Capitolo 6.

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Ero nel mio studio aspettando l'arrivo di Diana per la seconda seduta. Sinceramente ero ansiosa di poterla incontrare e parlarle nuovamente, credevo proprio che quella ragazza avesse tante cose nascoste, tanta verità nascosta e sapevo che lei avrebbe voluto abbattere tutto quello che le soffocava. In più, quel giorno, sarebbe venuto il mio nuovo paziente e non aspettavo altro; insomma, era il mio lavoro e potermi immergere nella vita degli altri per aiutarli era una cosa che mi piaceva tantissimo.

Il rumore delle nocche che battevano sulla porta in mogano mi fece distogliere dai pensieri assordanti che fluttuavano nella mia mente. La porta si aprì, subito dopo aver pronunciato un flebile "ciao", facendo comparire la piccola Diana Stone in tutta la sua bellezza.

"Hey, Diana" dissi facendole un sorriso a trentadue denti.

"Ciao..." disse abbassando lo sguardo.

Le feci segno di accomodarsi sulla poltrona in pelle ed iniziai la terapia.

"Allora, come stai oggi?"

"Vuota, come tutti i giorni" ammise senza tanti giri di parole.

"Come va con... insomma, hai più usato la lametta?"

Sospirò e fece no con la testa mostrando le sue braccia lattee.

"Sono fiera di te, Diana. Stai facendo davvero un ottimo lavoro, non è facile, non è mai facile le prime volte affrontare una cosa del genere."

Ed era vero, tutto ciò che usciva dalle mie labbra era pura e semplice verità. Avevo sofferto tantissimo di autolesionismo, soprattutto dopo la perdita di Zayn e precedentemente della mia migliore amica, America, ma ci misi tanto, molto tempo per riprendermi.

"Allora, ti manca?"

"Tutti i giorni, tutte le ore, tutti i secondi. Anche adesso, anche a scuola, anche nei piccoli gesti. Lei mi manca sempre."

"E' normale, tranquilla. Posso capirti" dissi pensando ad America.

"Anche tu hai... beh, hai perso una persona cara?" mi chiese iniziando a mordicchiare le dita della sua mano destra.

"Si. Molto tempo fa persi la mia migliore amica e fu straziante, devastante."

"Si. A me devasta sempre."

Silenzio. Tutto ciò che c'era in quella stanza era un silenzio assordante, un silenzio che spaccava i timpani. Ma poi quel silenzio venne sostituito da singhiozzi.

"Che succede?"

"Io... io non devo piangere" disse asciugandosi una lacrima e alzando la testa verso il cielo. "Io ho fatto una promessa. Ho promesso a me stessa e a lei che non avrei più pianto e... e non devo farlo. Non voglio essere debole, non più."

Pensai. In quel momento pensai a quanto quella ragazza assomigliasse a me, a quanto quella ragazza voleva dimostrarsi forte.

"Diana, piangere fa bene. Piangere è la cosa più giusta da fare in certe situazioni. Quando si è distrutti, quando si è tristi, quando si è..." mi soffermai a pensare. "Quando si è spezzati in due, funzionanti solo per metà... piangere è il rimedio. Bisogna sfogarsi, sempre. Piangere è umano, Diana, e tu lo sei. Piangere rende più forti le persone di quanto tu possa pensare. Quindi avanti, sfogati, sbraita pure, ma non trattenerle quelle lacrime, non farlo."

Diana fissava il vuoto. Non sapeva cosa fare ed era un comportamento strano, ma che capivo in pieno.

"Io... io ho il cuore a pezzi..." disse improvvisamente, continuando a fissare il vuoto.

"Tutti lo abbiamo, anche una piccola percentuale."

Sospirò. "Io raccolgo i pezzi del mio cuore tutti i giorni e cerco di rimetterli insieme come meglio posso e mi sforzo di andare avanti e di essere forte, ma tutto questo per cosa? Per chi? Per sorreggere gli altri? E chi sorregge me? Chi? Quando tutti non fanno altro che trascinarmi giù ogni volta che cerco di risalire in superfice."

"Diana..." provai, ma venni interrotta.

"Sono disperata e non vedo alcuna via d'uscita."

Andai accanto a lei, questa volta. Le presi le mani e la guardai dritta negl'occhi. Era la prima volta che facevo una cosa del genere con un paziente, ma in quel momento sentii che era la cosa più giusta da fare.

"Ascoltami, Diana..." dissi guardandola negl'occhi. "Lo so che sei disperata e che non vedi alcuna via d'uscita, ma in realtà a tutto c'è una via d'uscita... a tutto. Anche all'inimmaginabile, anche all'impossibile. Tu hai solamente bisogno di qualcuno che, nel bene o nel male, ti stia costantemente accanto. Hai bisogno di vagare un po', hai bisogno di conoscere persone nuove. E so che non vuoi, non vuoi conoscere altre persone perché tu vuoi solo lei, perché dire che ti manca è un eufemismo, ma tu lo devi fare. Tu lo devi fare per te stessa. La vita andrà avanti, sempre. Lei è lassù, credo, e ti sarà sempre accanto e accetterà ogni scelta che tu farai. Anche io sarò qui ad aiutarti, va bene?"

Diana, che ormai era in una pozza di lacrime, mi abbracciò. Uno di quegl'abbracci che ti salvano la vita.

"Ho bisogno... insomma, di una cura? Di prendere pillole anti-depressive?" mi chiese.

"Assolutamente no. La tua cura sarà trovare qualcuno che ti ami, di nuovo."

Dopo quella chiacchierata con la giovane ragazza continuammo a parlare di lei, della sua vecchia vita, di cosa le mancava e le ore volarono. Presi un nuovo appuntamento con lei la settimana seguente e, mentre aspettavo l'arrivo del nuovo paziente, pensai che sarebbe stato carino creare qualcosa di nuovo per il giorno seguente.

Avevo dieci pazienti nuovi, così pensai bene che il giorno dopo avrei fatto una seduta di gruppo. Non l'avevo mai fatto, ma quell'idea mi tormentava e probabilmente quella sarebbe stata la mia occasione. Più i giorni passavano, più mi accorgevo di quando amassi quel lavoro.

Uscii dallo studio andando a prendere un bicchierino di caffè e quando tornai nella stanza, mi poggiai alla finestra iniziando a guardare il bellissimo panorama che c'era di fronte: il Tamigi, il London Eye... era tutto meraviglioso, tutto quello che avevo sempre desiderato.

Improvvisamente Kevin fece irruzione nella mia stanza.

"Summer, c'è il nuovo paziente" disse annoiato.

"Si, fallo entrare pure" risposi sorridendolo.

Annuì col capo e fece spazio al nuovo paziente che aveva un'aria misteriosa: occhiali neri, cappuccio, una felpa grigia, un jeans nero e delle jordan grigie. Non so perché, ma alla vista di quell'uomo sentii uno strano presentimento, ma forse mi sbagliavo.

"Ciao" dissi io sorridendo.

"Uhm, salve..." rispose quest'ultimo.

"Tu sei..."

"Jason Hall" mi precedette.

"Oh, okay, Jason. Quanti anni hai?"

"22."

"Okay..." dissi compilando la scheda. "Perché sei qui, Jason?"

"Perché ho fatto una cazzata e sono anni che tutto ciò mi tormenta."

Lo guardai confusa mentre lo feci accomodare sulla poltrona.

"Cosa...?"

"Dottoressa... io ho lasciato la ragazza che amavo follemente e questo rimpianto che ho dentro mi sta logorando, lacerando, frantumando il cuore da troppo tempo."

Un colpo al cuore. Ecco cosa sentii in quel momento. E la prima persona a cui pensai fu... Zayn. Questa seduta avrebbe fatto riflettere molto anche me, me lo sentivo. 

"Sarò contenta di aiutarti e di ascoltarti in quest'ora, Jason."

Summer 2 ||Zayn Malik||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora