Dohko

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Uscito dal Tempio di Dioniso, Dohko guardò malinconicamente verso il sole. L'aver scoperto di non essere stato la causa della morte delle precedenti Guardiane avrebbe dovuto farlo sentire meglio, o almeno così credeva . Eppure la consapevolezza di essere stato manipolato per tutto quel tempo gli pesava come un macigno nel petto. Se solo lui e i suoi precedenti compagni non avessero dato ascolto a Sasha, la precente Athena, la quale anch'essa plagiata da Zeus era convinta di aver agito ne giusto dando il consenso all'isolamento delle Terre di Dioniso. Se solo fossero andati a controllare personalmente la condizione delle Guardiane. Forse avrebbero svelato il folle di Zeus e il mondo le avrebbe viste non più come streghe, ma come i saggi e miti spiriti della natura che in realtà erano.
Adesso come allora la stanchezza fisica e mentale della Guerra Santa si era insinuata negli animi dei Cavalieri superstiti, i quali non volevano più lottare. Coloro che avevano donato il cuore alle belle streghe erano ormai morti e chi provava del sincero affetto nrei loro confronti rischiava di essere accusato di istigare una nuova guerra. La tensione a quei tempi era palpabile al Grande Tempio. Zeus questo lo sapeva, aveva osservato attentamente le guerre nei secoli tra Athena e Hades, assistendo da dietro le quinte al dolore e alla rassegnazione di chi, pur avendo un animo puro si era visto costretto a scegliere tra la sua vita e quella del nemico, di coloro che malincuore erano stati costretti a combattere contro gli amici di un tempo. Dopo una tale scia di morte e devastazione chi mai avrebbe voluto combattere una nuova guerra?
Forse in cuor suo Dohko aveva sempre saputo che le Guardiane erano ancora vive in qualche modo. Era il suo istinto a sussurrarglielo. Avrebbe forse potuto chiedere aiuto a qualche Cavaliere minore che ancora nutriva del sincero affetto nei confronti delle povere sventurate, oppure sarebbe potuto andare lui stesso a controllare la situazione. Ma, consapevole delle circostanze, il Cavaliere non osò agire. Chi si sarebbe mai opposto alla guida di Ahena, chi avrebbe mai rischiato la diserzione per quelle donne?
Dohko non seppe mai comprendere se la sua fosse mancanza di coraggio o devota e cieca fedeltà verso la Dea, la sola cosa certa era che il Cavaliere s'impose, giorno dopo giorno, di dimenticarsi delle Guardiane, di considerarle un lontano ricordo dentro un sogno, fino al giorno in cui i loro volti e i nomi perduti no sarebbero diventati una nebbia sbiadita nella sua mente. E come lui così fecero il resto dei Cavalieri, nessuno parlò più dei fluenti capelli delle Guardiane, del dolce profumo dei fiori di campo che decoravano i verdi prati attorno ai boschi di pini marittimi, delle dolci canzoni cantate in quella misteriosa e melodiosa lingua. Le Terre di Dioniso vennero lentamente dimenticate, facendo così inconsapevolmente il volere di Zeus.
La storia ora si ripeteva con quasi le medesime modalità, ma questa volta sarebbe stato solamente Dohko a portare sulle spalle il peso di un fardello troppo grande per poterlo condividere con i suoi compagni. Si sentiva nuovamente traditore e giocato, non voleva trascinare i suoi compagni, appena riportati in vita, in una guerra che mai avrebbero potuto vincere, ma allo stesso tempo avvertiva nel profondo del cuore che, se anche questa volta fosse rimasto inerme davanti ai trabocchetti di Zeus, le Guardiane sarebbero state condannate per sempre.
Assorto nei suoi pensieri Dohko volse lo sguardo verso il sole avvertendone il rassicurante tepore per tutto il corpo. Si guardò attorno grattandosi svogliatamente il bruno capo e fece per muovere un passo verso una qualsiasi arena di allenamento, sentiva l'impellente bisogno di sfogare fisicamente la tensione che l'incontro con Dioniso gli aveva provocato, quando, all'improvviso, una testata di crespi e spettinati capelli neri gli attraversò, sghignazzando, la strada.
- Caspita che brutta faccia che hai Dohko! Quel rompiscatole di Dioniso deve averti fatto una bella ramanzina eh! In ogni caso non preoccuparti, solitamente è mio fratello Ichingut a metterlo su in questi casi! Se mi fai un favore ci penso io a sistemare tutto!- Disse il piccolo Kipnut strizzando il vispo occhio destro come segno d'intesa verso il Cavaliere. Lo sguardo acuto e sbarazzino dei grandi occhi blu del bambino dissiparono le cupe nubi che oscuravano l''animo della Bilancia. Con fare da fratello maggiore Dohko si accovacciò davanti a Kipnut scompigliandogli i capelli arruffati e colmi di nodi.
