CAPITOLO XXII

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L'inizio della scuola si avvicinava e, nonostante tutto, non riuscivo a non trascorrere le mie giornate pensando e ripensando a lei. Mi mancava tutto e avevo quasi l'impressione che il mio viso non dimorasse più nei suoi pensieri né nei suoi ricordi. Ero certa neanche pensasse a me e che non le mancassi mentre, dall'altra parte, io speravo di avere un momento di irrazionalità improvvisa che mi facesse comporre il suo numero per chiamarla o per scriverle anche soltanto un messaggio. Soffrii inerte nella speranza che potesse pensarmi e cercarmi come faceva all'inizio del nostro travagliato rapporto. Mi sarei fatta trovare pronta per rispondere al suo appello. Sentii il peso del tempo trascorso senza di lei sulla mia schiena che, dolorante, cercò di rialzarsi dalle ferite che quell'amore mi stesse provocando e, proprio l'amore, mi stava succhiando via la mia linfa vitale, la mia energia e la divorava come una bestia affamata nutrendosi della mia carne. Ero soltanto una preda in balia di tutto quello: una pedina del Tempo, supplizio che accompagnava la mia sentenza.
Il primo giorno di scuola incontrai Michela come al solito che mi vide emozionata ma, nello stesso tempo, triste:

«Chiara, che succede?» mi chiese immediatamente.
«Michela, non penso di farcela a rivederla»
«Ma come? Aspetti questo momento da mesi ormai»
«Sì, lo so. Non penso però di farcela. Vorrei non amarla più perché questo amore non fa altro che procurarmi sofferenza»
«Mi dispiace tu stia così»
«Dispiace anche a me e soprattutto sono dispiaciuta perché non le frega più niente di me: mi ha soltanto illusa!»
«Su questo punto non mi trovi molto d'accordo»
«No? E allora ti dimostrerò di avere ragione!» le dissi in modo scorbutico per poi scusarmi immediatamente.
«Non ti preoccupare. Capisco quanto tu sia nervosa e stia male» disse prendendomi sotto braccio, avvicinandosi a me e rubandomi un bacio sulla guancia.
Michela ed io non eravamo delle persone che amassero particolarmente esprimere i loro sentimenti attraverso gesti quali abbracci ma soprattutto baci. Non capitava quasi mai però, quando succedeva, sapevamo entrambe che fosse uno dei momenti più veri della nostra amicizia perché ci liberavamo dalle nostre insicurezze e maschere per abbandonarci all'affetto incondizionato che provavamo l'una per l'altra. I primi mesi di scuola trascorsero velocissimi senza che neanche me ne accorgessi. Ormai la mia vita era una continua routine della quale faceva parte una grandissima fetta di pensieri che rivolgevo alla mia amata professoressa che però, dall'inizio del nuovo anno scolastico, aveva completamente cambiato atteggiamento nei miei confronti. Mi sentii fortemente in colpa perché ovviamente pensai che il rivelarle i miei sentimenti fosse il motivo scatenante di quell'indifferenza ma, nello stesso tempo, continuai a non capire come il suo comportamento potesse essere così distaccato. I momenti trascorsi assieme l'anno precedenti mi mostrarono un lato diverso del suo carattere e mi portarono anche a pensare che io non fossi per lei la semplice alunna come tante, ma che il nostro rapporto fosse più profondo ed intimo sperando di poter mantenerlo nel tempo, anche dopo la fine della scuola. Evidentemente mi sbagliavo.
I miei occhi continuarono a cercarla ma lei non c'era più. Guardai continuamente attraverso la finestra dei ricordi pensando e ripensando ad ogni singolo momento passato assieme accorgendomi di sentirmi viva come non mai, mentre in quel momento mi percepivo come un corpo senza anima che vagava nell'abitudinarietà della vita. Stavo vivendo nel passato e, per giunta, di false speranze perché pensavo continuamente che avremmo ricominciato e che il nostro rapporto sarebbe tornato quello di prima. Le mie mani tremavano imprigionate dal dolore che sembrava non passare mai, anzi, mi si attaccava addosso da ogni parte e non riuscivo a respirare perché mi mancava l'aria. La osservai ogni singolo giorno e, mentre lei mi sorrideva ingenuamente, io sentivo una lama trafiggermi. Lasciai trascorrere mesi e mesi nella speranza che un giorno tutto tornasse come prima e, poiché non successe, decisi di fare qualcosa io.

Mi trovavo in classe, avevamo avuto lezione con lei per circa due ore e l'insegnante dell'ora successiva stava per entrare quando, improvvisamente, mi alzai ed andai verso il professore.

«Buongiorno, ho la necessità di parlare con la professoressa di Francesca. Posso andare a cercarla?»

