Cork

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Olivia viveva a Cork da quasi un anno, ormai. La sua vita era stata scombussolata da quel biglietto che aveva trovato nel cassetto del suo comodino. Lo aveva preso come un segno del destino: partire e cambiare vita. Una nuova, normale vita.
La sua testa, tuttavia, sembrava cominciare a peggiorare. Spesso aveva forti emicranie e giurava di poter vedere ombre che la seguivano quando andava a correre nel parco la mattina presto. La sua collega le aveva consigliato di andare a parlarne con una psicologa, ma la ragazza si rifiutò categoricamente di farlo, nonostante a lei disse che stava cercando quella giusta. Era stata assunta per una sostituzione di una maternità in una scuola elementare in periferia e per quanto sapeva di non essere abbastanza paziente per sopportare una dozzina di bambini di otto anni, era una buona fonte di guadagno e con questo poteva permettersi il piccolo appartamento che si affacciava sul parco in cui abitava.
Le sue giornate trascorrevano tranquille e monotone. Con l'arrivo della bella stagione aveva cominciato anche a frequentare il parco quasi quotidianamente, dove andava per leggere in silenzio qualche libro preso in prestito dalla biblioteca o dove seguiva un corso di yoga tutti i martedì e venerdì con Marnie, la sua collega. Era stata lei a suggerirle di andarci insieme.
Marnie era una giovane donna di ventisette anni, nata e cresciuta a Cork con la sua famiglia e il fratello maggiore, Nicholas. Aveva una strana cadenza mentre parlava, ma a quanto pare era proprio Olivia quella che veniva additata con la parlata bizzarra.
"Super americana." le dicevano sempre, mentre ridevano del suo accento. Lei non era il tipo da prendersela, per questa cosa, ed accompagnava la loro risata con un piccolo sorriso impacciato ed imbarazzato.

"Buongiorno signorina Olivia!" avevano urlato i bambini in coro al suo ingresso in classe. Nonostante lei non si sentisse adatta a passare il suo tempo con i bambini, per qualche strana ragione loro la adoravano. Forse era colpa dei suoi vestitini a fiori che sprigionavano allegria, i suoi calzini colorati che sbucavano sempre dalle scarpe, oppure l'ampio sorriso stampato sul viso.
"Buongiorno bambini, avete lasciato la comunicazione dei colloqui di oggi pomeriggio ai vostri genitori?" domandò alla classe mentre poggiava le sue cose sulla cassa. Un vocio si levò dai banchi. Avrebbe dovuto parlare con i loro genitori, ma ancora si stava domandando che cosa avrebbe potuto dire, dato che erano un mucchio di marmocchi che confondevano ancora le lettere b e d mentre scrivevano e che mangiavano la terra del cortile se le maestre si distraevano per qualche istante.
La lezione proseguì come ogni giorno. Qualche indovinello, un paio di addizioni in colonna alla lavagna e un dettato da scrivere su un foglio a righe a penna nera. Aveva imparato a ripeterlo ogni volta per sviare le mille domande che le avrebbero fatto, ma queste continuavano ad arrivare imperterrite.
"Con che penna scrivo?"
"Posso fare il titolo verde anziché rosso?"
"Quante righe salto?"
"Qualcuno mi può prestare un foglio?"
"Posso usare la matita?"
"Io non ho capito!"
Poteva sentire le mani cominciare a tremare e la testa annebbiarsi. Odiava quando parlavano tutti insieme. Sembrava quasi un rito che, prima di un dettato, tutti facessero le domande più inutili e stupide. Potevano iniziare solo dopo almeno cinque minuti di chiacchiericcio. Pazienza. Tanta, troppa pazienza.