Era impossibile non affezionarsi a quella piccola peste, alle sue marachelle, alla sua goffa ostinazione durante i duri allenamenti ai quali obbligava i cavalieri di Athena. Era sicuramente un giovane guerriero promettente, se non fosse stato per la troppa irruenza e testardaggine che soventemente gli precludevano il buon esito degli scontri.
Un genuino sorriso fece capolino sul viso del tormentato Cavaliere, - Non ti sfugge niente piccolo Demonietto! Purtroppo credo che questa volta tuo fratello maggiore, il Patriarca , sia innocente. Però se vuoi il favore te lo faccio lo stesso!-. Gli azzurri occhi di Kipnut strabuzzarono dalla gioia, aprì le piccole e rosee labbra per pronunciare la sua tanto agognata richiesta, ma qualcosa andò storto. La voce fredda ed autoritaria di Lotte spense in lui ogni barlume di entusiasmo. - Maledetto Nano nullafacente! Sarebbe questo il tuo modo di adempiere ai tuoi obblighi verso le Terre di Dioniso? Abbandonare me e quei due gemelli impediti nel bosco, per giunta lasciandoci i tuoi sacchi di grano?!-. Il Centurione d'aria, carico di grigi e pesanti sacchi in juta, inchiodata con lo sguardo il bambino. - Kipnut! Se quello che dice Lotte è vero, il tuo non è stato un comportamento valoroso!-, disse il Cavaliere con un tono dolcemente severo. La bionda fanciulla, la quale, presa dall'ira, non si era resa conto della presenza della Bilancia si prostrò in un delicato inchino. Le bionde trecce le superarono le bianche spalle cadendo verso il suolo, dopodiché con innata grazia si rialzò riprendendo i pesanti fardelli. - Vogliate scusarmi sommo Dohko, l'insolenza e la maleducazione di quel mostriciattolo mi fanno scordare le buone maniere-, disse in fine la ragazza lanciando un gelido sguardo al bambino dal viso imbronciato. - Quanta formalità Lotte, non serve, sul serio!- Disse Dohko imbarazzato grattandosi il braccio sinistro. - La cosa importante è che ora questa piccola peste adempia al proprio dovere-. Sbuffando Kipnut si avvicinò alla Guerriera e, lanciandole un'occhiataccia imbronciata, prese il sacchetto di grano precedentemente abbandonato e si diresse verso le cucine. Charlotte accortasi del leggero pallore del Cavaliere e del suo sguardo triste gli si avvicinò. - Sommo Dohko, state bene?- , chiese la giovane visibilmente preoccupata. I gelidi occhi azzurri si posarono sull'espressione fintamente serena del Cavaliere, il quale, scuro in volto scostò il capo lasciando cadere una ciocca bruna sugli occhi. - Non ti sfugge nulla, vero Centurione?- disse il ragazzo abbozzando un sorriso sarcastico rivolgendosi a Charlotte. - Purtroppo io, Dima, Kolija , i Paladini e altri valorosi Guerrieri di Dioniso abbiamo, nostro malgrado, imparato a riconoscere la tristezza celata negli occhi sorridenti e spensierati di chi ci protegge ogni giorno. Ormai è divenuto un antipatico riflesso incondizionato. Siete uscito dal Tempio con quell'espressione, salvo per poche persone in queste Terre è raro vedere una tale tristezza in volto. Non mi permetto, nel vostro rispetto come uomo e Cavaliere più grande di me nell'esperienza e nel corpo, di chiedervi cosa vi ha turbato. Mi preme solo sapere che voi stiate bene-. Il Centurione strinse le mani sul petto lasciando cadere i pesanti sacchi di grano. Dohko si guardò intorno, con sollievo si accorse che il piccolo ed indisciplinato Kipnut era già scomparso nel bosco. - Hai ragione Lotte, il mio animo è turbato. È turbato al punto che sto mettendo in dubbio il mio valore come uomo e cavaliere, essere giusti è la sfida più grande che si debba affrontare giorno dopo giorno. Per quanto ci si provi ad essere retti e ligi al compito di Cavaliere è impossibile non cadere, non avere esitazioni, dubbi, rimpianti. È impossibile fare sempre la scelta giusta e io purtroppo sono più di duecento anni che vivo con questo spettro sul cuore-
Lotte ascoltava impietrita il flusso di coscienza di Dohko. Il Cavaliere parlava con la giovane, ma allo stesso tempo parlava a sé stesso e a qualcun altro di indefinito. - Ti chiedi perché mi stia confidando con te? Sono sicuro che entrambi sappiamo bene chi siano le persone dagli occhi velatamente tristi di cui parlavi, ma non devi avere paura. Non commetterò l'errore di quando fui giovane ed impaurito, manterrò il segreto fino al momento opportuno-.
