Le settimane passarono in fretta e il mio segreto interesse per Laura, questo era il suo nome, aumentò pericolosamente.
Anche i miei pensieri negativi, però, si fecero più frequenti ed iniziai a sentirmi triste sempre più spesso: solo vedere Laura mi faceva stare meglio e così decisi di farmi coraggio e parlarle.
Era una giornata di metà ottobre e, dopo due ore di letteratura, chiesi alla mia professoressa se potessi dirle qualcosa.
Lei si dimostrò subito disponibile e mi disse che potevamo farlo subito poiché aveva un'ora libera.
«Allora, Chiara, che succede? Di cosa vuoi parlare?»
«Ehm...io in realtà avrei da dirle delle cose ma faccio fatica a parlare perché mi faccio prendere dal panico» dissi diventando già tutta rossa in viso.
«Non preoccuparti, non abbiamo fretta. Con me puoi parlare di tutto: io voglio ascoltarti e aiutarti se è nelle mie possibilità».
«Mi sento inadatta: ecco il problema. Sento di essere sbagliata in tutto ciò che faccio.
Non sono capace di fare una buona interrogazione senza esitare e diventare rossa. Guardi, anche adesso è così!».
Lei sorrise.
«Chiara, non c'è niente di male ad essere un po' diversi dagli altri. Pian piano imparerai a gestire la tua ansia e riuscirai a sentirti meglio» e posò una mano sulla mia spalla per farmi una carezza.Io mi allontanai bruscamente e, con la faccia a chiazze rosse, sentii la voglia irrefrenabile di scappare via, di nuovo.
«Ehi, Chiara: tranquilla, tranquilla. Era solo una carezza, solo una carezza».
Aveva la faccia dispiaciuta ed io mi sentii davvero in colpa.
«Mi scusi, io non volevo. Mi dispiace. È meglio che vada».
«Aspetta, Chiara...» ma io stavo già andando in classe."Cosa mi è preso? Sono forse impazzita? È già la seconda volta che non la lascio parlare e scappo. Ho anche paura di una carezza, adesso?!" pensai tornando in classe.
Nei giorni successivi cercai di evitarla in tutti i modi possibili perché sentivo di essermi comportata male nei suoi confronti. Non era il mio comportamento abituale perché di solito ero gentile ma non riuscivo ad andare da lei e scusarmi.
Una mattina, nei giorni successivi al nostro incontro, la trovai nel corridoio proprio davanti alla porta della nostra classe mentre mi trovai ad uscire per andare in bagno.«Chiara, eccoti! Non speravo più di incontrarti. Volevo solo dirti che mi piacerebbe parlare con te. Desidero anche che tu sappia che io sono sempre pronta ad ascoltarti, se vuoi. Pensavo anche che, se lo preferisci, puoi anche scrivere i tuoi pensieri in un foglio così da non dover parlare direttamente. Ti lascio andare adesso ma pensaci! Quando vuoi io ci sono».
Mi lasciò così: attonita e sbigottita.
Non ebbi il tempo di dire niente perché le parole mi si fermarono in gola come una matassa di lettere ingarbugliata tra loro.
Andai in bagno e poi tornai in classe come se nulla fosse successo.
Michela, la mia migliore amica, si accorse subito che qualcosa che non andasse per il verso giusto e provò a tirarmi fuori ciò che era successo in quei cinque minuti in cui ero stata fuori. Aspettai la ricreazione e le raccontai tutto, o quasi, perché non volevo ancora svelarle come mi sentissi quando la incontravo. In realtà non ero ancora consapevole dei miei sentimenti nei suoi confronti ma ero certa di una cosa: ogni qual volta la vedevo, percepivo delle emozioni che non ero ancora in grado di catalogare.
«Chiara, c'è qualche altra cosa che devi dirmi?»
«No, Michela, ti ho raccontato quello che è successo. Cos'altro dovrei dirti?»
«Ah, non lo so. Questo dovresti saperlo tu» e rise.
«Saliamo sopra: la ricreazione sta per finire».
Risi anch'io e mi rifugiai dando un morso al panino, riempendomi così la bocca.Quel pomeriggio continuai a pensare alle sue parole e decisi di prendere carta e penna per scriverle una lettera.
Se nel compito svolto in classe le parole non riuscivano a mettersi in fila ed a formare delle frasi di senso compiuto, durante la mia scrittura "privata" dovetti cercare di fermarmi perché avrei voluto dirle tante di quelle cose che sentivo la mente disordinata da pile di pensieri galleggianti.
Scrissi quasi due pagine in cui le raccontai dei miei dubbi, dei lutti non superati, delle mie crisi d'identità e di molte cose che mi passavano per la mente proprio in quel periodo. Le catene che mi impedivano di esternare tutti quei pensieri e le emozioni a loro correlate si erano spezzate.Appena finii di scrivere mi sentii sollevata: non sapevo ancora se avrei mai avuto il coraggio di consegnarglielo ma sicuramente mi aveva fatto bene sfogarmi in quel modo.
Misi il foglio nello zaino e andai a cena.Soltanto in seguito mi resi conto che quel gesto, dettato dall'inconscio, avrebbe segnato l'inizio di un rapporto del quale mi sarei nutrita avidamente.

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Vuoti di cuore
RomanceQuesta che sto per raccontarvi è una storia vera: la mia. Ciao, sono Chiara e ho passato gli ultimi tre anni del liceo travolta da un'amore impossibile: quello per la mia insegnante. I suoi atteggiamenti, molte volte ambigui, mi hanno fatto perder...