Visione

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Scosse il viso e se lo coprì con le mani, facendo pressione sugli occhi, sentendo tutti i muscoli irrigidirsi. Era il momento di prendere quella stupida pastiglia e dormire. Ma non poteva. Non ne avrebbe più avute, e per trovare un'altra farmacista alle prime armi che gliele potesse vendere con una ricetta scaduta da un anno, corretta a penna e che aveva creduto alla scusa 'Sono per la mia anziana nonna malata, ne ha bisogno, il medico ha sbagliato a scrivere la data.' ci avrebbe messo secoli. Sospirò e si coprì il viso con le coperte, facendo sprofondare la testa nel cuscino mentre cercava di ignorare le voci che provenivano dalla stanza accanto. Chi aspettava ospiti in piena notte?

"Come hai saputo che si trovava qui?" domandò Steve guardando l'uomo sulla porta, la sua voce si stava alzando.
"Me lo ha detto Nat quando sono rientrato dalla missione meno di un'ora fa. Parlava di una ragazzina che era in grado di fare fluttuare l'acqua, una tua amica. Non poteva che essere lei. Dimmi dove l'hai trovata. Sono anni che la sto cercando, lo sai benissimo." la voce dell'uomo dai capelli scuri era apparentemente calma e pacata, ma in fondo ad essa si poteva percepire un senso di angoscia.
Steve andò a sedersi sul divano poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia e prendendosi la testa tra le mani, valutando che cosa fare.
"Non posso permetterti di farle ancora del male." disse infine, dopo alcuni istanti di silenzio.
L'uomo alzò gli occhi al cielo ed incrociò le braccia al petto.
"Ti ricordo che non era mia intenzione farle del male. Non ero nemmeno io." sbottò di colpo. Steve gli fece cenno di abbassare la voce, indicando poi con un veloce e quasi impercettibile movimento del capo la porta chiusa della sua stanza.
Si avvicinò lentamente ad essa, poggiando la mano sulla maniglia e abbassandola piano. Non riuscì a vedere altro che un cumulo di coperte nella penombra. Fece un passo dentro la stanza, ma una mano lo fermò trattenendolo da una spalla.
"La spaventerai." sussurrò pianissimo Steve, notando le coperte muoversi appena quando il fioco fascio di luce colpì il muro opposto della stanza
Annuì e richiuse la porta, congedandosi velocemente dall'amico e indossando il cappuccio della felpa nera che indossava, uscendo dal palazzo senza più dire nulla.

Olivia aveva gli occhi sbarrati, fissi sulla parete bianca accanto al letto, quella che per qualche istante aveva visto illuminarsi ma aveva avuto troppa paura per voltarsi a vedere chi fosse. Solo Steve, probabilmente. Si abbassò le coperte e si mise seduta sul letto, buttando di nuovo un occhio al flacone delle pastiglie. Avrebbe dormito. Scosse il viso e le coprì veloce con il top che si era tolta poco prima. Occhio non vede...
Si portò le ginocchia al petto lasciandosi scappare un flebile sospiro. Come le aveva detto mille volte la dottoressa Redding, forzarsi a dormire sarebbe stato solo peggio e l'avrebbe sicuramente portata ad avere degli incubi. Si chiese come mai quella incompetente non le avesse mai prescritto nulla per le sue visioni o per la sua insonnia. Tutto sommato non era assolutamente sano non dormire per giorni, anche se il suo gene mutante glielo permetteva.
Ogni tanto si ricordava di maledire suo padre. Era stato lui ad averle iniettato quello stupidissimo siero color pece per i suoi altrettanto stupidi esperimenti.

Alexiei Vasilevsky era uno dei medici più rinomati ad Oslo, così venne chiamato con famiglia a seguito nella base segreta americana per poter lavorare ad un esperimento voluto da Churchill: creare un siero da affiancare a quello del Super Soldato che rendesse i soldati dei mutanti. Questo avrebbe permesso alle truppe Alleate di vincere una guerra sempre più imminente. L'uomo, che inizialmente si dimostrò scettico, una sera decise invece che, come per magia, questo siero poteva essere estremamente utile ed efficace.
Un pomeriggio la figlia, che allora aveva solo tredici anni, venne inviata dalla madre nel suo laboratorio per consegnargli una lettera proveniente dal cugino, Igor, molto malato. Il padre, in un momento di apparente lucidità, gridò alla figlia di scappare ma questa rimase a fissarlo confusa. Perché avrebbe dovuto scappare? E soprattutto perché l'uomo sembrava così strano? Troppe domande. In pochi istanti il padre mutò la sua espressione, diventando serio, e si avvicinò a lei velocemente. La prese per un braccio, strattonandola verso il lettino e facendola salire su di esso. Non era mai stato così severo con lei, non l'aveva mai strattonata prima di quel giorno e non le aveva mai stretto così forte il braccio fino a lasciarle dei lividi.
La ragazzina urlò, ma il laboratorio era insonorizzato. Il padre era accanto a lei e teneva una siringa tra le mani con al suo interno un liquido denso e nero come le piume di un corvo. Lei gridò di nuovo, ma l'uomo non sembrava toccato dalle urla di sua figlia. Le prese un braccio e lo fermò al lettino con una cinghia, poi si avvicinò alla sua pelle bianca e la bucò lentamente con la punta dell'ago. Altre urla. Spinse più in fondo e con un movimento lento e sadico iniettò il liquido nelle sue vene. Le guance rosse della ragazzina erano fradice di lacrime e la sua gola iniziava a bruciarle a causa delle urla.
Olivia svenne e rimase incosciente per più di una settimana. La madre piangeva al suo capezzale ed il padre andava a trovarle solo dopo le 18, il suo viso straziato. Sembrava di avere davanti due persone diverse che si scambiavano con lo scoccare dell'ora lavorativa. Dopo una lunga operazione e una lunghissima fase riabilitativa, la ragazzina si riprese completamente e cominciò a manifestare i primi poteri, creando campi di luce e controllando i quattro elementi.
Tuttavia, lo odiava. E il suo sentimento non cambiò nemmeno quando, nel 1986, questo morì di infarto.

Dalla grande finestra posizionata davanti al letto poteva vedere gli edifici illuminati di New York e il temporale che ormai stava ricoprendo la città, illuminandola ad intermittenza. Era sicura che da lì a poco sarebbe stata in grado di sentire la pioggia battere sul terrazzino.
Assottigliò gli occhi. Una figura scura si stava muovendo su quel terrazzino. Un brivido.
L'ombra si avvicinò piano alla finestra, come a volere scrutare al suo interno. Era troppo spaventata per urlare e chiamare Steve. E poi, poteva cavarsela anche da sola, come aveva sempre fatto.
Fece un profondo respiro e si alzò dal letto. La sua mano destra si illuminò appena di una fioca luce biancastra. Si avvicinò cauta alla finestra, dietro la quale la figura era immobile. Non sembrava avere paura di lei.
Si sedette sulla scrivania avvicinando lentamente la mano al vetro, rivelando il volto dell'ombra misteriosa. Trattenne il respiro. Riconosceva quei lineamenti, quegli occhi, quelle labbra.
Il ragazzo era immobile con le labbra appena schiuse, in un'espressione di sorpresa, confusione. Alzò piano la mano per non spaventarla, sapeva che era molto scossa, lo poteva vedere nei suoi occhi. Poggiò il palmo della mano al vetro e fece una leggera pressione su di esso.
Non poteva essere lui. Lui era morto. O un assassino.
Scosse il viso e deglutì lentamente, avvicinando la mano ancora di più al vetro come se questo potesse darle una spiegazione logica. Il ragazzo si abbassò il cappuccio. Era lui, non aveva dubbi. Ma non era come l'ultima volta in cui lo aveva visto, quando la sua mano metallica le stava schiacciando la trachea. I suoi capelli erano corti, ordinati. I suoi occhi non erano più iniettati di odio e sangue, erano delicatamente appoggiati nei suoi. Le sue labbra erano circondate da una barba curata, rivolte in un piccolo sorriso rassicurante. Era il James del 1943. Il James che tanto amava.
Forse stava guarendo. Le sue visioni stavano diventando più tranquille, più serene. Non vedeva più il soldato che le stava scaricando addosso un'intera cartuccia di proiettili, ma quel James gentile, educato ed affascinante che l'aveva accolta ai Giovani Alleati.
Avvicinò la mano al vetro, dove era appoggiata quella del ragazzo. Inconsciamente stava sorridendo.
La porta si aprì di colpo e lei si voltò. Steve era entrato per controllare che stesse bene e stesse dormendo. Il sorriso sulle labbra della ragazza era leggermente stralunato, ora. Lui le si avvicinò piano e le mise una mano sulla schiena.
"C'è James." disse lei piano, quasi sottovoce, voltandosi poi verso la finestra. Dietro al vetro non c'era nessuno. La sua espressione cambiò improvvisamente. Era una visione. Non poteva di certo rimanere lì per sempre e non poteva sperare che Steve la vedesse.
Il ragazzo la prese in braccio e la rimise a letto, coprendola ed accarezzandole dolcemente la guancia.
"Riposa, domani Fury ci aspetta presto." si limitò a dire Steve, uscendo poi dalla stanza.

Iniziò a piovere, come previsto. Bucky scese veloce lescale antincendio, alzando lo sguardo per l'ultima volta verso la finestradella ragazza, dirigendosi poi lentamente verso il proprio appartamento. In fondo,era felice di averla rivista.

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