È venerdì, è passata esattamente una settimana dall'homecoming e non ho più rivisto Miller, forse perché pranzo con Kim in biblioteca, è arrabbiata con Pit e non la biasimo dato che si è comportato da cretino, ma ho già in mente un piano per farli riappacificare.
Questa mattina ci sarà il processo preliminare per violenza fisica a mio danno da parte di Fred, ne ho parlato con la signorina Gray, più o meno, trascurando gran parte degli avvenimenti e mi ha detto che potrei iniziare a soffrire di attacchi di panico, la verità è che ho paura che abbia ragione.
Vorrei mettere il mio solito felpone e i pantaloni larghi della tuta ma papà ha deciso per conto mio che metterò il tailleur nero che mi ha comprato per l'occasione perché 'devi essere elegante in tribunale'.
Mi guardo allo specchio e mi piaccio per davvero, faccio tre giri su me stessa di fronte ad esso, sono davvero impressionata dalla botta di autostima che mi ha dato.
Guardo il telefono e noto un messaggio di Kim che dice 'Non so che mettermi sta sera' questa sera, me l'ero dimenticata. Ci sarà la festa di Halloween in anticipo a casa di Miller, ci andrò ma solo per portare a termine il piano per Kim e Pit.
Prendo il telefono, le chiavi di casa e la giacca, esco nel vialetto e rimango scioccata a vedere chi mi trovo di fronte.
Vestito con l'outfit che avevo intenzione di mettere io trovo Miller con un occhio nero fumare una sigaretta mentre si avvicina risoluto a me. I suoi occhi, velati da un sottile strato lucido, mi scrutano attentamente nel mio nuovo abito che tutt'un tratto sento meno confortevole.
"Ti devo parlare" dice mettendo la mano sinistra in tasca mentre con la mano destra continua a tenere la sigaretta, sa quello che vuole e non chiede il permesso, che arroganza.
"Non ho tempo" dico avvicinandomi alla mia auto, vorrei davvero stare a sentire cos'ha da dirmi, un po' sono preoccupata per lui, il problema è che sono già in ritardo sulla tabella di marcia che mi ha dato papà.
Frugo nelle tasche della giacca alla ricerca delle chiavi, prego fortemente di non averle dimenticate in casa.
Invece è proprio così, mi volto per tornare dentro a prenderle quando Miller mi fa una domanda."Dove devi andare? Se vuoi ti ci accompagno così parliamo" si deve esser reso conto che non avevo le chiavi e ha giocato d'astuzia, in fondo che male c'è a farmi accompagnare da lui, così posso sapere che vuole dirmi, basta solo che non faccia troppe domande.
"Al tribunale" dico iniziando a camminare verso la sua auto. "Andiamo!" mi giro verso di lui per spronarlo a muoversi con un gesto della mano.
"Ecco perché sei così elegante" dice avvicinandosi alla portiera per aprire il veicolo. "Non è nel tuo stile ma ti sta bene" mi sorride poi, arrossisco.
È troppo gentile oggi, mi fa quasi paura.Entriamo nell'abitacolo e mette in moto, c'è un silenzio tombale interrotto solo dai nostri respiri pesanti. Dopo un po' accende la radio e mi vien voglia di cantare a squarciagola la canzone che danno, Hotel California degli Eagles, ma sono sicura che la situazione di cui Miller vuole parlare sia troppo seria per vivere questo momento con leggerezza.
"In realtà sono venuto qui perché ho bisogno di sfogarmi e non sapevo da chi andare" dice dopo esserei schiarito la voce, i suoi occhi sono ancora fissi sulla strada ma li immagino pieni di dolore dato il tono di voce.
"Tranquillo, dimmi tutto, non ti giudico" apprezzo che voglia parlare dei suoi problemi, so che è molto difficile, per questo metto da parte tutti i rancori nei suoi confronti, ha bisogno di un aiuto concreto e libero da pregiudizi.
"È da una settimana che non vengo a scuola, l'avrai notato" me ne ero resa conto, vorrei capirne il perché però. Annuisco silenziosa.
"Ho problemi a casa, sai" mi dispiace davvero, mi volto verso di lui per osservarlo meglio, la botta vicino all'occhio deve fargli molto male anche se gli dà un'aria più pericolosa.
"Da tempo le cose tra mamma e papà non andavano, ma, da quando settimana scorsa lui l'ha buttata fuori casa, mi sembra di vivere in una cazzo di prigione" stringe ancora più forte il volante, una lacrima gli riga il volto, perché il padre avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
"Non le ha lasciato neanche un soldo" è stato davvero stronzo, mi dispiace davvero per Miller.
"Non riesco nemmeno a immaginare cosa tu stia passando" non so davvero che dirgli per consolarlo, deve fargli molto male tutta questa situazione.
"Sentivo solo di potermi fidare di te come tu l'hai fatto con me" dice facendo spallucce, vorrei dirgli che per lui ci sarò quando avrà bisogno ma ripensandoci non c'è tutta questa confidenza tra di noi.
"Cambiando argomento, come mai vai in tribunale" per un momento penso di poterglielo raccontare ma decido di restare vaga.
"Niente di che, sono stata chiamata come testimone in un caso" gesticolo ansiosamente con le mani, di certo non posso raccontarglielo con la leggerezza che si ha facendo gossip.
"E posso chiederti di che caso si tratta?" dice sorridendo e voltandosi per pochi secondi verso di me, anche se per poco i nostri occhi si incontrano e mi sento in soggezione.
"Io non-" cerco di parlare ma dalla mia bocca non escono suoni, abbasso lo sguardo mentre gli occhi iniziano a diventare lucidi, non può vedermi debole, anche se fa così tremendamente male.
"Hey non devi dirmelo per forza" mi mette una mano sulla coscia, guardo le sue enormi mani sul mio esile corpo, sento i brividi su per la schiena e involontariamente trattengo il respiro.
Al semaforo rosso si ferma anche lui a guardare il contatto tra di noi ma dopo pochissimi secondi toglie bruscamente la mano, perché ne sono dispiaciuta?
Ti prometto che un giorno saprai tutto.
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Dal momento in cui ci siamo sfiorati
RomanceBrooke, una ragazza semplice ma con molte insicurezze, è cresciuta in una base militare sotto la rigida supervisione del padre e dei colleghi fino a quando, a dodici anni, decide di voler cambiare vita. Dopo pochi anni nella città nativa della madre...