CAPITOLO V

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La prima ora di assemblea trascorse ascoltando dibattiti su cose che a me sembrarono soltanto inutili. I miei coetanei, infatti, avevano quest'abitudine di chiacchierare di cose banali durante le assemblee: meno compiti per casa, interrogazioni programmate, ecc. 
Sentendo quelle pseudo lamentele mi resi conto di quanto fossi diversa da loro. 
Rimasi seduta al mio posto tutto il tempo mentre loro si raggrupparono intorno alla cattedra per le loro "importantissime" discussioni.
Cercai di isolarmi dal resto della classe leggendo un libro così da evitare di doverli ascoltare.
Riuscii nel mio intento ed ero talmente presa dalla lettura che non mi accorsi che fosse già arrivata la seconda ora di assemblea.
Lo capii quando i miei compagni salutarono tutti in coro ed alzai la testa ripiombando alla realtà.
Fu in quel momento che la vidi varcare la porta.
Nonostante l'avessi già incontrata all'ingresso, non l'avevo guardata per bene perché mi accorsi che aveva dei jeans a vita alta e una camicia bianca che le stringeva il petto, i suoi capelli avevano dei riflessi ambrati ogni qual volta il sole li accarezzasse e i suoi occhi...non avevo più parole per i suoi occhi.
Salutò tutti noi chiedendoci di cosa stessimo parlando, come procedesse l'assemblea e si sedette dietro la cattedra.
Cercai di distogliere il mio sguardo dalla sua persona ma mi fu molto difficile.
Mi cadde il segnalibro per terra che mi fece perdere il segno e, mentre stavo cercando di riprenderlo, provai a pensare ad altro perché volevo distrarmi.
Recuperato il segnalibro e ripreso il punto dove avevo interrotto la mia lettura, ricominciai ad immergermi tra le pagine, anche se ogni tanto avvertivo la tentazione di guardarla ma mi ripromisi di non farlo.
Tutto stava procedendo secondo i miei piani, fino a quando non sentii una mano poggiarsi sulla spalla e sussultai.
Mi girai improvvisamente e me la ritrovai a pochi centimetri dal mio viso perché si era abbassata per dirmi qualcosa vicino al mio orecchio.
Avvampai immediatamente e la vidi sorridere.

«Scusa, scusa, non volevo spaventarti ma non volevo disturbare i tuoi compagni. Non è che puoi uscire un attimo?»

Da vicino era ancora più bella: la pelle d'alabastro rendeva così delicati i suoi tratti del viso e il profumo che aveva sembrava creato soltanto per lei.
Avrei ricordato quel profumo per tutta la vita.

«Sì sì» risposi tentennante.

Ci ritrovammo appoggiate, l'una di fronte all'altra, al termosifone situato antistante alla porta della classe.
Lei era più alta di me e, ad enfatizzare questa differenza, si aggiunsero le scarpe che era solita indossare. Sembrava fossero delle scarpette a tutti gli effetti ma, ad uno sguardo più attento, notai un rialzo della suola che le faceva guadagnare altri cinque centimetri almeno.
Si passò una mano tra i capelli e sorrise.

«Scusa ancora per prima, avevo provato ad attirare la tua attenzione dalla cattedra ma eri così immersa nella lettura che ho preferito avvicinarmi»
«No, no nessun problema. Mi dispiace di essermi spaventata ma non me l'aspettavo»
«Che leggevi?»
«Noi siamo infinito, ho visto da poco il film e ho deciso di leggere anche il libro»
«Non lo conosco, di cosa parla?»
«È la storia di un ragazzo che scrive ad una specie di un amico anonimo e gli racconta delle sue difficoltà perché sta iniziando il primo anno di liceo. In più si sente solo perché il suo migliore amico si è suicidato abbandonandolo all'inizio della scuola superiore»
«Sembra interessante anche se un po' triste forse. Come mai ti piace questa storia?»
«Mi rivedo molto nel protagonista»
"Ma io non ero quella che non parlava?" pensai tra me e me.
«Hai pensato a quello che ti ho detto l'altro giorno? Hai scritto qualcosa?»
«Sì, tengo molto in considerazione ciò che dice lei. Ho scritto delle cose»
«Benissimo! Me le farai leggere?»
«Io...non lo so... non sono sicura...».

Il destino era già stato scritto da qualche parte, ma di certo non lo avevo scritto io.
Si spalancò la porta, infatti, dalla quale uscì Michela sventolando il foglio in cui avevo scritto i miei pensieri.

«Scusate ma era caduto questo foglio dal tuo zaino e sopra c'era scritto "prof. di Francesca". Ho pensato, allora, che fosse da consegnare e te l'ho portato. Non ringraziarmi, lo sai che sono sempre a tua disposizione!» disse Michela rivolgendosi a me.

Mi diede il foglio e rientrò sghignazzando.
Rimasi col foglio tra le mani immobilizzata per il panico ma, fortunatamente ci pensò lei a sbloccare la situazione.

«Allora lo avevi anche portato eh? Cos'è ti fai desiderare?!»

Prese il foglio dalle mie mani e iniziò ad aprirlo.

«No no, aspetti. Io non sono sicura di volere che lei lo legga. Ho paura di aver detto troppo. Non voglio annoiarla coi miei pensieri»

Scattai improvvisamente nel tentativo di riprendere il foglio ma, provandoci, sfiorai le sue mani.
Erano morbide, anche se notai che aveva dei graffi in alcuni punti.
Sussultai e mi spostai all'istante.
Lei si avvicinò, mi guardò negli occhi e mi disse:

«Non mi annoieresti mai però, se non vuoi, non voglio forzarti. La scelta è tua».
Sentendo quelle parole capii che mi era impossibile resisterle e cedetti:
«No, d'accordo. Lo può leggere».

Iniziò a leggere e quei minuti mi parvero interminabili.
Nel frattempo continuai a guardare i suoi occhi sperando di riuscire a carpire qualcosa di ciò che le passasse per la testa. Non vi riuscii perché ero trascinata da un vortice di emozioni che non riuscii a decifrare.
Alzò lo sguardo, si avvicinò e mi abbracciò.
Non ero certa di cosa stesse succedendo o di quanto tempo effettivamente durò quel momento ma avrei voluto non finisse mai.
Mi strinse le spalle tra le sue braccia rassicuranti, le sue mani poggiavano sulla mia schiena e mi sembrò di percepire il battito del suo cuore dentro al mio petto.
Il suo respiro risuonò nel mio orecchio ed il suo profumo mi aveva trasportato in un mondo distaccato da quello reale.
Arrivò il momento di terminare quell'attimo così speciale che mai potrò dimenticare, mi accarezzò la guancia e disse:

«Chiara, di me ti puoi fidare. Capisco perfettamente come tu ti senta e voglio aiutarti. Vorrei tu continuassi a parlare con me, a confidarmi i tuoi timori, le tue paure ed i tuoi pensieri.
Sei una ragazza particolarmente sensibile e io voglio conoscerti...cioè, voglio conoscerti per aiutarti» disse correggendosi.
«Grazie professoressa però io non voglio disturbarla né annoiarla»
«Chiara, davvero, non è assolutamente così. C'è altro che vorresti dirmi? O se vuoi puoi continuare a scrivere: sei davvero brava a farlo»
«Grazie, non ritengo esserlo ma devo dire che mi piace molto farlo. Vorrei migliorare, però, a esprimermi a voce senza farmi prendere dal panico. Quando parlo con lei, ad esempio, sono agitata ma riesco a farlo meglio.
Professoressa, c'è una cosa che vorrei dirle ma ho paura di farlo. Non l'ho neanche scritto perché le parole sarebbero rimaste impresse in un foglio di carta ed io non volevo»
«Dimmi Chiara, che succede?»
«Io...io... a volte, sa... a volte...ho avuto dei pensieri...un po' strani. Non mi era mai capitato. Ho pensato che non volevo più...non volevo più essere qui. Non vorrei più esserci. Non vorrei...vivere».

