27 - Brooke

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"Io non vado da nessuna parte" mi accarezza la guancia.

In questo momento mi rendo conto di quanto potesse essermi mancato, non Miller ma qualcuno con cui potermi sfogare.

È un mese che mi tengo dentro questa vicenda, senza poterne parlare con nessuno, per paura del giudizio altrui e finalmente mi sento pronta per parlarne ma non voglio farlo allontanare, cosa che sicuramente farà quando capirà che è sempre stata tutta colpa mia.

"Non fare promesse che non sai se puoi mantenere" sicuramente se ne andrà quando verrà a sepere tutto e io non avrò più qulcuno con cui sfogarmi.

"Raccontami tutto, ti prego" lo guardo per un po' mentre decido che fare, capisco di doverne parlare con qualcuno, giusto per vedere se ho superato la vicenda o ci sono ancora avvenimenti che continuano a farmi del male.

Gli faccio un cenno per dirgli di accomodarsi sul divano, osservo dove si siede e mi metto lontana, ricordo perfettamente il disagio sentito a casa sua quando si è seduto sul letto di fianco a me.

"A dodici anni quando mi sono trasferita qui ho subito fatto amicizia con Fred, il figlio dei Baker" inizio il mio racconto cercando di sembrare normale, noto Miller molto concentrato sulle parole che pronuncio, non l'ho mai visto così attento nemmeno a lezione.

"Io adoravo Fred ma due anni fa è entrato nella marina e ci siamo visti pochissimo da quel giorno, principalmente d'estate quando andavo a trovare papà" il suo sguardo cerca il mio ma rifiuto il contatto visivo, non voglio vedere il suo sguardo disprezzante nei miei confronti mentre continuo il racconto.

"Il mese scorso è arrivato qui e l'ho ospitato in casa perché era il mio migliore amico" dico iniziando a giocherellare ansiosamente con le mani, sta per arrivare la parte più difficile da raccontare.

"Un giorno papà mi ha chiamata per dirmi che sapevano che Fred era con me ma che sarei dovuta scappare via da lui" prendo un bel respiro, coraggio Brooke.

"Mi ha raccontato che avevano cacciato lui e altri cadetti poiché facevano uso di cocaina" non so più dove far vagare lo sguardo per non incontrare quello di Miller allora chiudo gli occhi prima di prendere un altro respiro e continuare la storia.

"Era colpa mia" lo guardo dritto negli occhi.

"Che stai dicendo?" chiede con tono tanto apprensivo quanto confuso.

"Ha iniziato a drogarsi perché non ricambiavo il suo amore" distolgo lo sguardo, non riuscirei a reggere la delusione nei suoi occhi.

"Da quel giorno è iniziato per me l'inferno, mi sentivo uno schifo, mi facevo schifo ma me lo meritavo, ogni singolo schiaffo me lo meritavo perché era tutta colpa mia se lui in quel momento era fuori di se" ammetto passandomi disperatamente le mani in faccia.

"Ti ha picchiata?" si allunga sul divano, mi fa alzare il mento con due dita per guardarlo negli occhi, riesco solo ad annuire in silenzio per poi continuare a perdermi nel suo sguardo compassionevole, non gli faccio schifo per quel che ho causato?

"Me lo meritavo" dico ormai non troppo convinta.

"Niente di quello che è successo è colpa tua, ok?" sposta la mano dal mio mento alla guancia, il suo tocco leggero mi fa venire i brividi lungo la schiena, siamo davvero molto vicini in questo momento.

"Io non avrei dovuto illuderlo" continuo a tenere gli occhi nel suo sguardo, non più intimidatorio come lo ricordavo.

"Non decidiamo di chi innamorarci" in effetti ha ragione. "E capisco il perché si è innamorato proprio di te" dice con voce roca e inizia a fare cerchi con il pollice sulla mia guancia.

"E perché?" chiedo non troppo sicura di voler sentire la risposta, come minimo farà una battutina delle sue rompendo l'atmosfera estremamente seria che si è venuta a formare.

"Tutti quanti ci meritiamo di essere amati, non credi?" dice togliendo la mano e cambiando completamente tono, che odio quando rispondono a una domanda con un'altra domanda.

"Ma non mi odi per quello che ti è successo?" cerco di continuare la conversazione ormai morta cambiando argomento mentre si allontana per tornare dov'era seduto prima.

"Ti dico solo che avrei potuto evitarlo ma ho preferito difenderti quando ti ha chiamata 'troia'" mi ha difesa? Non me lo sarei aspettata da lui.

"In tanti mi chiamano così, se non peggio, che differenza fa uno in più?" non so cosa voglio dimostrare ma continuo a fargli domande senza prima pensarci.

"Nessuna ragazza merita di essere chiamata così, figuriamoci una come te" adesso è lui quello che evita il contatto visivo.

"Una come me?" devo capire dove vuole andare a parare.

"Una ragazza fantastica" si volta verso di me e mi osserva attentamente.

Il suo sguardo, tornato severo e intimidatorio, incontra il mio, dolce e fragile, in un momento di debolezza psicologica.

Rimaniamo così per un lasso di tempo indefinito fino a quando arriva la battutina che tanto temevo.

"Ma anche una grandissima rompipalle" dice allungandosi sul divano per scomigliarmi i capelli.

Per evitarlo mi muovo in modo convulso ma peggioro soltanto le cose perché cado dal divano tirandomi dietro pure lui.

Sul pavimento, con lui sopra di me, il suo sguardo punta dritto nei miei occhi e la mia mente torna a quando è successa la stessa cosa all'auditorium, e pensare che quella volta credevo volesse baciarmi.

Inizia ad avvicinarsi pericolosamente, i nostri nasi entrano in contatto e ormai è sempre più vicino, il suo respiro caldo sul mio collo mi fa venire i brividi lungo la schiena, deglutisco rumorosamente tanto sono imbarazzata.

Le sue labbra stanno per sfiorare le mie quando squilla il telefono, involontariamente sbuffo come se mi dispiacesse.

Mi metto seduta sul pavimento e allungo la mano sul divano alla ricerca del telefono che trovo solo dopo un po'.

Nel mentre Miller scatta in piedi e balbetta qualche scusa incomprensibile per poi dire che se ne deve andare.

Lo saluto con un gesto della mano mentre mi porto il telefono all'orecchio.

"Papà?" rispondo ansiosa, tutte le volte che mi chiama porta cattive notizie.

"Brooke, bambina mia, sei arrivata a casa?" la sua voce suona molto preoccupata.

"Sì papà, sana e salva" dico con molta enfasi.

"Volevo sapere se stessi bene e dirti che sono riusciti ad arrestare il complice di Fred" annuncia con un tono più calmo e entusiasta.

"È una bella notizia" dico in con normalità.

"E sembra disposto ad aiutarci a trovare Fred per uno sconto di pena" il suo entusiasmo è alle stelle.

"È fantastico!" gli dico con un finta gioia, non so perché ma mi sento profondamente triste e vuota al momento.

"Ti devo lasciare, ciao" torna poi in tono severo.

"Ciao pa'" gli dico iniziando ad andare al piano di sopra per farmi un bagno caldo.

Dal momento in cui ci siamo sfioratiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora