37. Strawberry blond

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I don't need the city, I don't need proof

All I need, darling, is a life in your shape

I picture it, soft, and I ache

[Mitski]

***

Vomero, Napoli

1 mese dopo


«Apro gli occhi come trasognata; spingo lo sguardo nell'immensità, fra quel buio, quel silenzio, quella quiete inerte... Tutto è ad una immensurabile distanza. Ti vedo come in sogno, al di là dei confini della realtà... Sei tu che sei svanita nel vuoto, oppure son io che mi sono smarrita nel nulla?

Sono ancora sbalordita. Mi pare di aggirarmi in un immenso sepolcreto, mi pare che tutto ciò sia un sogno... che non debba essere per sempre, che io debba svegliarmi.

[...] Tutta quella gente vestita a festa, tutti quei suoni, tutti quei lumi erano per me?... Ed io ho potuto acconsentire a morire?... Ho voluto morire?».

Affacciata alla finestra da cui riusciva a scorgere da una parte il Vesuvio, nella sua minacciosa interezza, e dall'altra il golfo partenopeo, tra le mura di un attico estremamente lussuoso, sito al quinto piano di un edificio di recentissima costruzione, Camila sospirò: tutto ciò di cui ora beneficiava, nella sua opinione, ricadeva sotto la definizione di pacchiano, kitsch e superfluo. Non v'era un singolo oggetto in quella casa che non le proponesse un'algida sensazione di non-appartenenza; e dire che a garantirle una confortevole familiarità sarebbe bastata la presenza di Lauren; anche remota, lungo una linea telefonica, purché costante.

Talvolta, quando il flagello della perdita (che era simile a un lutto) diveniva assai pressante, specie al mattino, poiché si levava in solitudine, dolorante in ogni porzione di sé, prendeva a capovolgere la realtà con l'ausilio dell'immaginazione. In particolare, costruiva nel dettaglio una copia di vita che era luminosa invece che austera, lieta come l'avvento di una creatura, invece che fiacca e smorta. Fantasticava, creava una quarta dimensione nella quale, accedendovi in compagnia dell'amata, era possibile zavorrarsi a una inscalfibile serenità. Essa possedeva mura rivestite di rovere, ed era tutto fuorché inospitale. Costituiva infatti, l'estensione più consequenziale del sentimento che condividevano. Era pari a una prole naturale; una prole eterea, dagli occhi smeraldini e gli zigomi ben definiti, la pelle abbronzata e un raggio di sole come sorriso; una prole che, se viziata dall'intervento di Christopher, sarebbe risultata soltanto deforme, incompiuta; l'emblema dell'odio carnefice.

Il relativo motivo di fondo è molto semplice, elementare diremmo, ed è da ricercarsi in un dato di fatto: esattamente come Lord Alfred Douglas agli occhi di Oscar Wilde, Christopher era ormai scaduto a un livello di insensibilità che si estendeva a una duplice forma di tatto: quella letteraria, che gli impediva di argomentare sul Verga, sul Pascoli e via dicendo, e quella amorosa.

«The greatest of all vices is superficiality». «Il vizio supremo è la superficialità».

Se oltre all'estraneità, in quella convivenza forzata che incarnava il logico effetto della causa chiamata matrimonio, v'era un altro console che dominava parimenti, esso portava il nome della frivolezza. I pomelli intarsiati delle porte, le stesse porte preziosamente intagliate, i rubinetti d'ottone, i richiami al rococò nell'arredamento, i cuscini di piume d'oca, la vasca idromassaggio e altre cianfrusaglie di indiscutibile pregio, notevoli soltanto per il prezzo economico stellare, rappresentavano, agli occhi di Camila, soltanto una lugubre sfrenatezza, uno sfizio da togliersi per chissà quale ignoto piacere che senza dubbio non l'appagava.

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