CAPITOLO 18

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-l'unica soluzione è il trapianto e al momento non hanno un cuore disponibile- Demian ci aveva offerto la colazione al bar, i dottori erano stati chiari: era a un passo dalla morte, solo il trapianto l'avrebbe salvato e comunque l'intervento sarebbe stato rischioso, avevano bisogno di sangue zero negativo, perché essendo il gruppo sanguigno di Julian era l'unico che poteva ricevere in caso di trasfusioni, io, Noah e Rachel non conoscevamo il nostro gruppo sanguigno così quel giorno ci fecero l'esame del sangue per vedere se, almeno uno di noi possedeva sangue zero negativo, il risultato arrivò intorno alle nove di sera, nessuno di noi tre, così come tutti gli altri possedeva quel gruppo sanguigno, il mio era A positivo quindi non avrei potuto donare il mio sangue, sarebbe stato il minimo per Julian.

Piano piano tutti i ragazzi cominciarono a tornare a casa fino a che non rimasi solo io e degli infermieri, stavo fissando la porta della terapia intensiva da quando ero entrata in ospedale, mi alzai dalla sedia per sgranchirmi le gambe, mi appoggiai al corrimano e camminai a fatica fino all'ingresso dell'ospedale

-che ci fai qui? Ti serve aiuto? - una donna sulla cinquantina mi piombò davanti, doveva trattarsi di un medico e sembrava piuttosto in gamba

-no, cioè si, mmm... sono qui perché il mio ragazzo è in terapia intensiva ma se devo andarmene me ne vado- il suo viso si addolcì

-in teoria l'orario di visita è terminato da un bel po' ma vieni con me, ti porto a vedere una cosa- annuì e la seguì, durante il tragitto le parlai di Julian, della nostra storia e del perché in quel momento stesse per morire, sentivo che mi potevo fidare di lei, spesso mi sfuggiva qualche lacrima ma non me ne vergognai affatto

-eccoci arrivate- mi trovai di fronte a un vetro, dietro di esso c'erano tante culle con dei dolci bimbi che dormivano sereni, erano così carini, sorrisi

-sono bellissimi- rimasi incantata a fissarli

-hai un posto dove andare? - Sue mi aveva riaccompagnata nella hall e mi aveva preso un caffè

-si, io credo che tornerò da Rachel, la mia migliore amica- la vidi pensare

-va bene, sii prudente, ci vediamo- annuì e le sorrisi

-grazie, di tutto- andò via, dopo qualche minuto sentì il mio nome e mi voltai, mia zia Kayla era davanti a me, indossava il camice bianco e aveva un'aria preoccupata

-ho appena saputo, mi dispiace- nel vederla tanto dispiaciuta per me mi fece scoppiare in un pianto quasi isterico

-scusa zia, ti ho mentito, vi ho mentito, voi non lo meritate ma io lo amo così tanto e... e...- mi abbracciò forte e mi accarezzò i capelli

-tranquilla, non sono arrabbiata con te, nessuno lo è- a quello ci credevo poco ma lasciai correre, mi alzai e mi ricomposi

-ora torno da Rachel, ci vediamo zia- dopo aver ripetuto almeno centocinquanta volte di stare bene uscì dall'ospedale, l'aria era fredda così entrai velocemente in auto per ripararmi dal freddo, guidai fino al parcheggio degli appartamenti ma non scesi dall'auto, era come se non riuscissi a trovare il mio posto, ad un certo punto capì che avevo solo bisogno di qualcuno, della mia famiglia, di mia madre, di Taylor, di Michel, Christian e tutti gli altri, guidai fino a casa mia, suonai il campanello rendendomi conto solo dopo che erano le undici di sera, mi aprì mia madre, il sorriso sul suo viso scomparve nel vedermi così disperata

-Savannah?! O cielo! Entra, forza! - entrai in casa tremando, non parlai fino a che non toccai il divano, le maniche della mia felpa erano fradicie di lacrime

-mi dispiace- fu l'unica cosa che riuscì a dire, mio padre arrivò in salotto

-Savannah! Che è successo?!- mi strinsi nella coperta che mia madre mi aveva appoggiato sulle spalle

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