Madrid

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"E in tutti questi anni non ti sei mai sposata? Non hai mai avuto dei figli? Una famiglia?" le domandò Sam. Era estremamente curioso circa la sua vita. Lei scosse il capo, notando le dita di Bucky tormentarsi nervosamente sotto al tavolo di legno.
"Sono stata con un ragazzo per quasi tre anni, però." aggiunse veloce.
"Com'era?" chiese di nuovo lui. Lo stava facendo apposta ora. Bucky gli era seduto davanti con la mascella contratta e lo sguardo fisso dei suoi occhi, fulminante. Non lo voleva sapere. Non avrebbe voluto sentire complimenti gratuiti su un ragazzo che era andato a letto con la ragazza di cui probabilmente era ancora innamorato.
"Carino." si limitò a dire lei. Steve rise e poggiò teatralmente i gomiti sul tavolo, sorreggendosi il mento con i palmi delle mani.
"Racconta." la invitò. La ragazza si voltò veloce verso Bucky, il quale non riusciva a nascondere quell'espressione schifata che aveva stampata in volto.
"Racconta..." ripeté lui, alzando un angolo delle labbra. Tutto sommato, lei era rimasta sola per tantissimi anni e non poteva sperare sarebbe stata senza nessuno per tutto quel tempo. Non poteva e non voleva in alcun modo farla sentire in colpa.
"D'accordo... - rise appena, scuotendo il viso davanti all'insistenza dei due ragazzi. – Si chiamava Marcos."

Era il 1968 e Olivia si era appena trasferita a Madrid, lasciando i genitori a Doncaster, dove vivevano in quel momento. Le permettevano spesso di spostarsi, di tanto in tanto, per sfuggire agli occhi indiscreti di chi non la vedeva mai invecchiare e cominciava a farsi domande su di lei.
"Si è trasferita per studiare." dicevano sempre. Poi, qualche anno più tardi, si sarebbero trasferiti anche lor, come ogni volta.
Madrid era una bella città, soleggiata, calda e allegra. Le piaceva stare lì. Nonostante i primi momenti incerti in cui passava le notti in un motel lontano dal centro, ben presto venne assunta come cameriera in un ristorante e riuscì a permettersi un piccolo appartamento a qualche minuto a piedi da Plaza del Sol.
Una sera, l'ultima ondata di clienti riempì di nuovo il locale. Era stanca. I piedi erano stretti nei tacchi neri che indossava e la gonna rossa che le batteva al polpaccio era davvero ingombrante. In più, quella sera si presentò un grande gruppo di uomini che avevano appena finito il lavoro e la chiamarono più e più volte – a suo avviso – solo per darle noia.
"Otra cerveza, porfa!" continuavano a ripetere. Poi poteva sentire alcuni commenti sul suo corpetto nero di pizzo.
Riuscì a liberarsi di loro solo alle due del mattino. Quando vide la sua collega battere l'ultimo scontrino, entrambe si scambiarono uno sguardo d'intesa e si lasciarono scappare un sospiro liberatorio. Finalmente poteva tornare a casa, slacciarsi quello stupido corsetto e togliersi quelle scarpe infernali. Si avvicinò a lei e si buttò scomposta con il petto sopra al bancone.
"Abbiamo fatto più mance stasera che in due mesi che lavoro qui." affermò la ragazza prendendo il barattolo in vetro colmo di banconote. Per quanto odiassero i viscidi che entravano nel ristorante, erano sempre estremamente ricchi e lasciavano delle belle mance.
"Non vedo l'ora di andare a comprare quegli stivaletti di pelle che ho visto da Flora Villareal, con queste mance mi daranno pure il resto!" rise la collega, smistando le banconote in due pile uguali. Izbel era una ragazza sui venticinque anni di Portorico, trasferita a Madrid per amore qualche anno prima dell'arrivo di Olivia. Erano diventate subito amiche e spesso uscivano insieme per fare compere o andare a bere qualcosa nei bar in centro. Adoravano spettegolare sui clienti abituali o confidarsi quanto fosse carino il nuovo lavapiatti svedese che era appena stato assunto.
Prese il proprio mazzetto di banconote e se lo mise in tasca, poi indossò il cappotto ed uscì salutando il titolare seduto ad un tavolino, intento a fare chiusura di cassa. Camminò verso casa dolorante nelle sue scarpe laccate. Il rimmel che si era messa, le stava ora macchiando la guancia rosea ed il rossetto rosso stava svanendo. Girò prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo due volte a destra. Si tolse le scarpe. Erano insopportabili. Arrivò finalmente davanti alla porta di casa e cercò le chiavi, entrando di corsa e salendo le scale due gradini per volta. Notò una pila di scatole davanti ad un appartamento al secondo piano, ma era troppo stanca per curiosare. Finalmente era a casa. Chissà che cosa ci facevano lì quelle scatole.
La risposta la ebbe il giorno successivo, quando scendendo le scale distrattamente si imbatté in un giovane uomo dai capelli corvini e gli occhi azzurri. Per un istante, le sembrò di vedere Bucky sotto ad un cappello di feltro ed una giacca blu con delle righe verticali bianche e sottili. Scosse il viso. Il volto di James era stato sostituito da uno sconosciuto.
"Buenos dias, muñequita." le disse lui. Lei si lasciò scappare una risata nervosa. Il suo accento era così sexy.
"Buenos, señor." rispose con il suo evidente accento americano. Lui le prese la mano e ne sfiorò il dorso con le labbra. Poi le sorrise. Wow.
"Non è di Madrid, o sbaglio?" domandò l'uomo in un inglese quasi perfetto. Lei scosse il viso.
Marcos era un agente di borsa appena tornato nella sua terra natale dopo alcuni anni a New York come broker, pronto per aprire una propria azienda. I due uscirono insieme qualche sera più tardi. Lui le raccontò dei suoi viaggi e lei dovette mordersi la lingua per trattenersi dal raccontare i suoi. Per lui, era troppo giovane per aver viaggiato così tanto.
Non passò molto tempo prima che lui le chiedesse di andare a vivere insieme, in una grande villa in città. Olivia smise anche di lavorare al bar e diventò la sua assistente e segretaria. Sembrava tutto veramente perfetto.
Per quanto fosse invaghita di lui, lei non riuscì a smettere di pensare per un solo istante che, forse, lo amava perché le ricordava terribilmente James. Il suo modo di fare dolce e misterioso, la sua risata contagiosa, il modo in cui le prendeva la mano mentre entravano ed uscivano nei negozi la domenica pomeriggio in cerca delle scarpe più belle da abbinare al suo nuovo e lussuoso abito da sera. A volte, soprattutto la sera quando erano a dormire, chiudeva gli occhi e si sorprendeva ad immaginarsi Bucky accanto a lei, che la stringeva tra le braccia e le sfiorava distrattamente la pelle calda e morbida con la punta delle dita. Marcos non seppe mai dei suoi poteri. Sapeva che presto se ne sarebbe andata.
Lui le chiese di sposarlo una sera, mentre erano a cena in un bellissimo e costosissimo ristorante sulla spiaggia di Cannes, dove erano andati in vacanza. Lei rifiutò. James non sarebbe stato così prevedibile, pensava.