All'udire quelle parole gli occhi del Centurione si fecero colmi di lacrime di commozione, lei, i suoi amici, i Paladini, le Guardiane potevano finalmente fidarsi, dopo secoli di sospetto e rancore, degli ateniesi. Il Cavaliere ed il Centurione si guardarono sancendo un tacito accordo, non avevano più nulla da dirsi, ormai si fidavano l'uno dell'altra. Si salutarono con un cenno del capo e presero le loro strade.
Fu così che, completamente sovrappensiero, Dohko si ritrovò dinanzi la locanda della Legione dell'Est. In quel momento si rese conto del fatto che, dal loro arrivo nelle Terre di Dioniso, non erano mai usciti dalla Legione Centrale. Si guardò attorno notando con sarcastico cinismo che i Legionali , fintamente occupati in faccende di facciata, lo tenevano sotto un serrato controllo, se in quel momento avesse soffiato il vento quegli uomini sarebbero stati perfettamente in grado di riportare il numero di ciocche scostate al Cavaliere della Bilancia.
" Il Maestro dei cinque picchi"
" Dicono che abbia più di duecento anni"
" Da quello che ho sentito ha conosciuto le Guardiane della precedente Guerra Sacra"
" Evidentemente non riesce a stare lontano da quegli abomini della natura"
Queste erano le parole, appena sussurrate, che gli arrivavano alle orecchie. Parole dure, cattive, colme di violenza e disgusto verso le Guardiane, colpevoli unicamente di essere nate dalla brama di potere di Zeus. La tentazione di rivoltarsi a quelle ingiurie e maldicenze era impellente. Reagire però avrebbe soltanto fatto il gioco dei pavidi provocatori, ovvero dimostrare quanto i Cavalieri di Athena fossero inaffidabili e succubi del fascino delle Guardiane. Eppure non era forse vero? In modo più o meno inconsapevole ogni suo compagno d'arme era incosciamente portato ad un approccio con la propria Guardiana. Chi si sarebbe mai aspettato che il pluriomicida Cavaliere del Cancro portasse in salvo una fanciulla sottraendola da morte certa; chi avrebbe mai immaginato di cogliere Shaka, l'impassibile e privo di emozioni terrene Cavaliere della Vergine, sospendere la sua meditazione al passaggio leggiadro ed evanescente della timida Antea; quale folle avrebbe mai osato suggerire che un giorno Saga, il temuto Cavaliere dei Gemelli, avrebbe eseguito, senza rimostranze, gli ordini mascherati da richieste di Febe; chi si sarebbe immaginato il fiero e sempre sicuro di sé Cavaliere dello Scorpione imbarazzarsi davanti gli sguardi maliziosi di una pericolosissima Melania?
Forse, in parte, i sospettosi Legionali avevano ragione: per i Cavalieri di Athena era difficile stare lontani dalle Guardiane.
Deciso ormai a non cadere in quelle becere provocazioni, Dohko entrò nella locanda.
- Per l'ennesima volta! Maledetti imbecilli! Siamo chiusi a quest'ora!-
Runa se ne stava seduta sul bancone, con le gambe accavallate ed i lunghi capelli neri, solitamente acconciati in una stretta treccia bassa, sciolti su un lato. Il Cavaliere rimase immobile sull'uscio, lo sguardo fisso sul volto vagamente orientale ed imbronciato. - Ti chiedo scusa! Ho visto che la porta era aperta e sono entrato!-. Disse Dohko trafelato sul punto di uscire dalla locanda. - Ah sei tu! Caspita che faccia triste. Vieni dentro, offre la casa-, disse ruvidamente la ragazza saltando agilmente giù dal massiccio bancone in legno. Sparì per pochi istanti dietro la porta che dava sulla cucina vuota tornando con una fiaschetta fredda contenente un liquido color ocra. Con sapiete manualità da locandiera versò la bevanda in un bicchierino di vetro trasparente decorato con foglie di vite intarsiate. - Bevi! Questo è un liquore fatto unicamente in questo schifo di Terre, è senza dubbio una delle poche cose buone che abbiamo da queste parti. Un vero toccasana per quando si hanno giornate storte tipo la tua!- Disse infine Runa abbozzando un sorriso sghembo. Sinceramente sollevato il Cavaliere della Bilancia scostò la sedia in legno davanti al bancone, sedendosi, a causa della forte tensione, in modo scomposto e disordinato, lasciando cadere il braccio sinistro dietro il basso schienale e allungando le gambe. Stava quasi per bere il primo sorso color ocra, quando la porta sbattè violentemente.
- Levati di mezzo Runa-, sibilò minaccioso il Cavaliere del Cancro, il quale, seguito dal resto dei Cavalieri d'oro, entrò minaccioso e furente nella locanda. - Ehi Vecchio! A quale stracazzo di gioco stai giocando!?- Urlò folle di rabbia il Cavaliere della quarta casa.

La storia mai raccontata {I cavalieri dello zodiaco}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora