Wilmington

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Una folata di aria fresca le fece venire la pelle d'oca e la fece stringere nel cardigan beige che stava indossando.
Odiava i primi giorni di marzo, quando non sapeva mai bene che cosa indossare, quando il tempo era sempre così indeciso. Odiava l'indecisione quasi quanto odiava il freddo.
Strinse tra le mani la tazza azzurrina, scaldandosi i palmi. Il suo sguardo era fisso davanti a sé, sulla strada poco trafficata. Erano ormai tre anni che abitava in quella villetta, in un bel quartiere di Wilmington, nel Nord Carolina, circondata da una comunità che non aveva assolutamente idea di chi lei fosse.
Si era ripromessa di mantenere un profilo estremamente basso e che ogni cinque anni avrebbe cambiato paese, per non destare sospetti nel vicinato. Il suo periodo più semplice fu sicuramente quando rimase per quasi nove anni a Los Angeles: una città grande le avrebbe assicurato di entrare in contatto sempre con persone differenti e fare amicizia non rientrava sicuramente nei suoi piani. Los Angeles le permise inoltre di superare la morte della madre, alla quale era molto legata. Ma tutto sommato, non poteva aspettarsi di poter rimanere con lei ancora per molto, una donna di 96 anni con un tumore al pancreas l'aveva accompagnata già per più tempo di quanto era stato prospettato dal medico che l'aveva in cura.
Dovette allontanarsi dalla città quando cominciò a sentire che qualcuno la stava cercando, che le persone iniziavano a farsi domande su di lei, sul suo passato e sulla sua vita. In fondo non era proprio vero che in una città grande nessuno si sarebbe accorto di lei. Ma alle persone di Wilmington rispondeva sempre che si era trasferita perché era stanca del caos della città.

Due bambini, capelli castani e non più di 14 anni, camminarono davanti al vialetto di Liv con un pallone da calcio sotto al braccio, chiacchierando allegramente a voce alta. Si voltarono e la salutarono con la mano, distratti. Lei ne ricopiò il movimento, alzando un angolo delle labbra in un sorriso, prima di riappoggiarsi con i gomiti alla staccionata in legno del portico. Non voleva sembrare scortese o, peggio ancora, sospetta, quindi tendeva a salutare un po'tutti e successe più volte che si ritrovò a scambiare qualche parola con le persone che incontrava in coda al supermercato o al parco quando andava a correre la mattina presto.
Sapeva che stavano cominciando a girare voci su di lei. Sapeva che qualcuno aveva proposto ai propri figli o nipoti di andare a presentarsi alla giovane che viveva tutta sola nella casa verde salvia in Makie Street. Sapeva anche che la gente si chiedeva che cosa avesse di così strano quella ragazza per non avere un fidanzato, amici o parenti che andassero a trovarla di tanto in tanto. In tre anni al suo campanello avevano suonato poche persone, tutte del posto, corrieri o venditori porta a porta.
Peccato - pensava lei – che loro non sapessero che le persone che non andavano a trovarla non lo facevano per pigrizia, non curanza o antipatia, semplicemente non potevano farlo perché erano già morte.

Dalla finestra semi aperta della casa accanto proveniva un buon profumo di dolci fatti in casa.
"Buongiorno Olivia!" una voce squillante interruppe il silenzio accompagnato fino a quel momento solo dai primi uccellini che erano tornati dopo la stagione fredda ed avevano fatto il nido sul ciliegio del giardino anteriore.
"Buongiorno signora Moore, che buon profumo!" disse lei, alzandosi ed avvicinandosi alla siepe che separava le due case.
"Thomas e Benjamin sono finalmente andati a pesca, così posso dedicarmi ai miei adorati dolci!" rispose la donna, sbattendo energicamente uno strofinaccio a quadri rosso e bianco, poggiandoselo poi sulla spalla ed avvicinandosi a Liv, che stava in piedi ferma dietro alla siepe con gli occhi fissi su di lei. La signora Moore era una donna sui quarantacinque anni, capelli corvini a caschetto e le labbra costantemente tinte con un rossetto rosso, scarpe lucide con un piccolo tacco e vestiti in fantasia che le battevano al polpaccio.
"Era da giorni che vedevo la sua canna da pesca pronta sotto il portico." constatò Olivia, bevendo un sorso del suo thè verde che ormai si stava raffreddando.
"Sono giorni che chiede a suo padre di portarlo, ha addirittura fatto tutti i compiti ieri pomeriggio appena tornato da scuola per poter essere libero oggi! – disse la donna ridendo, composta – E tu invece che programmi hai?" domandò.
Olivia scrollò le spalle inclinando il viso di lato.
"Non lo so, credo finirò di sistemare il giardino sul retro, vorrei piantare delle rose." dichiarò infine.
La donna rise e si guardò intorno, poi si sporse verso di lei come se le dovesse fare una confidenza.
"Ho notato un giovane avvicinarsi alla tua porta, ieri sera. Era molto carino." ridacchiò, ammiccando.
La ragazza la guardò confusa e alzò un sopracciglio. Non aspettava visite e soprattutto nessuno di sua conoscenza sapeva dove fosse.
"Suvvia, non puoi nascondere molto in un quartiere come questo. – continuò la signora Moore, rimettendosi ritta e riprendendo tra le mani lo strofinaccio, dandogli un'altra sbattuta – Ma se non me ne vuoi ancora parlare, immagino sia una storia che deve ancora sbocciare! Ora perdonami, ma credo che la mia torta sia quasi pronta."
Le due si congedarono e Liv tornò in casa, chiudendosi a chiave la porta alle spalle.
Qualcuno si era presentato alla sua porta ma non aveva suonato.
Impossibile, probabilmente avevano sbagliato casa.

