Save your tears

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«Sei troppo umana, ti sei mischiata troppo a loro. Non capisci.»
«Non sei degna di essere qui.»

Le sue parole velenose continuavano a vorticare nella mia mente, facendomi sentire esattamente come mi aveva accusato di essere. Mi veniva da piangere dalla frustrazione. Era lui quello che non capiva. Con lui era impossibile ragionare. Era secolare come una quercia da giardino, cosa mai potevo aspettarmi da lui? Che capisse il mio punto di vista? Che ascoltasse ciò che avevo da dirgli? Che mi aiutasse? Che percepisse come potevo sentirmi? Illusa. Certo ero indissolubilmente legata a lui, ma a che prezzo? Per l'ennesima volta mi ero illusa di poter parlare con un uomo del ventunesimo secolo, quando era ormai evidente anche ai muri che di evoluto Filtiarn non aveva neanche l'abbigliamento. Sembrava un damerino del 1800 e tutto ciò me lo faceva detestare ancora di più, perché il 1800 era il mio secolo preferito. Ottuso e limitato mentalmente come un perfetto signorotto del diciannovesimo secolo, non mi permetteva di capire. Non permetteva a se stesso di capire me, di ascoltarmi dannazione!

Probabilmente, secondo il suo alto standard regale e la sua ultra secolare intelligenza, dovevo essere la classica compagna di un capo branco docile e sottomessa, pronta a sfornare la sua progenie ogni maledetto anno fino a quando non sarebbe sopraggiunta la menopausa. Se lo poteva scordare! Avevo anche io un cervello pensante e una bocca parlante che di certo non se ne sarebbe stata zitta mai più. Ero in quella casa da qualche giorno, ma detestavo già il modo in cui vivevano. Erano licantropi certo, ma era fossilizzati in un era che mai gli avrebbe permesso di esprimere il loro vero potenziale. Fenrir in persona si sarebbe rivoltato nella tomba se avesse saputo il modo in cui stavano profanando la sua casa e il suo nome.

Ad ogni modo, quella sera me ne tornai in camera con la coda tra le gambe. Mi sentivo umiliata, lui mi aveva umiliata. Mi aveva giudicata dall'alto del suo trono dorato, non curandosi minimamente di quanto le sue parole avrebbero potuto ferirmi. Ero la sua metà dannazione! Qualcosa doveva per significare anche per lui. Era fortunato che io non avessi ancora il suo marchio impresso sulla mia pelle, altrimenti avrebbe sofferto tanto quanto avevo sofferto io per le sue parole affilate e velenose. È solo una questione di giorni, mi ricordò la mia coscienza. La luna piena sarebbe stata quella settimana e io non sarei potuta scappare ancora a lungo dal marchio del mio compagno: quel simpaticone dell'Alfa delle terre del nord.

C'era chi diceva che il marchio fosse un oggetto contenente del sangue o un odore impresso sulla pelle del proprio compagno, in realtà non era affatto così. Il marchio di un lican, quello vero, consisteva semplicemente nel morso. Questo avrebbe portato alla nascita sulla pelle del marchiato di un segno, un simbolo. Era un gesto semplice per un lupo mannaro, che la maggior parte delle volte mordeva tutto ciò che si muoveva come un vero animale, ma tra compagni era tutto. Fiducia, intimità, devozione, amore. Tutti sentimenti che di certo io non provavo ancora per quel pallone gonfiato di Filtiarn. Sospirai frustrata, passandomi una mano tra i capelli, ormai veramente troppo lunghi. Stavo cercando Connor, l'unica mia altra conoscenza in quel branco di matti, per avere qualche informazione in più sul discorso che avevamo iniziato il pomeriggio precedente. Bramavo informazioni, volevo sapere tutto ciò che mi era possibile ed essere pronta a tenere testa a Filtiarn. Poteva sembrare una sciocchezza, un chiaro segno di immaturità da parte mia, ma non era così, non per me. Forse lo ero immatura, per carità non ne volevo fare un vanto, ma di certo non in quel frangente e non in quel momento.

Era da poco passato mezzogiorno, quando finalmente trovai la persona che stavo cercando. La mattina avevo dormito come un ghiro, rigirandomi tra le coperte calde che mi avevano cullato per tutta la notte. Poi avevo fatto colazione, grazie al cibo che mi era stato lasciato davanti alla porta della camera come ogni mattina e poi avevo pranzato, sempre seguendo la stesso identico rituale. Era un po' come essere in galera in effetti, con l'unica differenza che io non avevo commesso alcun reato, non ancora per lo meno. Non uscivo mai da quella stanza perché lui non voleva, se non ieri pomeriggio, quando avevo finalmente deciso di fare di testa mia. Quella sera però ci avrei riprovato, quella sera volevo davvero partecipare alla cena con il resto del branco e le parole perfide de mio compagno, questa volta, non mi avrebbero neanche scalfito.

Lord of the wolvesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora