirai, guardandomi allo specchio e appoggiando i palmi delle mani attorno al bordo del lavandino. I polpastrelli divennero bianchi, a causa della troppa forza che stavo esercitando.
Avrei avuto voglia di spaccare qualsiasi cosa mi capitasse a tiro. E stavo per farlo, ma poi le parole di Tommaso risuonarono nella mia testa.
'Francesco, ricordati sempre che spaccare tutto e mettere a soqquadro la stanza non risolverà i tuoi problemi'-mi aveva detto, in un'occasione in cui avevo portato il lavoro a casa e ciò mi aveva reso nervoso.
'Prenditi una camomilla, se ne hai bisogno'-aveva aggiunto, ridacchiando, con il suo solito tono ilare, per poi aggiungere-'Rimboccati le maniche e lotta, io sarò con te'-aveva continuato.
Così, mi diressi verso le macchinette a prendere qualcosa che mi calmasse. Scelsi un tè, sebbene non mi facesse impazzire, ma la camomilla non era presente.
Inserii la moneta e attesi.
Il suono del tè ormai pronto mi riscosse dai miei pensieri. Quando, però, tirai fuori il bicchiere, il suo contenuto cadde a terra.
Calciai il distributore in malo modo.
"Fanculo"pensai, "io lotto, ma tu non ci sei".
Ti prego, Tommy, torna a lottare con me.
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Ciao cuoricini!
Sono appena uscita da scuola, scusate per l'attesa.
Non so se questa scena possa essere banale, se così fosse, me ne dispiaccio.
Vi voglio bene e a presto❤️

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