Magica

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Chiuse gli occhi per qualche istante, pronta al boato sordo che ne avrebbe preceduto il colpo. Intorno a loro, inaspettatamente, calò silenzio.
Riaprì piano gli occhi e fu in grado di vedere che alcune persone avevano lo sguardo fisso su di lei, altri sul centro della strada, con lo sguardo terrorizzato e bianco di paura. Non era riuscita a salvarlo. Alzò lo sguardo quando sentì le sue urla. Sean fluttuava a mezz'aria e la macchina era ferma a qualche metro da lui. Era stata lei. Valutò per qualche istante che cosa fare, poi fece scendere bambino e vettura di nuovo sull'asfalto. Simon gli corse incontro e lo strinse tra le braccia. Qualcuno andò a controllare che il conducente stesse bene. Altri invece erano con occhi e cellulari puntati su di lei. Stava per scoppiare a piangere. Lo S.H.I.E.L.D. l'avrebbe trovata, ora. Era riuscita a fuggire una volta, non ci sarebbe riuscita di nuovo. Ne era sicura.
I suoi pensieri vennero interrotti da un abbraccio improvviso. Abbassò lo sguardo e vide Sean stretto alla sua vita che la guardava emozionato, con gli occhi lucidi dalle lacrime e dalla meraviglia. Non vedeva l'ora di poter dire ai suoi compagni di classe che la signorina Vasilevsky era magica.
"È magica, signorina Olivia!" urlò. Alzò lo sguardo verso Simon che si stava avvicinando a loro con fare disorientato.
"I-io..." disse piano lei. Si era messa in pericolo. L'avrebbero trovata. Ma almeno Sean era salvo.
"Olivia..." sussurrò piano l'uomo, abbracciandola impulsivamente e ringraziandola ripetutamente. Aveva salvato la vita a suo figlio e non aveva idea di come ringraziarla. Non aveva nemmeno idea di che cosa dire, dato che a quanto pare aveva davanti a sé una mutante.
"Io devo andare, perdonatemi." disse quindi lei, guardandosi intorno e cercando di sfuggire a tutti gli occhi che aveva fissi su di lei. Poteva sentire un macigno schiacciarle il petto e bloccarle il respiro.

Non si voltò per salutare la compagnia di quella mattina, correndo in mezzo al parco e dirigendosi verso il proprio appartamento. Le chiavi faticavano a rimanere strette tra le sue mani che stavano tremando e dovette provare e riprovare più volte ad inserirla correttamente nella serratura. Finalmente riuscì ad aprire la porta ed entrò, sbattendosi la porta alle spalle.
Accese la luce e cacciò un urlo, irrigidendo le braccia davanti a sé e spalancando le mani.
Steve e Sam erano a mezz'aria, come sollevati dall'aria.
"Cosa ci fate qui!?" gridò lei, non distogliendo lo sguardo da loro, mentre poteva sentire il suo cuore cominciare a rallentare il battito. Era ancora furiosa con Steve, per quello che le aveva fatto.
"Siamo venuti a cercarti..." provò a spiegarle Steve. Lei lo cacciò contro al muro, facendogli sbattere la schiena sull'intonaco bianco. Il ragazzo si lasciò scappare un mugolio, portandosi la mano sulla spalla e massaggiandola appena.
"Zitto. – lo fulminò con lo sguardo, avvicinandosi a Sam che era ancora immobile con i piedi ad un metro dal pavimento – Cosa ci fate qui, Sam? Siete venuti a portarmi dai vostri amichetti dello S.H.I.E.L.D.?"
Sul suo viso vi era stampato un mezzo sorriso. Sembrava estremamente docile e indifesa, ma poteva percepire la rabbia nella sua voce e la cattiveria nel suo sguardo. In quel momento riusciva a vedere quello sguardo che Bucky non era mai riuscito a spiegare a parole.
"Siamo venuti per riportarti a casa." le disse Sam, stringendo i pugni preparandosi a fare la stessa fine dell'amico. Ma non successe nulla. Pochi istanti dopo riuscì a sentire i suoi piedi toccare di nuovo terra. La ragazza si allontanò da loro, con uno sguardo disgustato, dirigendosi in cucina.
"Non verrò mai con voi. Non mi fido delle persone che mi vendono come un esperimento." sbottò mentre prendeva dal frigorifero un bicchiere di acqua. Non aveva più usato i suoi poteri da quando era fuggita dallo S.H.I.E.L.D. un anno prima.
Sam e Steve la seguirono e rimasero a guardarla dalla porta. Il biondino guardò l'amico con uno sguardo sconfortato.
"Come sei fuggita dallo S.H.I.E.L.D.?" le domandò Steve a mezza voce, aveva ancora paura che lei lo colpisse.
La ragazza si voltò e porse due bicchieri ai ragazzi, poi li invitò a sedersi al tavolo, di fronte a lei. I due esitarono, poi si misero seduti, in silenzio, pronti ad ascoltarla.