Poggiò la tazza ormai vuota sul bancone della cucina e si incamminò verso il salotto. Si sedette sul divano, incrociando le gambe e facendo sprofondare la schiena nei cuscini color caffelatte. Guardò la propria immagine riflessa nel televisore spento. Le punte dei capelli ricci e biondo scuro le stavano solleticando la pelle del ventre, non coperto dal crop top che indossava sotto al cardigan, mentre gli occhi grigi erano fissi in quelli del suo riflesso.
Cercò tastoni il telecomando ed accese la tv, buttando la testa all'indietro e rilassando i muscoli.
Non riusciva a togliersi dalla mente le parole della sua vicina ficcanaso. Chi la stava cercando? Che cosa volevano da lei? E soprattutto perché non avevano suonato al campanello
Probabilmente avevano sbagliato casa.

Rimase davanti al televisore per quasi un'ora, continuando a cambiare canale non appena vedeva comparire l'odiosa pubblicità di quelle merendine che andavano molto in voga in quel momento, piene di robe chimiche che lei si era imposta di non mangiare più. La domenica era una giornata così noiosa ed erano solo le dieci e mezzo del mattino, non poteva fare altro che sperare in un miglioramento.
Scelse un canale che trasmetteva musica, alzando di qualche tacca il volume e dirigendosi verso la cucina canticchiando insieme alla cantante dai capelli colorati in TV. Prese la tazza tra le mani e aprì l'acqua, cominciando a strofinarla energicamente, per poi asciugarla e rimetterla nell'anta insieme alla sola altra tazza che possedeva. Si allontanò quindi tornando verso la televisione che aveva cambiato canzone, facendo chiudere l'antina con un gesto della mano, da lontano.
Aveva deciso che non avrebbe più utilizzato i suoi poteri per evitare che qualcuno la potesse vedere, ma alcune abitudini così comode erano difficili da mandare via.

Il campanello suonò una volta. Il cuore le balzò in gola.
Un altro trillo, subito dopo il primo.
Prese veloce il telecomando e abbassò il volume del televisore, quasi a zero.
Suonarono di nuovo. Erano veramente insistenti.
Aprì un cassetto ed estrasse un coltello da cucina, stringendo l'impugnatura nera tra le dita.
Le persone normali non accolgono la gente con i coltelli. – si disse, poggiando piano l'arma sul tavolo della cucina.
Di nuovo, un altro squillo. Sapevano che era in casa.
Si fece scrocchiare le spalle, un brutto vizio che aveva sin da piccola, e si avvicinò alla porta bianca. Si mise in punta di piedi e poggiò l'occhio contro lo spioncino per poter vedere chi potessero essere gli ospiti indesiderati e tanto insistenti.
Il sangue le si raggelò nelle vene. Chiuse gli occhi per alcuni istanti, prendendo in considerazione l'idea di non aprire. Se ne sarebbero andati prima o poi, non potevano rimanere lì per tutto il giorno.
Poggiò la schiena contro alla porta e si coprì il viso con le mani, pregando che se ne andassero al più presto.
"Olivia, sappiamo che sei dietro alla porta. Apri. È importante."
Merda.
Fece un respiro profondo e portò una mano sulla maniglia, aprendo lentamente.

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