•Ashley si è trasformata in Edward Cullen•

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Il giorno successivo, nonché martedì, appena mi sveglio capisco subito che sarebbe stato meglio continuare a dormire.

Come mai?, vi chiederete.

Perché c'è qualcosa che non va in me, e non parlo dei capelli scompigliati come se un uccellino ci avesse fatto un nido sopra scambiandomi per la versione più sfigata di Biancaneve, e non mi riferisco neanche alla voglia inesistente di alzarmi dal letto per cominciare una giornata che si prospetta già più catastrofica delle imprese degli eroi dell'Olimpo.

No, il vero problema risiede nel fatto che non appena apro gli occhi e calcio via le lenzuola come se fossero le mie acerrime nemiche, vengo punita da un'infinità di stilettate dolorose ad ogni singolo muscolo del corpo che mi costringono a ricadere sul materasso. E quel dolore sordo mi ricorda quello a cui ho dato inizio, nient'altro che un ulteriore motivo per cadere in un profondo stato d'angoscia, ovvero dei miei allenamenti con Mitchell, il re degli stronzi. Ma il meglio arriva nel momento in cui, tirando su l'aria dal naso per respirare, realizzo di avere anche le vie aree chiuse, tappate come una bottiglia di vino rimasta ad invecchiare per decenni. E poi deglutisco, prendendo consapevolezza di avere anche la gola in fiamme. In poche parole, al momento mi sento la sorellina della Torcia Umana.

Nonostante il mio malessere, però, sono abbastanza coraggiosa da andare a scuola.

Be', in parte è anche perché so che mia madre mi fucilerebbe se rimanessi a casa dopo la telefonata del preside. Questa è l'ultima cosa che vorrei, siccome sono riuscita a scamparla per un pelo la sera prima. A quanto pare era troppo stanca per lamentarsi o sgridarmi, ma tutto questo non esclude del tutto il fatto che io sia un'eroina.

Dire che questa mattina io mi senta come se fossi stata investita da un treno ad alta velocità sarebbe un eufemismo, ma riesco comunque a raccogliere le forze per prepararmi e prendere un autobus per arrivare a scuola. Appena entro nella scatola di metallo decido di guardare il lato positivo della mia influenza, infatti sono grata di non potere sentire gli odori sgradevoli che devono esserci qui dentro. Non sono, però, tanto fortunata da non accorgermi delle diverse occhiate che attiro. Probabilmente per via del mio abito fucsia in stile anni 50 che indosso, con tanto di collana di perle e calze abbinate. La giacca bianca che indosso, nonostante sia piuttosto lunga, non lo nasconde del tutto, e quindi è in bella mostra.

D'accordo, potrebbe anche essere che io attiri l'attenzione a causa del modo in cui sono entrata all'interno dell'autobus. Si dà il caso che abbia faticato molto a sollevare la gamba e ad infilarmi dentro, per non parlare del fatto che abbia camminato come se fossi un Transformer, invece che un essere umano malridotto.

Poco prima di arrivare alla mia ultima fermata e porre fine al mio continuo sballottamento, il mio nervosismo raggiunge livelli altissimi nel constatare che la gente continua a fissarmi. In particolare due ragazze di circa la mia età che lo fanno, blaterano tra loro, e poi ridacchiano. E questo da quando sono entrata.

«Mi avete scambiata per un'attrazione del museo, per caso?» Non so se sia per via della mia espressione funerea, della voce tombale o dell'occhiata assassina, ma la smettono e diventando paonazze di colpo, si voltano di scatto nella direzione opposta.

Bene, era ora!

L'autobus arriva a destinazione, quindi aspetto che escano un pò di persone e scendo anch'io. Nonostante il mio stato e il mio malumore, mi metto in moto per raggiungere la scuola. Percorro il marciapiede per raggiungere l'entrata principale arrancando, e con la sciarpa fucsia posizionata fin sotto il naso e un cappello di jeans invecchiato con la visiera calato sulla fronte; il cappellino, tra l'altro, è di Cole. Me l'aveva regalato parecchi anni fa, nel periodo in cui volevo imitarlo e lo perseguitavo peggio di un fantasma rancoroso. Anche in uno dei momenti più critici della mia esistenza, mi aveva voluto bene abbastanza da regalarmi qualcosa di suo. E il pensiero del mio cuginetto strambo, mi ricorda che devo ancora rispondergli dal giorno precedente.

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