Before he cheats

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Due mesi prima

Vivere in una città dimenticata da Dio e dal resto del mondo non era poi così male come avevo temuto in un primo momento, quando presa dalla rabbia e dalla frustrazione che solo un cuore spezzato può lasciare, avevo mollato tutto e tutti per cambiare vita. Avevo la mia monotona routine, le mie abitudini peccaminose e tutto sommato non mi dispiaceva quella che orami era a tutti gli effetti la mia nuova vita. A ventinove anni, credevo di aver provato tutte le esperienze estreme di rito, se così si può dire, ma di lì a poco mi sarei resa conto di aver commesso un grosso errore di valutazione.

Come ogni giorno, che si susseguiva sempre uguale al primo, mi svegliai alla buonora, pronta per affrontare una di quelle noiose e monotone faccende di cui mi occupavo ogni giorno in ospedale. Curavo con dedizione e premura i miei pazienti e, a volte, mi capitava anche di salvare vite. Che parolone, non trovate? Avevo sempre cercato di fuggire da quello che era il mio mondo natale e la mia natura, tanto da essere diventata una di quelle persone che aiuta a salvare vite e non a distruggerle o spezzarle, come più frequentemente capitava invece di fare ai miei simili. Ero diversa da loro, forse lo ero sempre stata.

A un primo impatto potevo sembrare qualcosa di differente da ciò che ero in realtà. In sostanza ero tutto l'opposto di ciò che apparivo. Semplice, dalle curve fin troppo generose, sempre sorridente e pacata. Nessuno mai avrebbe pensato che dietro a quei sorrisi e a quegli occhi sempre disponibili ad aiutare gli altri, ci fosse in realtà una donna che esplodeva a ogni singolo passo. Mia nonna, pace all'anima sua, mi aveva sempre definita come una bambina esplosiva nel vero senso della parola. Potevo apparire timida, in realtà avevo solo paura di rimanere ferita. Potevo sembrare indifferente, in realtà stavo solo morendo dalla voglia di un contatto. Potevo sembrare più casta di una suora, in realtà non vedevo l'ora di scatenarmi su una pista da ballo e mostrare a tutti come sapevo muovere i fianchi. Ma ahimè la mia vita era fatta molto più dai famosi potrei, vorrei, sarei. Il tempo condizionale era uno dei miei più cari amici.

Non avevo una vera e propria cerchia di amici in quella cittadina sperduta. Semplicemente avevo dei colleghi di lavoro e delle persone che conoscevo per nome. In realtà in quel buco nero e desolato ci conoscevamo più o meno tutti per nome, conoscersi per davvero era poi tutto un altro paio di maniche. Io ero la straniera, la forestiera che aveva avuto il coraggio di trasferirsi in uno di quei pochi posti dimenticati da Dio e da ogni creatore di cartine e mappe gps. Chissà per quale assurda ragione ero finita proprio lì, rimaneva comunque il fatto che ci ero arrivata e non me ne sarei andata così in fretta, almeno non per il momento.

Quel pomeriggio, subito dopo pranzo, ero stata avvertita dell'arrivo in città di una squadra di ingegneri provenienti da nord, per la costruzione della nuova linea di alta velocità. Per la gente del posto, una notizia simile, poteva essere paragonata a un qualcosa vicino alla fine del mondo. Ecco perché erano tutti accorsi a cercarmi. Io ero quella matta che si era trasferita lì di sua spontanea volontà, io dovevo occuparmi degli intrusi indesiderati e fare gli onori e gli oneri di casa. Mi ritrovai, ancora con la divisa da infermiera addosso, ad essere spintonata per la strada dai miei stessi e carissimi concittadini, verso l'accampamento che era stato messo su di punto in bianco dai nuovi arrivati, oltre i binari del treno.
«È compito tuo.» Biascicò sottovoce Anita, agevolando i miei passi con un'altra delle sue spinte. Era la moglie del fornaio e, tutto sommato, era una delle poche persone che consideravo realmente in quella cittadina.
«Per quale assurda ragione sarebbe compito mio, Anita?» Puntai i piedi per terra, fermando la mia avanza e voltandomi verso la donna in questione. Perché era compito mio? Dove accidenti era scritta una scemenza del genere?
«Tu sei di una metropoli! Tu sai parlare con le persone!» L'ennesima scusa che mi avevano rifilato nel giro di dieci minuti, per non si sa bene quale assurdo motivo. Chi diavolo erano i nuovi arrivati? Avevano turbato gli animi di cento abitanti di periferia in sole quattro ore!
«Anche tu sai parlare.» Borbottai ovvia. Tutti sapevano parlare. Non volevo litigare con Anita, ma almeno una spiegazione me la meritavo. Eppure non l'avrei avuta, neanche litigando con lei.
«Sì, ma tu sei più brava, lo sai Leigh.» Alzò le spalle con noncuranza, come se ciò che lei stava dicendo fosse assolutamente ovvio e io fossi uscita completamente di senno per non esserci arrivata da sola prima.
«D'accordo, d'accordo, vado!» Alzai gli occhi al cielo e lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi. Strinsi i denti e cercai di tenere dormiente il mio lupo, non mi sarei fatta scoprire così. Avevo faticato non poco in tutti quegli anni da sola a celare anche agli olfatti più esperti il mio odore e quindi la mia natura diversa dal comune.

