Capitolo 12. Connessioni

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Nonostante la reticenza ad ammetterlo apertamente, purtroppo tutto quello che Nieve aveva detto corrispondeva a verità. 

Eravamo agli sgoccioli, le nostre possibilità di successo erano legate a qualcosa che non sapevamo neanche minimamente come ottenere e, a piovere sul bagnato, non avevamo neanche più l'amuleto con noi. 

Per quanto lo si volesse negare, sulle nostre teste pendeva una spada pericolosamente affilata.

Mi alzai piano, aiutandomi con le braccia, e mi avvicinai a Nieve. Quando fui abbastanza vicino, potetti scorgere una sottile lacrima scenderle lungo la guancia. 

Abbassai lo sguardo, sospirando silenziosamente.

<<Non devi dire così...>> le dissi piano, in modo da non farmi sentire dagli altri.

<<Perché non dovrei?!>> mi rispose brusca<<Se dobbiamo morire, tanto vale iniziare ad accettarlo.>>

<<Ma è anche troppo presto per darci già per finiti.>>

<<Ah davvero?!>>

Si voltò verso di me, sollevando la testa per guardarmi dritto negli occhi. Sembrò sul punto di controbattere, forse addirittura di gridarmi contro. Poi, però, le sue spalle si riabbassarono e la sua espressione si fece triste e malinconica. La voce le tremava lievemente.

<<Non voglio morire...>> disse in un sussurro <<Voglio tornare a casa...>>

Quando disse "casa" notai di avere molta difficoltà a immaginarmi il significato che quella parola potesse avere per lei. Parlava del villaggio? Di un'altra città? Sapevo che Nieve era già stata strappata troppo presto dal concetto di famiglia, quando da piccola, dopo il divorzio dei suoi genitori, lei e la madre erano venute a vivere al villaggio. Inizialmente aveva vissuto molto male la separazione dal padre, dalla città d'origine, dal suo passato. Una ferita che aveva ricucito solo col tempo, imparando a conoscere nuove persone – fu allora che conobbe me e Khorine – e ad accettare il villaggio come parte del suo quotidiano. Spesso mi ero chiesto se la sua determinazione nello studio e la sua volontà di essere ammessa all'università non coincidesse col desiderio di fuggire da una realtà che le stava ancora troppo stretta. 

Qualunque fosse la risposta a questa domanda, immaginavo che, intrappolata in questo mondo, dovesse sentire la lontananza da casa in maniera molto più complessa e difficile rispetto a noi.

<<Vorrei crederti...>> mi disse, mentre gli occhi le ridiventavano lucidi <<Lo vorrei così tanto...>>

Le presi dolcemente la mano tra le mie. Esitò un attimo, ma alla fine non la ritrasse.

<<Non so...>> continuò <<...dammi una ragione per credere che c'è ancora speranza.>>

La guardai negli occhi e il suo dolore divenne il mio, la sua ansia, le sue aspettative, ma anche il desiderio di voler credere nelle nostre possibilità. Come quando c'eravamo ritrovati da soli nella radura, dopo la tragica fine di Iri, anche in quel momento ci ritrovammo a condividere la fragilità e la paura. Più la guardavo più sentivo dentro di me crescere uno spontanro desiderio di proteggerla.

<<Torneremo a casa, Nieve. Troveremo un modo per risolvere tutto...>> mi fermai attimo, stringendo forte la sua mano e guardandola negli occhi <<...E non ti lascerò da sola. Non l'ho fatto prima e non lo farò adesso. Nessuno di noi morirà qui.>>

<<Ne sei sicuro?>> un'altra lacrima le scese sul viso.

<<Te lo prometto.>>

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