"Avanti, prego." disse seduta dalla sua cattedra, con lo sguardo fisso sulla porta d'ingresso della stanza. Da questa comparve una donna in tailleur, labbra coperte da un rossetto rosa brillante e ai piedi un paio di tacchi altissimi e laccati. Le si sedette di fronte.
"Buongiorno, lei è la madre di...?" disse distrattamente mentre faceva passare il dito sull'elenco dei nomi affiancati alle foto dei bambini, stampato su un foglio bianco.
"Sorcha, O'Neil." rispose la donna secca. La bambina era identica alla madre, ora che la osservava bene. Stesso sguardo altezzoso e puzza sotto il naso, pensava. Le sorrise e fece un piccolo puntino accanto al nome della bimba, poi posò la penna sul foglio e le rivolse un sorriso tirato.
I genitori erano quasi tutti uguali ai figli, e questo la fece molto ridere. Le ricordava la scena iniziale della Carica dei 101, che aveva guardato e riguardato almeno un centinaio di volte. Adorava quel cartone animato.
Aspettò per qualche minuto l'ultimo genitore, il padre di un certo Sean McKinnon. Picchiettò il tappo della penna diverse volte sulla cattedra, il mento sprofondato nel palmo della mano e lo sguardo fisso davanti a sé. Mancava solo lui. Si tirò la schiena ed osservò l'orologio argenteo stretto al proprio polso. Poteva andare, probabilmente non si sarebbe presentato. Meglio. Sean era un bambino molto intelligente, ma anche veramente disordinato e con una soglia di attenzione estremamente limitata e non aveva idea di come dire al padre che, forse, avrebbe avuto bisogno di un supporto psicologico e per migliorare il proprio apprendimento.
Si alzò dalla sedia e si sistemò la gonna dell'abitino, prendendo la borsetta e mettendosela veloce sulla spalla. Finalmente aveva finito. Si diresse verso l'uscita controllando i messaggi e le chiamate sul proprio cellulare, fino a che qualcosa non le bloccò la strada.
"Mi scusi... sono il papà di Sean, mi perdoni per il ritardo. Ho fatto tardi al lavoro e ho cercato di fare più in fretta possibile..." l'uomo le stava davanti con il fiato corto e le gote arrossate. Aveva senza dubbio corso. Lei gli sorrise appena e gli fece cenno con il capo di seguirla in classe. Il signor McKinnon era un uomo alto, con le spalle larghe. Abbastanza giovane, con i capelli e la barba scuri che facevano risaltare i suoi occhi chiari. Indossava un completo grigio con una cravatta appena allentata al collo e l'ultimo bottone della camicia slacciato. Lavorava in banca, le aveva accennato il bambino un giorno.
I due si sedettero ai lati opposti della cattedra e lei poggiò gli avambracci sul piano liscio.
"Sean è un bambino molto intelligente e solare... – cominciò lei, sfregandosi distrattamente il dorso della mano con i polpastrelli dell'altra. – è sempre il primo a proporsi di aiutarmi, molto espansivo... però credo abbia bisogno di essere visionato da uno specialista. Purtroppo la sua soglia di attenzione è veramente limitata e spesso anche quando siamo in giardino a giocare, tende a distrarsi in pochi istanti."
L'uomo sembrava sapere già quello che la ragazza stava dicendo.
"Ho parlato con sua madre, ma dice che secondo lei è solo l'età e che migliorerà non appena sarà più grande..." dalle sue parole poteva notare un pizzico di astio nei confronti della donna.
"Sono sicura possa migliorare con l'età la sua situazione, ma consiglio vivamente di fare un controllo. La nostra scuola offre dei consulti gratuiti con una psicologa per i bambini che presentano questo tipo di problemi. – la ragazza abbassò lo sguardo per qualche istante ed aprì un cassetto della scrivania, dal quale estrasse un biglietto da visita, poi lo porse all'uomo che lo osservò attentamente. – Se dovesse avere bisogno, non esiti a contattarla."
L'uomo le sorrise e per qualche istante lei non riuscì a non notare i suoi occhi che brillavano e due file di denti bianchissimi ed allineati. Scosse il viso per riprendersi solo quando lui le rivolse la parola di nuovo.
"La ringrazio, signora Vasilevsky... signora? Signorina?" l'uomo sembrava estremamente impacciato nel parlare, e lei si lasciò scappare una piccola risata.
"Signorina." rispose poi veloce.

L'uomo l'accompagnò fino alla sua auto parcheggiata nei posti riservati ai docenti. Olivia si fermò davanti ad essa con i libri stretti al petto.
"Non si preoccupi per Sean. È un bambino in gamba, sono sicura sia solo un momento di confusione per lui." gli sorrise appena, poggiando la schiena contro alla portiera.
"Lo spero, già la sua vita con la madre è complicata. Quella donna è completamente indifferente al figlio." rispose lui.
Lei forzò un sorriso. Non era mai facile toccare questi argomenti.
"Ha bisogno di una figura forte al suo fianco e che lo coinvolga. Mi creda, da quello che ho potuto constatare, lei è un buon padre. Sean parla sempre di lei."
L'uomo sorrise imbarazzato ed orgoglioso.
"Ne sono felice... ora la lascio tornare a casa, è quasi ora di cena! Magari possiamo vederci per un caffè, una di queste mattine." propose lui impacciato. Erano anni che non chiedeva di uscire ad una donna. Lei annuì, aprendo la portiera.
"Volentieri, signor McKinnon."
Salì in macchina e buttò i libri sul sedile del passeggero, mettendo in moto.
Arrivata a casa, parcheggiò la macchina nel box e salì veloce in casa. Qualcuno era fermo davanti alla sua porta. La stava aspettando. Sentì una scossa invaderle la schiena e si avvicinò lentamente alla porta dell'appartamento. A poco a poco riuscì a vedere più nitidamente la figura. Si bloccò, contraendo la mascella.
"James..."

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