«Aspetta, fammi vedere se ti ho interrogato» mi rispose lui in maniera piuttosto brusca, anche se sapevo che il suo atteggiamento era colpa dei miei compagni che non facevano altro che rifiutarsi di essere interrogati perché non studiavano mai. Io, sebbene non fossi una studentessa modello, avevo già studiato la sua materia e mi ero fatta interrogare ricevendo un bel sette e mezzo come voto.

«Ah! Sì sì, ti ho già interrogato. Allora puoi andare»
«Grazie» dissi io e uscii dalla classe sotto gli occhi increduli di Michela che cercava di attirare la mia attenzione per chiedermi dove stessi andando e a fare cosa. Avanzai verso la bacheca per controllare l'orario dei docenti e mi accorsi che quell'ora in questione lei non aveva lezioni quindi mi prese subito il panico pensando che se ne fosse andata. Scesi le scale in fretta e furia avvicinandomi verso l'aula insegnanti e la vidi: stava correggendo dei compiti. Camminai più lentamente così da poterla guardare con calma perché, essendo di profilo ed impegnata con i compiti, non mi avrebbe vista.

Appena arrivata alla porta, nonostante fosse aperta, bussai.

«Professoressa, le posso parlare?»
«Chiara! Sì, certo. Vieni, mettiamoci fuori» disse sorpresa. Poggiò i compiti sul tavolo davanti a lei e ci spostammo nel corridoio.
«Allora, tutto bene? Che succede?» mi chiese subito lei.
«Sì, tutto bene. In realtà no, non va tutto bene»
«Che succede?»
«Io devo dirle delle cose. Ho anche preparato un discorso che sicuramente non riuscirò a fare perché mi sto già facendo prendere dal panico ma ci sono delle cose che devo proprio dirle sennò scoppio» dissi tutto d'un fiato.
«D'accordo, con calma. Non c'è motivo di farsi prendere dal panico. Dimmi pure». Così cominciai.

«Ho sempre pensato che la vita sia fondamentalmente un groviglio di cose alle quali non sono ancora riuscita a dare un senso, ma c'è qualcosa che forse fa sì che possa valere la pena per andare avanti: i rapporti umani. Un rapporto, però, è formato da due persone ma in questo caso non è così: questo rapporto è formato soltanto da me...»
«Chiara, cosa mi stai volendo dire?» disse lei infastidita.
«Mi faccia finire per favore. Stavo dicendo che il rapporto tra me e lei è cambiato completamente e non riesco a capire cosa stia succedendo. Sembra che a lei non gliene importi più niente di me ed è inutile dirmi che non è vero perché è così. Almeno non mi menta. Io non le sto chiedendo gli affari della sua vita privata, perché se che sono una persona molto discreta ma se ne dovesse aver di bisogno con me può parlare così come ha fatto in passato. Io sto dicendo che la vedo strana soprattutto nei miei confronti e penso sia colpa mia, di quello che ho fatto o che ho detto. Non capisco perché adesso però, perché prima andava tutto diversamente»
«Non è colpa tua»
«Le avevo chiesto di non mentirmi. So che è colpa mia, lo sento nelle ossa perché l'anno scorso era tutto diverso e, dopo una serie di cose che ho fatto e ho detto, adesso si è rotto tutto. Ho bisogno di sentirmelo dire però! Me lo dica!» dissi alzando il tono di voce.
«Chiara, davvero. Non è colpa tua» mi rispose cercando di mettermi una mano sulla spalla ma non glielo permisi e mi allontanai.
«Una volta le dissi che non si smette mai di conoscere veramente una persona e lei ci rimase male ma, vede? Ho ragione» e, dopo aver pronunciato quelle parole, la lasciai lì e me ne tornai in classe senza dire nient'altro. Michela, appena varcai la soglia, mi fece cenno di avvicinarmi a lei e raccontarle che cosa stesse succedendo, le dissi ciò che avevo appena fatto e che ci eravamo detti con la professoressa di Francesca.

«Non posso credere tu l'abbia fatto davvero»
«Cos'è che avrei fatto?» le chiesi distrattamente.
«L'hai affrontata: ecco cosa hai fatto!»
«Che bella cosa che ho fatto! E che cosa avrò in cambio? Più indifferenza!»
«Non so cosa otterrai in cambio ma, di certo, sei stata coraggiosa e almeno adesso lei sa cosa pensi. Se ha un cuore e ci tiene a te, almeno dovrà farsi un bell'esame di coscienza»
«Vedremo cosa succederà» conclusi e poggiai la testa sul banco guardando fuori dalla finestra sperando con tutta me stessa di aver fatto bene e di non aver complicato ulteriormente la situazione.

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