Avanzai a testa alta, come ero solita fare, verso l'accampamento dei nuovi arrivati al di là del binario ferroviario. Sembrava fosse passato un tornado.
«Posso aiutarti?» Non feci in tempo a mettere piede subito dopo le rotaie che mi avevano già accerchiato. Tre uomini, vestiti di tutto punto, che mi fissavano come se fossi il pranzo.
«Buongiorno.» Acuì i miei sensi, per cercare di percepire ogni cosa possibile. Parevano umani. Forse.
«Mi hanno mandato per darvi il benvenuto.» Sorrisi, guardando uno per uno i presenti. Mi fissavano con indecisione, guardinghi e seri.
«Ah si?» Esordì il primo a destra, alzando un sopracciglio con scherno. Non si fidavano di me... Beh la cosa era del tutto reciproca, altrimenti non mi sarei trovata lì.
«Mandata da chi?» Poi parlò il secondo al centro. Ne mancava solo uno, quello che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ma che non mi aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un solo istante. Era strano... Era come se ci conoscessimo già. Percepivo sulla mia pelle una strana sensazione, come se lui avesse capito chi ero, cosa ero realmente.
«Dagli abitanti di questo buco nero dimenticato da Dio!» Scherzai, alzando le braccia al cielo e facendole poi ricadere lungo i fianchi.
«Sono rigidi come un manico di scopa, ma non sono così male.» Continuai con un sorriso ad illuminarmi il viso. Sapevo bene cosa significasse stare sempre all'erta, conoscevo bene quella sensazione di ansia, mista a preoccupazione che ti attanaglia le viscere costantemente. Quel paesino era tranquillo, era stato il mio nuovo inizio e, benché loro fossero degli estranei venuti da chissà dove, nessuno gli avrebbe fatto del male o li avrebbe importunati. Su quello non avevo dubbi. Ma io li avrei tenuti d'occhio, assolutamente.
«Tu non sei male.» Ammiccò il ragazzo a destra, con un sorriso da capogiro che gli incorniciava il viso. Non male, pensai. Non male.
«Io difatti non sono di qui.» Stetti al gioco, tanto non era un segreto la mia vita e mai lo sarebbe stata.
«E di dove sei?» Chiese il ragazzo al centro con più calma, mentre il ragazzo alla mia sinistra se ne stava sempre in silenzio, ma con gli occhi incollati alla mia figura.
«Di lontano.» Le informazioni avrebbero dovuto guadagnarsele, magari con qualche gentilezza in più.
«Benvenuti e, se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure di me. Io sono Leigh.» Sorrisi ancora, mentre allo stesso tempo arretravo di qualche passo, tornando verso i binari.
«Grazie Leigh.» Finalmente parlò il ragazzo sulla sinistra. Lo fissai attentamente, qualcosa di lui mi rimandava al passato, a ciò che era successo nella mia vita prima di Andrew e ora che avevo sentito anche la sua voce, la mia mente si era del tutto scollegata dalla realtà.
«Di nulla.» Sorrisi fingendo disinvoltura e, voltando loro le spalle, me ne tornai da dove ero venuta. Al passato avrei pensato quella sera, una volta tornata al sicuro nel mio appartamento sgangherato.

Tornai con un sorriso sulle labbra da Anita che era rimasta seduta su una panchina a debita distanza dagli intrusi e dalla ferrovia.
«Visto? Non mi hanno mangiato.» Scherzai, sedendomi sorridente accanto a lei sulla panchina.
«Per ora.» Anita mi lanciò uno sguardo truce che mai, in tutto quel tempo, le avevo visto rivolgere a qualcuno. Perché proprio a me?
«Che vuoi dire?» Chiesi, non capendo appunto la sua reazione del tutto esagerata, almeno a mio avviso.
«Ti hanno divorato con gli occhi Leigh e non te ne sei neanche accorta.» Mi lanciò un'occhiata di ammonimento che ignorai di cuore. Non mi sarei fatta fare la ramanzina da Anita, nossignore! Ma allo stesso tempo avrei anche davvero tenuto d'occhio i tre nuovi arrivati. Il mio istinto non sbagliava mai.













Ed eccoci con il primo capitolo! ❤️‍🔥Che ne pensate? Critiche? Pareri? 😅

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Ed eccoci con il primo capitolo! ❤️‍🔥Che ne pensate? Critiche? Pareri? 😅

Io se devo essere sincera, un po' di ansietta ce l'ho, ma la nascondo bene. Siete pronti? Ci sarà da impazzire.

Intanto buon lunedì e buona settimana ❤️

Vi aspetto nei commenti se vi va.☺️

Lot's of love ♥️
Marta🌈

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