Minaccia neutralizzata

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"Di che missione si tratta?" chiese Sam, osservando per qualche istante dallo specchietto retrovisore Bucky nei sedili posteriori, abbandonato ad un sonno malinconico.
"Sam... – disse piano Steve. Poteva sentire le mani strette intorno al volante cominciare a sudare. L'amico si voltò verso di lui, guardandolo appena confuso. – Devo dirti la verità."
"Cosa intendi?" lo sguardo del ragazzo di fece sempre più enigmatico. Steve rimase in silenzio qualche istante, prima di lasciarsi sfuggire un sospiro, controllando con la coda dell'occhio che il terzo stesse effettivamente dormendo.
"Tony mi ha chiesto di allontanarvi da lei." la sua voce era rotta, i suoi occhi sembravano improvvisamente lucidi e colmi di sensi di colpa.
"Spiegati." lo rimproverò Sam. Si stava innervosendo. Era convinto che Steve fosse loro amico. Amico di Liv.
"Lo S.H.I.E.L.D. la sta cercando. Le neutralizzeranno i poteri." rispose veloce. Come i cerotti, anche questa era una di quelle notizie da dare estremamente veloce. I sensi di colpa lo attanagliavano da ore e poteva giurare di sentirsi lo stomaco lacerato. Sam si voltò verso la strada, serio. Non sapeva che cosa dire. Non c'erano parole per descrivere quello che stava pensando. Il suo odio nei confronti di Steve, Tony. Nei confronti dello S.H.I.E.L.D.
"E la memoria." concluse qualche istante più tardi, dopo una lunga pausa di riflessione. Sam si coprì il viso con una mano. Bucky. Si sarebbe dimenticata di Bucky.
"Dobbiamo tornare a salvarla, Steve." i suoi occhi erano ancora fissi sulla strada davanti a sé. Le sue mani ora tremavano dall'odio e dalla paura che aveva per la ragazza. Bucky sarebbe stato ferito di nuovo. Avrebbe avuto il cuore spezzato, di nuovo. E lui non poteva permettere che succedesse.

I tre ragazzi arrivarono alla base intorno all'ora di cena. Bucky non aveva detto praticamente nulla per tutto il viaggio e Sam cominciava ad essere molto preoccupato per lui. Scesero dalla vettura e il ragazzo lasciò andare avanti Steve, il quale era atteso sulla porta da Tony, mente lui si affiancò all'amico, poggiandogli una mano sulla spalla. Bucky lo guardò con la coda dell'occhio, stringendosi nella giacca. Poteva sentire il cuore barcollare come morto ad ogni suo passo.
"Tornerai presto da lei." gli disse accennando un sorriso incoraggiante. Sperava che la ragazza fosse abbastanza forte da combattere e sfuggire all'organizzazione. Era la sua unica speranza.
La testa di Bucky faceva male. In fondo, pensava, era solo una stupida missione, non sarebbe stato nulla di diverso da quanto non avessero fatto fino ad ora. Una missione veloce, poi si sarebbero abbracciati ancora.
Entrarono nel quartier generale, dove la squadra li stava aspettando impaziente. Bucky riuscì a scorgere sui volti di alcuni una strana espressione che non riuscì a spiegarsi.
Nat gli si avvicinò e tirò un sorriso. Cosa voleva? Che cos'era successo? Sapevano qualcosa più di lui.
Si mise accanto a Wanda, la quale si morse nervosa l'interno della guancia. Ora ne era convinto, che ne sapessero più di lui. La osservò per alcuni istanti, in silenzio.
"Dimmelo, Wanda. Per favore." le sussurrò piano. Lei abbassò lo sguardo. Era stato deciso che non avrebbero detto nulla al ragazzo per evitare che lui andasse a cercarla prima dello S.H.I.E.L.D. interrompendo l'operazione. Glielo avrebbero fatto sapere solo dopo, una volta terminato il tutto. E il suo cuore si sarebbe spezzato, di nuovo.
"Che cosa le succederà?" aveva capito chi fosse il soggetto. Era sicuro centrasse la ragazza. Era convinto che le sarebbe successo qualcosa. Era in pericolo e loro lo avevano allontanato da lei di proposito.
"Ti prego Buck, non fare nulla di stupido." sussurrò lei, mentre i suoi occhi erano fissi su Tony che li stava osservando dal lato opposto della stanza. Il suo sguardo era severo. Dovevano eliminare una possibile minaccia.
Alle parole di Wanda, il ragazzo si sentì sprofondare. Una voragine si aprì sotto ai suoi piedi. Ora era sicuro che la ragazza si trovava in pericolo e lo avevano allontanato da lei.
Si alzò di scatto e camminò verso la porta. Gli occhi iniettati di sangue, le vene che gli sporgevano sulle braccia e il respiro irregolare. Doveva salvarla. Doveva proteggerla. Doveva fare tutte quelle cose che non era stato in grado di fare in tutti questi anni.
Steve gli si parò davanti, il suo sguardo era preoccupato.
"Bucky..." disse lui alzando le braccia, portandosele davanti al petto. L'amico continuava a camminare in avanti, come se non lo vedesse.
"Spostati." sibilò tra i denti, stringendo nervosamente tra le dita il pugnale che teneva nella cintura.
"Buck, posso spiegarti." provò di nuovo a dire il ragazzo, indietreggiando appena e facendo scattare la porta a vetri.
"Ti ho detto di spostarti. Devo salvarla." i suoi occhi ora stavano diventando lucidi e la sua gola secca. Sarebbe arrivato troppo tardi? E poi, da che cosa avrebbe dovuto salvarla? Lei se la sapeva cavare anche da sola. O forse no. Magari non era pronta.
Una strana forza lo costrinse ad immobilizzarsi. Provò a camminare, ma non riuscì a fare un passo.
Si voltò di scatto e vide Wanda in piedi dietro di lui, le braccia tese e le lacrime che le rigavano il viso.
"Scusami..." sussurrò piano, mentre Tony le si affiancò. Poi si mise davanti al ragazzo che lo stava fulminando con lo sguardo.
"È una minaccia per il mondo intero. Deve essere neutralizzata." rispose con un piccolo sorrisetto compiaciuto sulle labbra. Si allontanò. Bucky riuscì a sentire il cuore fare un tonfo sordo nel proprio petto. Non riusciva a capire che cosa le avrebbero fatto e i sensi di colpa per non riuscire a salvarla lo pervasero.

