Le ore passavano e il momento di salutare Eli si avvicinava sempre di più. Anche la sveglia silenziosa sembrava ticchettare.
Nemmeno il ghiaccio riusciva a sgonfiarle la faccia e di truccarsi non ne aveva voglia. Anche perché a forza di piangere la pelle le si era irritata.
«Mi niña...» la nonna le carezzò i capelli, premurosa.
«Abuelita...non voglio andare via...» si lamentò, con il volto tra le mani.
«Quando vorrai, in questa casa ci sarà sempre posto per te» cercò di confortarla.
«E se non potessi?...»
«Troverai un modo! Sei la ragazza più cazzuta che conosco»
Rise. Abuelita aveva proprio ragione...
Esitò a suonare il campanello. Rimase a fissare la porta per circa un minuto.
«Viviane! Entra, Eli è nella sua stanza»
«Signora Moskowitz, sono venuta a salutare... papà è malato, devo andare da lui...» trattenne una lacrima che minacciava di bagnarle la guancia.
«Oh...santo cielo! Devo chiamare tua madre! Oh, va' da Eli!» la sospinse verso la stanza del figlio.
«Eli...» singhiozzò varcando la porta della stanza. Non era mai stata così male: le tremavano le gambe, aveva un nodo in gola e le bruciavano gli occhi. Per non parlare poi del mal di testa...
«Viviane! Che succede?» si preoccupò subito, correndo ad abbracciarla.
Si strinse al suo petto, inondandolo di lacrime calde e amare. Le più amare che avesse pianto dopo l'incidente di Miguel.
«Perdonami, perdonami!...» lo supplicò, senza riuscire a smettere di singhiozzare. La schiena scossa da tremiti incontrollabili.
«Per cosa?» era confuso, preoccupato, sentiva il suo cuore battere forte.
«Devo andarmene! Papà è malato e...vorrei poterti spiegare di più, ma non so nulla...Eli, dobbiamo lasciarci! Soffriremmo troppo...non so nemmeno se tornerò» spiegò tutto d'un fiato, senza staccarsi dall'abbraccio.
«No! Viviane! Come...no, ti prego...» adesso anche lui piangeva, sentiva le lacrime bagnarle la spalla.
«Eli, credimi...vorrei riuscire a sopportare la distanza, ma non si può! Ti amo! Ti amo, davvero, ma devi dimenticarmi. Almeno tu evita di soffrire!»
«Come posso dimenticarti?»
La baciò, un bacio disperato, l'ultima spiaggia.
Lei ricambiò, assaporando il momento come non aveva mai fatto, assaporando la disperazione.
«Mi dispiace...» ripeté, senza riuscire a dire altro.
«Va tutto bene...siamo ancora qui...staremo insieme finché non salirai su quell'aereo che ti porterà via...» le accarezzava i capelli, con possesso. Voleva tenersela vicina, non lasciarla andare via.
«Domani mattina...amore mio...il destino ci vuole lontani...ma tu...» non riuscì a terminare, il pianto prese il sopravvento, il nodo in gola si strinse sempre di più.
Malediceva sua madre per non averle detto nulla, il destino per volerla portare via, se stessa per essersi innamorata.
«Per favore Viv...promettimi che tornerai...anche tra dieci anni, ma devi tornare» la supplicò, baciandole la fronte.
Lei gli asciugò le lacrime e si sforzò di sorridere.
«Tornerò, te lo prometto...»
Sembrava davvero una soap opera, eppure in quel momento comprendeva bene quelle protagoniste melodrammatiche.
Dormire le sembrò impossibile dopo la seconda volta che si era rigirata nelle coperte. Non concepiva come, un giorno, potesse svegliarsi e realizzare che fosse tutto finito.
Un aereo l'avrebbe portata da un'altra parte, dove nemmeno sapeva cosa l'attendesse.
«Migui? Posso?...» esitò sulla porta.
«Non riesci a dormire, eh? Vieni» la invitò, gentile.
«Ma smetti di piangere, non riconosco più il tuo viso» la pregò, spostandosi più in là per farle spazio.
«Ci sto provando» rise tra le lacrime, posando la testa sulla spalla del ragazzo.
Lui si limitò a sorridere e ad avvolgerle le spalle con un braccio.
«Aggiornami ogni giorno, ok?»
«Ogni giorno, ogni ora, quando vuoi»
«Ti voglio bene»
«Io molto di più»
«No, io molto di più!»
Hola niños e niñas! Come state?
Beh, io dopo il workout non mi sento più le gambe, ma, considerando tutta la cioccolata che mangerò oggi, va bene!
Povera Rav, però...sono crudele...