Vidi la sua espressione incupirsi ed i suoi occhi diventare sempre più tristi.

«Chiara, non devi neanche pensarlo. Hai una vita meravigliosa e vedrai che le cose si sistemeranno. Io ti aiuterò come posso».

Stava per abbracciarmi di nuovo ma la campanella della ricreazione suonò e orde di ragazzi impazziti ci travolsero.
Alzai gli occhi al cielo come a voler dire che non li sopportassi proprio e lei sorrise dicendo:

«Ti capisco, ma che ci vuoi fare? Riparliamo un'altra volta?»
«Sì, arrivederci».

Michela si affacciò dalla porta e, appena la vide andar via, mi prese il braccio e mi trascinò.
Sul lungo corridoio si affacciavano i bagni che diventavano delle vere e proprie stanze fumatori ma dovevamo attraversare quel posto per raggiungere un corridoio che nessuno frequentava mai: era diventato negli anni un po' il "nostro" posto.

«Allora Chiara: adesso parli!»

Quando Michela aveva quell'espressione e quel tono non avevo via di scampo ma ci provai lo stesso.

«Di cosa parli?»
«Dai, non fare la stupida con me e non farmi perdere tempo! Cosa sta succedendo con la prof di Francesca? Io ho già intuito qualcosa ma voglio che mi parli tu. Ah, e guarda che io il foglio non l'ho neanche aperto. Ho rispettato la tua privacy ma adesso merito delle spiegazioni anch'io».

Aveva ragione.
Michela era la mia migliore amica dalla prima elementare e, nonostante i caratteri un po' diversi, era davvero un'ottima ascoltatrice e un'ottima amica. Era arrivato il momento di dirle un po' di cose e iniziai raccontandole della brutta figura che sentii di aver fatto nel primo "compito" che ci aveva assegnato, dei pensieri negativi che mi assillavano, degli incontri con la prof e di come stava cercando di aiutarmi.

«Mi dispiace che tu stia passando questo brutto periodo: non mi ero accorta di niente. Sei sempre così chiusa in te stessa che capirti a volte è davvero complicato. In più non fai trasparire mai niente e tutto diventa davvero difficile. L'importante è che tu sappia che io sono sempre dalla tua parte e ti aiuterò per come posso».

Appena disse così mi abbracciò fortissimo.
Era una delle poche persone che riusciva a capire il mio modo un po' scostante di essere ma non mi giudicava perché sapeva che era solo un modo per difendermi dal mondo esterno. Lei, d'altro canto, non era particolarmente espansiva e ciò mi impediva a volte di lasciarmi andare.
A volte capitavano, però, dei momenti in cui ci dimostravamo l'affetto che provavamo l'una per l'altra, ed erano davvero attimi spontanei e sinceri.
L'abbracciai forte anch'io e mi sentii sollevata.

«C'è altro che vuoi dirmi? Sento che c'è altro dai...dimmi, dimmi! Lo sai che non puoi nascondermi le cose: ti conosco da praticamente una vita!»
«No, Michela, non c'è altro. Tu a cosa ti riferisci?»
«Molto dolce la prof con te. No?!».

Arrossii e le diedi un pugno sul braccio.

«Ahi! Devi essere sempre così violenta?»
«Ancora ti stupisci? Mi conosci da praticamente una vita!» le dissi scimmiottando.

Suonò la fine della ricreazione e arrivò il momento di tornare in classe: il professore di fisica sicuramente era già in classe ad aspettarci e a lui non piaceva aspettare.

«Anche stavolta ti sei salvata! Ma la prossima volta non scapperai più da questo argomento!» mi disse Michela lungo la strada che ci riconduceva in classe.

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