8. Jacquita, La Missione, Il Condizionatore!

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Diciotto settimane

<<Dodici giorni, dieci ore, diciotto minuti e venti secondi, ventuno, ventidue, ventitré...>>

<<Basta Nita!>>

<<Ventisei, ventisette, vent... Ahia!>>

<<Te l'avevo detto di smetterla!>>, la guardai malamente.

<<Ma come siamo suscettibili, oggi. Gli ormoni hanno un brutto effet...>>, stavolta si scansò <<...to su di te! Ahia!>>, ma io avevo una mira infallibile.

<<Adesso puoi smettere tu di lanciarmi i cuscini?>>, mi fece l'espressione che usava per sgridare i suoi fratelli.

Scoppiai a ridere. <<Domani mi devi accompagnare dal dentista>>.

<<Perché?>>, mi chiese, mantenendo l'espressione impassibile.

<<Perché tutta la tua felicità mi ha fatto cariare i denti!>>, le feci la linguaccia.

<<Malefica è più gentile di te!>>

<<Beh, Giulietta che si strugge per amore non è niente in confronto a te e alle tue lamentele e ai tuoi snervanti conti sul tempo che è passato dal tuo appuntamento con Jacques!>>

Juanita era letteralmente impazzita per il Francesino - da lei così soprannominato - e non perdeva occasione per elogiarlo o per ammirarlo quando lo incrociavamo per i corridoi. Non sapevo esattamente cosa fosse successo tra loro.

Juanita era contenta e per il momento Jacques era salvo. Ogni volta che lei lo guardava con occhi sognanti, io gli riservavo uno sguardo truce, per ricordargli che non la doveva far soffrire. "Chi ti ha detto che non sarà lei a far soffrire me?", mi aveva chiesto un giorno e io invece di rispondergli ero scoppiata a ridere, come se mi avesse appena detto che fosse Babbo Natale.

La mia amica mi aveva chiamato la sera stessa del loro incontro, svegliandomi, urlando come una ragazzina a un concerto. Per trenta interminabili minuti, aveva parlato soltanto lei, raccontandomi che erano andati al Navy Pier a mangiare e a fare un giro sulla ruota panoramica, ma quando le stavo per chiedere se ci fosse stato qualche contatto, tipo un bacio, la voce di sua madre l'aveva costretta a riattaccare.

Il giorno dopo mi aveva confidato che si era limitato a un bacio casto sulla guancia, niente di più, ma le era bastato per prendersi una sbandata stratosferica.

A me sembrava inconcepibile provare quello che provava lei dopo quel poco tempo passato insieme e nemmeno un vero bacio. Più la guardavo e più mi sembrava atterrata su un altro pianeta, fatto di arcobaleni e unicorni e fiori e canzoni sull'amore.

E Jacques non era da meno. A volte, quando Juanita tornava a casa, lui la seguiva con lo sguardo attraverso il vetro e vedevo il riflesso del suo sorriso. Ero spettatrice di qualcosa di magico e sentivo di essere capitata in un universo che non mi apparteneva.

L'amore... era qualcosa che avevo contemplato nella mia vita e che mi era stato portato via.

E l'amore che aleggiava nell'aria quando quei due incatenavano lo sguardo, studiandosi come se il resto del mondo intorno a loro non ci fosse e fossero rimasti solo loro, non l'avevo mai sperimentato.

I miei genitori avevano un rapporto speciale. Il modo in cui si prendevano per mano, papà che aiutava mamma a prendere la pasta dal ripiano più alto, mamma che stirava le sue camicie del lavoro sempre sorridente, gli sguardi che si scambiavano, i baci rubati quando pensavano che noi figli non ce ne saremmo accorti erano per me l'esempio che un sentimento così grande, così potente, non era altro che un insieme di piccoli gesti riservati alla persona più importante della propria vita, come avveniva tra i miei genitori.

Così Lontani, Così ViciniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora