Colazione

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L'uomo era in piedi davanti a lei con un dolcissimo sorriso stampato sulle labbra. Era sicura sarebbe tornato da lei. In fondo, glielo aveva promesso che sarebbero tornati insieme. Finalmente poteva dirgli tutto quello che provava, tutto quello che non era stata in grado di dirgli fino a quel momento. Era emozionata. Un ampio sorriso le comparve in volto e sentì una scarica di adrenalina pervaderle il corpo, appena sotto alla pelle bianca.
Si avvicinò alla sua figura ancora immobile ed alzò lentamente una mano per accarezzargli una guancia. Le sue dita lo oltrepassarono. Ci riprovò di nuovo ma, anche questa volta, fu come toccare l'aria. Si rese conto che quasi poteva vedergli attraverso.
"James...?" sussurrò piano. Chiuse gli occhi per qualche istante e li riaprì. Era scomparso. Le sue stupide visioni erano ricominciate.
Entrò veloce in casa e chiuse la porta con tre mandate di chiave. Bucky non poteva sapere dove fosse, ora. Nessuno poteva saperlo. Era al sicuro, lì. Chiuse veloce le finestre e tirò le tende. Poteva sentire brividi gelidi invaderle completamente la schiena e farla tremare. Non potevano esserle tornate le allucinazioni dopo un anno.
Scosse il viso e corse in cucina, aprendo l'acqua e bagnandosi il viso diverse volte. Non poteva essere malata di nuovo. Non aveva più la ricetta rubata ad Helen. Rimase con il viso gocciolante immobile sul lavandino, con le mani che la sorreggevano quasi a fatica. Era stanca, probabilmente.

Ma la mattina dopo, la sua situazione non sembrava migliorata.
E nemmeno nei giorni successivi riuscì a evitarlo.
Lo poteva vedere al mattino, quando andava a correre, nascosto tra gli alberi o seduto su una panchina. Poteva vederlo quando andava a scuola aggirarsi tra i corridoi. Lo aveva visto anche una sera in cui aveva ordinato cinese per cena, quando si presentò con uno strano cappellino ed una polo blu elettrico. Non appena chiuse e riaprì gli occhi, davanti a lei comparve un uomo basso e magro, con gli occhi appena allungati che la stavano scrutando come se fosse una pazza.
"Grazie." disse veloce lei, prendendo la borsa e chiudendo di fretta la porta.
Si mise sul divano e aprì una confezione, prendendo tra le bacchette un boccone di riso. Poi aprì il pc con la mano libera. Lo schermo luminoso le illuminava il viso nella penombra del salotto. Marnie l'aveva convinta a scaricare Facebook, per conoscere qualcuno. Ma non ne sembrava entusiasta.
Un altro boccone e aprì la casella delle richieste di amicizia. Rifiuta, rifiuta, accetta, rifiuta, accetta, accetta, rifiuta.
Simon McKinnon.
Quasi un chicco di riso non le finì dritto in gola. Tossì ed aprì la sua pagina personale. Era cosparsa di foto con Sean. Andò a vedere le foto più vecchie e poté vedere comparire una donna al suo fianco. Capelli ramati, lisci, con la frangetta che le batteva sulle sopracciglia. Labbra rosse e occhi penetranti. Era una bellissima donna. Beth Murray. Entrò nel suo profilo e ci diede un'occhiata veloce. Non vi erano foto recenti né di Sean, né di Simon.
Accettò la sua richiesta, non prima di averne eliminate altre tre.
Poggiò la schiena al divano e mangiò altri bocconi di malavoglia.
Din!
Alzò appena la schiena. Sullo schermo era comparsa una notifica. Era Simon. Le aveva mandato un messaggio.
- Buonasera! Oggi pensavo al nostro caffè che non abbiamo ancora avuto modo di prendere... è libera domani mattina?
Aggrottò la fronte. Che sfacciato. Poi posò la scatola sul tavolino da caffè e si strofinò le mani per rispondere.
- Buonasera a lei, Simon. Domani mattina sono libera, mi farebbe molto piacere bere un caffè insieme.
Che schifo. Era così che si conoscevano, gli adulti? Non le piaceva. Ma in fondo sarebbe stato solo un semplice caffè.
Din!
- Perfetto, la aspetto domani alle 10 al Metropolitan Cafè! Temo ci sarà anche Sean, spero non sia un problema.
Sospirò. Sarebbe stato perfetto, il bambino avrebbe distolto l'attenzione da lei e dalle sue visioni.
- Nessun problema, adoro Sean! A domani!
Chiuse il pc e fece una smorfia. Tutto sommato Simon le aveva solo chiesto un caffè insieme. Sarebbe stata questione di un paio d'ore e sarebbe tornata a casa senza più problemi. Magari l'avrebbe distratta per un po'.

Anche se sosteneva di non essere per nulla interessata, la mattina successiva si era svegliata presto per prepararsi. Si era messa un abitino che le batteva al polpaccio con le maniche a tre quarti, sistemata i capelli e messa un filo di trucco. È solo una colazione, continuava a ripetersi.
Alle dieci era davanti al bar, pronta per rispondere alle infinite domande sulla sua vita che era sicura le avrebbe fatto. Chissà se chiedeva a tutte le maestre di suo figlio di uscire per un caffè. Rise.
"Buongiorno signorina Vasilevsky!" disse una voce squillante alle sue spalle. Sean la stava salutando con la mano libera mentre attraversava la strada col padre.
"Buongiorno Sean, buongiorno signor McKinnon. Chiamatemi pure Olivia, per oggi." tirò un sorriso e si strinse nelle spalle. Il bambino aveva chiesto al padre di indossare una camicia azzurrina come la sua, al collo della quale aveva appeso un paio di Rayban da sole. Lo trovava adorabile.
Entrarono e si misero a un tavolo, ordinando caffè e pancake. Il bambino mangiava con gusto i dischi ricoperti di sciroppo d'acero e cioccolato, mentre la ragazza faceva fatica a rilassarsi. Bucky era seduto a qualche tavolo da lei e la guardava con uno sguardo deluso. Ora era in piedi sulla porta. Ora dietro alla vetrata. Il suo sguardo era vuoto. Comparve dietro al bancone. Aveva il viso ricoperto dalla maschera nera e i capelli scuri che gli battevano sulle spalle. Philadelphia.
Abbassò lo sguardo e bevve un lunghissimo sorso. Poteva sentire il liquido scuro e amaro scivolare in gola e bruciarle lo stomaco. Non era amante del caffè.
"Dunque, Olivia, mi ha raccontato Sean che è arrivata da poco qui a Cork." eccola, la prima stupida domanda. Lei annuì e arricciò appena la punta del naso, bevendo altro caffè.
"Da un anno, circa." rispose poi, poggiando la tazza sul tavolo.
La conversazione fu piuttosto tranquilla, lui le chiese qualcosa sul suo passato e lei rispose di fretta, cercando di passare all'argomento successivo. Non aveva voglia di inventarsi troppe scuse, dato che non sarebbe riuscita a ricordarsele tutte. E poi sembrava che Bucky non avesse intenzione di lasciarla stare, quella mattina.

Dopo aver finito la colazione, i tre si alzarono per congedarsi.
Simon era estremamente gentile e si vedeva che era ancora impacciato con le relazioni. Tutto sommato, non poteva biasimarlo. Beth, l'ex moglie, lo stava torturando per avere più soldi di quanti avrebbe dovuto e ad ogni accenno da parte di lui di una nuova conoscenza, lei lo minacciava di chiedere ancora più soldi e portare via Sean. Non voleva davvero il bambino, solo dare noia al suo ex marito, troppo gentile per lei.
La accompagnarono fino al semaforo, dove le loro strade si sarebbero dovute dividere.
"La ringrazio per avere accettato il mio invito un po' molesto." ridacchiò l'uomo grattandosi la nuca con la mano.
"Mi sono divertita molto, e mi creda mi ha fatto piacere potermi distrarre un po' in buona compagnia."
Era sincera, in fondo.
Osservò Sean per alcuni istanti camminare a filo del marciapiede come un funambolo, con le braccia tese all'esterno.
"Ti farai male!" gli gridò il padre, tornando poi a guardare il viso della ragazza.
Era abbastanza iperprotettivo nei confronti del bambino, ma tutto sommato aveva ragione. Era l'unica cosa che gli era rimasta e non avrebbe permesso che si facesse del male in modo così stupido.
"È davvero fortunato ad avere un padre come lei, sa? Avete valutato l'idea della consulenza di cui le ho parlato qualche giorno fa?" domandò incrociando le braccia al petto, inclinando il viso di lato.
L'uomo scosse il viso.
"Non ne ho ancora parlato con Beth, non credo sia d'accordo." rispose lui veloce.
"Non deve dirglielo per forza." suggerì. Era sbagliato, in realtà, ma quel bambino aveva davvero bisogno di essere visionato da una persona competente.
Improvvisamente un forte rumore di clacson li distrasse dalla loro conversazione. I due si voltarono in fretta e sbiancarono quando sul marciapiede dove stava in piedi fino a pochi secondi prima Sean, non vi era più nessuno. Olivia si girò appena in tempo per vederlo correre al centro della strada. Cacciò un grido. Era in pericolo. Quella macchina lo avrebbe travolto.
Fece alcuni passi in avanti e si lanciò di corsa verso il bambino. Poteva percepire i fanali acciecarla, il clacson stordirla e le gomme fischiare sull'asfalto.

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