La ragazza stava seduta in silenzio in fondo al letto, osservando la sedia in un angolo su cui fino a poche ore prima erano buttati in disordine i vestiti del ragazzo. Avrebbe voluto dirgli così tante cose, ora. Avrebbe voluto dirgli che lo perdonava per tutto quello che era successo, che sapeva che non era stata colpa sua e che lo amava. Che avrebbe voluto una famiglia, ricominciare. Avrebbe anche voluto chiedergli di rinunciare alla squadra per una vita normale, con lei. Avrebbe. Ma non lo poteva fare. Non era nemmeno sicura che si sarebbero rivisti.
Chiuse gli occhi per qualche istante, poi si coprì il viso con le mani. Non voleva piangere ancora. Era stanca di piangere.
Nella sua testa si stavano prendendo a pugni come su un ring l'idea di partire e quella di restare. Intorno ai cordoni rossi e blu una folla che urlava. Poteva sentire le voci nella propria testa gridarle l'una e l'altra cosa. Nemmeno le mani sulle orecchie riuscirono a farle smettere. Un sospiro e si riprese.
Sentì qualcuno suonare più volte alla porta d'ingresso. Non era nelle condizioni di aprire. Se ne sarebbero andati.
Di nuovo dei colpi insistenti.
– Merda. – sbottò alzandosi e pulendosi come meglio poteva le guance rigate dalle lacrime. Per gli occhi rossi non avrebbe potuto trovare una soluzione in così poco tempo. Scese le scale sfiorando con la punta dell'indice il muro bianco alla sua sinistra. Ancora un colpo di campanello. Aveva capito, basta suonare.
Si mise davanti ad essa e la aprì lentamente.

La squadra dello S.H.I.E.L.D. era pronta all'entrata della città con i fucili imbracciati. Avevano bisogno di un piano B nel caso il sedativo non avesse fatto effetto sulla ragazza, e le armi erano la soluzione migliore al momento.
Alcune persone passarono accanto ai furgoni, ignorandoli completamente. La nuova tecnologia di mimetizzazione era stata un successo. A bordo di questi una serie di uomini e donne in giacca e cravatta stava tenendo sotto controllo l'abitazione della ragazza per assicurarsi che questa non si allontanasse. Avrebbero agito in fretta e senza che nessuno potesse vederli, una missione semplice e veloce.
"Il soggetto è fermo nell'abitazione." constatò una donna dai capelli castani con un auricolare nell'orecchio. Stava fissando lo schermo scuro davanti a sé sul quale un puntino rosso si muoveva di pochi millimetri all'interno di un perimetro di forma quadrata.
Un uomo le si avvicinò e osservò lo schermo, poi spostò lo sguardo sul monitor accanto, in bianco e nero, che mostrava l'esterno della casa.
"Possiamo entrare in azione." disse quindi con la voce roca. Sulle labbra aveva un piccolo sorriso compiaciuto.
Pochi istanti dopo, sullo stesso schermo comparvero tre uomini con una valigetta. Si stavano dirigendo verso la porta, assicurandosi di passare del tutto inosservati. Giunsero sulla veranda e suonarono un paio di volte. Nessuna risposta. Si guardarono in viso e uno di loro fece spallucce, poi bussò con forza. L'uscio si aprì lentamente e uno di loro colpì all'interno, sparando il sedativo.
All'unisono, alzarono lo sguardo verso la telecamera. Sembravano guardare dritto negli occhi dell'uomo dai capelli grigiastri dietro il monitor, che ancora sorrideva.

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