CAPITOLO XXIV

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Ferita, delusa e amareggiata cercai di andare avanti, un giorno dopo l'altro. Il destino, però, ci mette sempre alla prova in modi che non sappiamo neanche spiegarci e, proprio quando iniziavo a sentirmi leggermente meglio, la incontrai. L'afa dell'estate sembrava non riuscire a rallentare ed io avevo sempre avuto qualche problema con le temperature così elevate poiché soffrivo di abbassamenti di pressione improvvisa che mi portavano quasi allo svenimento. Qualsiasi soluzione sembrava non aiutarmi e, finalmente, mi convinsi ad andare a fare una visita specialistica da un medico.
Nonostante mia madre volesse accompagnarmi a tutti i costi, io decisi di andare da sola giacché non si trattava di un problema troppo grave e volevo cavarmela da sola, come sempre.
Chiedere aiuto o ricevere il supporto di qualcuno per me era da deboli motivo per cui cercavo di fare sempre tutto da me. Soltanto con il passare degli anni e con gli schiaffi ricevuti dagli eventi della vita, capii che la debole ero soltanto io perché non riuscivo ad accettare l'aiuto delle persone a cui tenevo di più: era solamente la mia insicurezza che mi portava ad essere così.
Salii in macchina per dirigermi verso lo studio del medico in questione e, dopo molti giri, finalmente lo trovai. Cercai parcheggio e mi avviai all'ingresso, suonai e, dopo una rampa di scale, ero arrivata. La porta si aprì e mi resi conto di quanto fosse piccola la sala d'attesa nella quale ci saranno state all'incirca tre o quattro sedie al massimo di cui una proprio dietro la porta di ingresso. Chiusi la porta e, proprio su quella sedia, c'era seduta lei.
Indossava un vestito al ginocchio con dei motivi colorati ed aveva anche una leggera scollatura che, in quel momento, contribuì ad alzarmi la pressione con una velocità di cui nessun farmaco sarebbe stato capace. I capelli castano scuro erano stati leggermente tagliati e adesso poggiavano sulle sue spalle parzialmente visibili perché il vestito era quasi smanicato. Nonostante fossimo al chiuso, i suoi occhi erano nascosti dietro larghi occhiali da sole che era solita indossare soprattutto nei mesi estivi e che tanto odiavo rei di impedirmi la vista dei suoi incantevoli occhi.
Era bella come non mai.

«Bu...buon pomeriggio professoressa» dissi quasi balbettando per l'emozione.
«Chiara! Ciao, come stai? Che coincidenza» mi rispose immediatamente lei. E, nel farlo, alzò gli occhiali da sole sopra la sua testa permettendomi di raggiungere i suoi occhi e di incrociare i nostri sguardi. Ero emozionata come la prima volta che le vidi varcare la soglia della nostra classe all'inizio del triennio adesso, però, con la consapevolezza di ciò che provassi per lei e dell'intensità di quei sentimenti.

«Tutto bene, lei?»
«Sto bene anche io, impegnata tra parenti che vengono da lontano a trovarmi e pranzi di famiglia» ribatté con un tono gentile come se stesse ignorando completamente il fatto che ci fossimo sentite al telefono qualche tempo prima e che avesse declinato il mio invito ad incontrarci in modo piuttosto scorbutico.

«Allora, come mai qui?» continuò lei.
«Ho dei problemi con la pressione perché, d'estate soprattutto, mi porta a stare male»
«Mi dispiace però ti capisco perché anch'io ho avuto dei problemi simili» e continuò a raccontarmi il motivo per cui fosse lì. Non appena finì di parlare, le sorrisi annuendo e calò un improvviso silenzio imbarazzante che riempì la minuscola stanza dove ci trovavamo. Cercai di evitare di incrociare il suo sguardo perché avrei avuto voglia di farle tante domande e di chiedere altrettante spiegazioni. Ero sempre stata così: non mi piacevano le cose lasciate a metà, quelle irrisolte o quelle vaghe. Avevo bisogno di certezze, di chiarezza, di sincerità ma ultimamente non riuscivo ad ottenerla, non da lei. Il nostro imbarazzo fu interrotto dalla segretaria che la invitava ad entrare poiché il medico si era finalmente liberato e, alzandosi, si girò verso di me e sorridendomi mi disse:

«Ci vediamo presto».

Cosa volesse dire non mi fu per niente chiaro.

Com'era possibile che la persona che avevo davanti e quella con cui avevo parlato al telefono qualche tempo prima fossero la stessa persona?

Non riuscii a capacitarmi né riuscii a trovare una risposta alle mie domande. Inoltre mi chiesi perché avesse pronunciato quelle parole dal momento che non ci saremmo riviste se non a settembre. Mi sentii presa in giro e i miei sentimenti oscillavano tra l'emozione di averla vista improvvisamente e la rabbia di sentirmi ingannata così apertamente. Quella donna mi teneva in pugno ed io non riuscivo ad uscirne.

Andai al mare con i miei e, come sempre, impiegai le mie giornate rifugiandomi tra le pagine di libri che mi permettevano di evadere e cercai con tutta me stessa di godermi quei giorni. La maggior parte del tempo lo trascorsi a guardare il mare: riusciva a trasmettermi la tranquillità di cui avevo bisogno nonostante il suo colore e le sue sfumature non facessero altro che ricordarmi i suoi occhi. In quel luogo, però, il suo pensiero non mi turbava e la mia mente si sentiva libera di poter sognare ad occhi aperti ed immaginare tutte le cose che avrei voluto fare con lei. Desideravo sedere accanto a lei su una spiaggia nella cornice di un tramonto per specchiarmi nei suoi occhi e trovarmi imprigionata dagli stessi. Vederla mentre gli ultimi raggi che il sole concedesse le baciavano il viso sarebbe stata una delle immagini più belle da incorniciare tra i miei ricordi.
Avrei voluto leggerle anche qualcuna delle poesie che scrivevo per lei ma che tenevo segrete per paura che le parole potessero volar via e dissolversi:

"Il mare
sta quasi per nascondere
i suoi ultimi flebili raggi
e, baciata dal sole,
sei ancora più bella.

Quel viso sembra scolpito nell'aria
e, in questo tempo che sembra eterno,
delineo il contorno del tuo viso
mentre il cuore batte,
insistente nel petto.

Scosto dai tuoi capelli
una ciocca che libera il tuo sguardo;
vorrei baciarti
se solo conoscessi ciò che sento.

Le mie mani,
tremanti,
si incastrano nelle tue
mentre mi perdo nei tuoi occhi
e una luce si dirada
dalla tua anima e arriva alla mia."

Quei versi non facevano altro che incatenarmi sempre di più ai sentimenti che provassi e dei quali non riuscivo più a fare a meno.
Mi nutrivo di questi pensieri, di queste parole e di tutte le cose che avrei voluto fare ma che non avrei mai potuto fare. Mi bastava chiudere gli occhi per sentire le sue mani che stringevano le mie, il suo profumo sul mio collo e la sua testa poggiata sulla mia spalla. Ero una sognatrice, un'illusa sognatrice che sperava che una minuscola parte di lei avesse provato qualcosa per me e che il nostro rapporto sarebbe potuto tornare quello di un tempo.
Questi pensieri mi portarono, però, ad addolorarmi per aver perso tutto ciò che mi avesse risollevato e la mia mente iniziò ad incupirsi portandomi a mutare il mio stato d'animo.
Di conseguenza le poesie, che erano solite essere piene d'amore, iniziarono ad assumere toni più cupi:

"Un grido in fondo all'oceano
annegherebbe la mia disperazione.
Un urlo muto,
così ignori la mia chiamata
che da tempo porgo nei tuoi riguardi.
Piena dei tuoi continui inganni
che inquinano le apparenze.
Non discerno più le menzogne dalla verità
ma nei miei pensieri prende forma il tuo viso
e, d'improvviso, non ricordo più i miei lamenti
perché abiti la mia mente col tuo splendore."

Conviveva in me questo dualismo di sentimenti e di sensazioni.
Avevo l'illusione di essere padrona di me stessa ma non ero altro che una marionetta in mano ad un burattinaio che, manovrando i miei fili, mi dirottava i pensieri, le emozioni, i gesti. In quel momento avrei voluto tagliare quei fili e, rivolgendomi alla ragazza che ero un tempo, rivelarle come sarebbero andate le cose e che da quel momento sarebbe stata libera.
L'estate stava per volgere al termine e mi consolava soltanto l'idea che l'avrei rivista, anche se soltanto da dietro la cattedra, ma per me era sufficiente per continuare a barcollare nella mia esistenza.

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