L'uscio si aprì lentamente e uno dei soldati colpì all'interno, sparando il sedativo.
All'unisono, alzarono lo sguardo verso la telecamera. Sembravano guardare dritto negli occhi dell'uomo dai capelli grigiastri dietro il monitor, che ancora sorrideva. Ma il viso degli uomini era confuso.
"Voglio vedere l'interno." sibilò l'uomo battendo sul tavolo con il palmo della mano. La donna schiacciò alcuni tasti e la videocamera si avvicinò alla porta. Era vuota. Non vi era nessuno. Solo una sala deserta. L'uomo imprecò e diede altri due pugni sul tavolo. Prese il microfono e premette con forza il tasto rosso, avvicinando le labbra all'oggetto.
"Entrate. E se dovesse diventare pericolosa, non esitate ad ucciderla." il suo sguardo era freddo e sterile, fisso sul monitor in bianco e nero che ora stava seguendo un drone all'interno dell'abitazione.
Riuscì a vedere la cucina ed il salotto, entrambi in ordine. Poi salirono le scale. Una camera degli ospiti, con un letto ed un materasso sui quali giacevano piegate con cura alcune lenzuola. Proseguirono. Il bagno adiacente alla camera era immacolato, le antine chiuse e la doccia ancora umida. Doveva essere per forza in casa o, per lo meno, non molto lontana. Era impossibile che l'avessero lasciata scappare così. Entrarono in camera. Le coperte erano senza alcuna piega, l'armadio semi vuoto ed i comodini non avevano nulla sopra. Aprirono un cassetto. Poterono scorgere un flacone di pastiglie per la tosse, alcune caramelle, un libro sgualcito con un vecchio segnalibro al suo interno ed un pacchetto aperto di fazzoletti. Uno degli agenti guardò l'altro e scosse il viso, poi aprì anche il cassetto del comodino sulla sinistra. Allungò piano la mano. Questo cassetto era sicuramente stato toccato da qualcun altro, era troppo in disordine. Frugò la suo interno, facendosi spazio tra altre caramelle, post-it usati, alcuni scontrini e delle foto a cui apparentemente poco teneva, dato che erano spiegazzate.
"Libero." disse uno dei due con tono di sconfitta.
Era riuscita a fuggire. Com'era possibile.
"Ricontrollate le telecamere. Muovetevi!" gridò l'uomo cominciando a percorrere avanti e indietro il corridoio centrale del furgone, buttando di tanto in tanto gli occhi sugli schermi.
"Signore..." una voce in fondo al furgone richiamò la sua attenzione. Corse verso di lui, facendo muovere tutta la struttura, spingendolo con la mano e sedendosi al suo posto.
"Piccola stronza." sibilò con i denti stretti, battendo di nuovo un pugno sul tavolo e facendo cadere un portamatite semi vuoto.
Sullo schermo grigio, la ragazza stava uscendo dal retro della casa. Si voltò quindi verso la telecamera con un sorrisetto impertinente sulle labbra. Inclinò la testa di lato e alzò una mano verso di essa. Per qualche istante, tutte le telecamere sembrarono avvolte da un tornado. Quando tornarono funzionanti, la ragazza era scomparsa.
"Dovete trovarla ed ucciderla. O io ucciderò tutti voi." gridò.
Altre squadre uscirono a setacciare il paese, con fucili e pistole carichi e nascosti per passare inosservati. Intanto, sul furgone, l'uomo si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, alzando a fatica una sola mano e riavviando il video. Lo bloccò nel vedere il viso della ragazza. La odiava. Era una terrorista ed un'assassina e avrebbe voluto ucciderla con le sue stesse mani.

Olivia era ora seduta davanti ai gate dei voli intercontinentali, col viso coperto da un cappello di paglia ed un paio di grossi occhiali da sole.
"Dove va, signorina?" le chiese una signora anziana che le si era seduta accanto. La osservò per qualche istante e si tolse gli occhiale, poi le sorrise dolcemente.
"Cork, Iranda." rispose ampliando il sorriso, mentre osservava un aereo prendere il volo fuori dalla grande vetrata.
"Per lavoro?" le domandò di nuovo la donna. Lei rise e scosse il capo.
"Per amore, allora. – continuò l'anziana, ridendo con aria sognante. – Voi giovani siete così romantiche, anche io lo ero alla tua età!"
La ragazza rise appena e abbassò lo sguardo, giocherellando distrattamente con un anello argenteo.
"L'ho lasciato a New York." sussurrò piano, stringendo le labbra tra di loro, riportando poi lo sguardo sulla vetrata davanti a sé. Poteva sentire il cuore in gola. Si era spostata già numerose volte, eppure questa volta era diverso. Avrebbe salutato James per sempre.
Steve le aveva fatto capire, mentre tornavano a casa dal ristorante, che si trovava in pericolo. Che avrebbe dovuto andarsene. Oltre ad essere triste per la separazione con Bucky, ora era terrorizzata per la sua stessa vita.
Questa paura non le passò fino al momento in cui non vide la hostess dai capelli biondi chiudere il portellone. Finalmente, poté tirare un sospiro di sollievo. 

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