"Quindi non ti sei sposata con lui per colpa di Bucky?" domandò esasperato Sam con gli occhi spalancati ed una mano tesa verso il moro davanti a lui. Non sapeva darsi una spiegazione. In fondo non aveva tutti i torti, aveva una vita all'insegna del lusso con un uomo affascinante, ricco e che la amava davvero. Lei rise e, imbarazzata, annuì.
Sentì una mano sfiorarle la coscia, poi stringerla piano. Sorrise appena, e poteva essere sicura che anche Bucky lo stesse facendo, in quel momento.
"Dunque, ora tornerete insieme?" chiese Steve, diretto. Era dal loro primo incontro che avrebbe voluto chiederglielo, ma non aveva trovato il modo ed il momento giusto. Poi, dopo quella mattina, si era convinto ancora di più di quanto fossero effettivamente fatti l'una per l'altro.
"Non lo so. È difficile e presto." rispose secca lei, senza dare tempo al ragazzo di aggiungere qualcosa. Per quanto lo amasse, era convinta che non si sarebbe potuta dimenticare il suo passato e lui nemmeno. Era davvero una situazione complicata e Olivia viveva nel terrore di stare male di nuovo. Voleva capire che cosa voleva davvero, valutare attentamente ogni sua scelta. Decidere se seguire il suo cuore oppure la sua testa, qualcosa che, purtroppo, aveva sempre fallito a fare.
Le opzioni fino a quel momento erano due: rimanere con Bucky e provare a dimenticare il proprio passato, accettare quello che sarebbe successo e provare ad andare avanti, oppure sparire di punto in bianco, come aveva sempre fatto. 

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