21 - Logan

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È passata una settimana e ho già racimolato un po' di soldi per la mamma, magari non in modo legale ma ho un nobile scopo.

Sta mattina mio padre mi ha trattato ancora male, molto male, sono stufo e perciò sto vagando per la città non so nemmeno io alla ricerca di che cosa.

Riconosco il quartiere di Davis, subito mi viene in mente l'immagine del suo pianto liberatorio tra le mie braccia e mi dico che non c'è male a sfogarsi come lei ha fatto con me.

Mi accendo una sigaretta mentre mi dirigo verso la casa sua, non ancora arrivato alla porta la vedo uscire. I miei occhi si posano sul suo corpo, non più nascosto dalla solita felpona, e non riesco a smettere di guardarla insistentemente.

"Ti devo parlare" dico forse con troppa prepotenza per uno che si vuole solo sfogare.

"Non ho tempo" dice dispiaciuta avvicinandosi a un'auto, sembra preoccupata, come se fosse in ritardo.

Inizia a cercare nelle tasche della sua elegantissima giacca, presumo alla ricerca delle chiavi, vorrei andarmene ma rimango a fissarla come un imbecille, dopo un po' non le ha ancora trovate allora mi viene un'idea.

"Dove devi andare? Se vuoi ti ci accompagno così parliamo" spero di averla convinta.

"Al tribunale, andiamo!" prendo un bel respiro e mi avvicino al mio veicolo, coraggio Logan.

"Ecco perché sei così elegante, non è nel tuo stile ma ti sta bene" le sorrido mentre apro la portiera per entare, mi piace farle i complimenti e vederla arrossire.

"In realtà sono venuto qui perché ho bisogno di sfogarmi e non sapevo da chi andare" dico dopo un silenzio assordante cercando di sembrare il più normale possibile.

"Tranquillo, dimmi tutto, non ti giudico"

"È da una settimana che non vengo a scuola, l'avrai notato" dico prendendo coraggio dopo la sua affermazione.

"Ho problemi a casa, sai, da tempo le cose tra mamma e papà non andavano, ma, da quando settimana scorsa lui l'ha buttata fuori casa, mi sembra di vivere in una cazzo di prigione" stringo il volante, una lacrima inizia a rigarmi il volto.

"Non le ha lasciato neanche un soldo" in questo momento provo un mix pericoloso tra rabbia, tristezza, delusione e voglia di vendetta.

"Non riesco nemmeno a immaginare cosa tu stia passando" dice con la voce spezzata, l'ultima cosa che avrei voluto era farle pena.

"Sentivo solo di potermi fidare di te come tu l'hai fatto con me" dico con quanta più noncuranza possibile.

"Cambiando argomento, come mai vai in tribunale?" sono stanco si parlare di me, voglio sentire qualcosa da lei.

"Niente di che, sono stata chiamata come testimone in un caso" è in ansia, provo a porle un'altra domanda ma me ne pento subito dopo.

"E posso chiederti di che caso si tratta?" mi volto di scatto verso di lei in preda ai sensi di colpa, anche se per poco i nostri occhi si incontrano e mi sento in debole, perciò li riporto subito sulla strada.

"Io non-" non riesce a parlare, capisco che è il momento di essere empatico e farle capire che non era mia intenzione metterla in questa situazione.

"Hey non devi dirmelo per forza" le appoggio una mano sulla coscia, al semaforo rosso mi giro verso di lei e mi rendo conto di quello che ho fatto, subito tolgo la mano perché lei mi odia e fa bene a farlo: sono uno stronzo, egoista e narcisista, pieno di problemi e pure un delinquente.

Ti prometto che migliorerò.

Dopo interminabili momenti di silenzio siamo quasi arrivati quando le squilla il cellulare, è suo padre, cerco di sentire cosa si dicono ma non ci capisco molto perché a parlare è prevalentemente lui.

Lei sembra intimorita, trema come una foglia mentre ripone nella sua tasca il cellulare, si volta verso di me e, con lo sguardo spento e la pelle più pallida, mi pone una domanda con voce tremante.

"Cambio di piano, conosci un posto sicuro dove posso stare?" mi osserva, non la guardo a mia volta solo perché sto guidando, ma percepisco il suo sguardo preoccupato e intimorito su di me.

"Come scusa?" ho sentito bene? È così strana dopo la telefonata.

"Non sapresti dirmi un posto dove posso andare a dormire per un po'?" allora avevo sentito bene, mi sembra strano ma non faccio domande.

"Puoi venire a stare da me" dico senza pensare. È una cattiva idea, lo so, ma voglio aiutarla dal momento che lei è stata a sentirmi.

Sta per dire qualcosa ma la interrompo con un gesto della mano, tanto so già che vuole rifiutare.

"Pensaci, nessuno saprà che sei da me, nessuno mai potrebbe immaginarlo" spero di averci visto bene.

I nostri occhi si incontrano e spero fino all'ultimo che un cenno di convinzione possa apparire nel suo sguardo o sui suoi connotati ma niente, rimane immobile a fissarmi come se fosse un manichino inanimato.

"Allora?" la sprono forse un po' troppo impaziente. Sbuffa e annuisce, riesco sempre ad avere quello che voglio alla fine.

Faccio inversione a U per dirigermi a casa mia, sento il suo respiro irregolare risuonare nell'abitacolo, ho un'improvvisa voglia di abbracciarla ma mi trattengo, non capisco come possa anche solo essermi passato per la mente.

Arrivati a casa mia ignoro le domande di mio padre e la faccio accomodare nella stanza degli ospiti di fianco alla mia. Le chiedo se posso andare a casa sua a prendere qualcosa ma svia la domanda diventando sempre più vaga.

"Puoi parlarmene se c'è qualcosa che non va" le dico sedendomi accanto a lei sul bordo del letto. Le nostre ginocchia si sfiorano e, per questo, si allontana un po'. Il suo respiro è sempre più pesante e giocherella con le sue mani nervosamente.

"Credi che voglia davvero tenermi tutto dentro?" si gira di lentamente verso di me con gli occhi lucidi, la sua voce bassa e spezzata mi fa pentire della mia insistenza nei suoi confronti.

"Ci sarò quando avrai la forza per parlarmene, il pranzo sarà pronto tra mezz'ora" le accarezzo la guancia e me ne vado da quella stanza diventata ad un tratto troppo opprimente.
Tutta questa dolcezza non è per niente da me.

Torno in camera mia e guardo i messaggi ricevuti in mattinata: tutta gente che parla dell'abituale festa di Halloween a casa Miller, ora come ora non sono di certo nel mood per festeggiare ma nessuno deve capirlo quindi decido che nel pomeriggio mi metterò all'opera per organizzare.

Dal momento in cui ci siamo sfioratiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora