Heartbreak Anthem

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Ero sdraiata in un letto troppo morbido per i miei gusti, che non era di certo il mio. L'odore della stanza in cui mi trovavo mi ammaliava, facendomi tremare l'anima e riempiendo il mio corpo di brividi. Ero spinta da una voglia primordiale a me sconosciuta ad aprire gli occhi per vedere ciò che mi circondava. Nonostante avessi ancora gli occhi chiusi, percepivo la presenza alquanto ingombrante di qualcun altro nella stanza che mi accendeva il corpo e la mente all'istante. Non ero sola.

Aprii gli occhi con fatica e l'oscurità mi avvolse, facendomi sentire finalmente a casa. Era da tanto, forse troppo tempo che non mutavo il mio aspetto, ma certe abitudini sono dure a morire e difficili da dimenticare anche per un essere soprannaturale. Sentii un fruscio e poi un ringhio sommesso poco distante da me che mi fece emettere un sospiro di piacere del tutto inaspettato. Sentì il mio stomaco contrarsi e il battito accelerare. Con una calma del tutto innaturale, mi misi a sedere e portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi sentivo strana, molto, anzi troppo strana.

«Mostrati.» Biascicai, la voce era roca, ancora impastata dal sonno. Il mio era un ordine che non ammetteva repliche, il tono della voce era secco e non propenso a trattare. Si accese la luce, illuminando quella che orcalamiseria era una camera da letto spaziale. Probabilmente era grande come tutto il mio appartamento.
«Non prendo ordini da nessuno.» Sollevai lo sguardo sulla figura presente nella stanza e che avevo cercato di ignorare fino a quel momento con ogni mio senso, ma verso la quale sapevo di essere tremendamente ed irrimediabilmente attratta. Lunghi capelli castani e ricci che arrivavano appena sopra due grandi spalle larghe, occhi neri come la pece capaci di distruggerti con un solo sguardo e labbra rosse, gonfie, da baciare per ore e ore, contornate da quella che pareva essere senza dubbio la barba di qualche giorno. Santi Dei. Lo stomaco si contrasse nuovamente, facendomi stringere le gambe tra loro. Non mi ero neanche soffermata sulla lunga cicatrice che spaccava a metà quel viso da copertina.

«Neanche io.» Replicai mostrandomi impassibile ai suoi occhi, spostando di lato la trapunta con la quale ero stata coperta fino a quel momento. Dentro di me stavo già soffocando, annaspavo in cerca di aria. Quell'aria che sapevo che solo lui poteva darmi davvero. Quegli occhi erano miei, quella bocca era mia, lui era mio. Tutto mio. Lo sentivo nel mio sangue. Lo percepivo sulla mia pelle, lo vedevo con i miei occhi. Lui era mio. A quel pensiero indecente avvampai come una quindicenne in preda all'ormone.
«Perché mi trovo qui?» Continuai fingendo di non sapere nulla, guardandomi svogliatamente intorno. Sentivo i suoi occhi bruciare sulla mia pelle, rendendomi... eccitata. Dannazione Leigh controllati per la miseria! Non ci riuscivo.
«Perché sei mia.» Tre parole, una frase, la mia condanna, la mia cura. Urgeva un cambio mutandine, subito.

«Dove mi trovo?» Fingere che quello non fosse reale sarebbe stato sciocco, oltre che una perdita inutile di tempo per entrambi. E qualcosa mi diceva che l'uomo di fronte a me non amava perdere tempo. Strinsi istintivamente le cosce per cercare di darmi una maledettissima calmata. Di nuovo.
«Nel mio territorio.» Il mio gesto non passò inosservato all'uomo di fronte a me che, come richiamato da quel movimento, emise un altro ringhio, facendo contorcere ancora di più le mie budella e aumentando il mio desiderio del tutto insensato verso di lui. Ed era ancora vestito.
«Ovvero?» Se quello era il suo territorio significava che lui era di rango. E io lo avevo appena guardato dritto negli occhi, complimenti Leigh, veramente complimenti. Le opzioni erano due: poteva essere un nobile con possedimenti, oppure era l'alpha di un branco. Con tutto il mio cuore sperai che la prima opzione fosse anche la realtà, perché se così non fosse stato, potevo dire addio per sempre alla mia vita di prima.
«Sei nelle terre del nord.» Gelai sul posto, tornando irrimediabilmente alla realtà nella quale ero. Ero lontana miglia e miglia da casa mia, da quel paesino sperduto nel niente in cui avevo ricostruito da zero la mia vita. Non sarei mai riuscita a scappare da sola o a sopravvivere senza aiuto. In quelle terre si gelava in fretta e si moriva ancora più velocemente.
«E tu sei?» Continuai a fissarlo, senza lasciar trapelare quanto mi avesse scombussolato sapere dove mi trovassi in quel momento.
«Sono l'alpha bambolina.» Sorrise, ma qualcosa mi disse che quello non era un sorriso amichevole, ma piuttosto un sorriso di scherno. Mi stava prendendo in giro. Lui sapeva già tutto. Lui mi aveva già capito. Poi... Bambolina? Ma dove siamo?

Lord of the wolvesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora