CAPITOLO XVII

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Non mi resi neanche conto di avere già tra le mani le chiavi dello scooter che le mie gambe mi stavano già conducendo in garage. Appena arrivata, afferrai il casco che indossai rapidamente, montai sulla sella e partii col cuore che mi batteva all'impazzata. Durante il percorso il tempo era come se si fosse cristallizzato e la vita intorno a me rallentata: potevo vedere le foglie degli alberi mosse dal vento in quel pomeriggio assolato ed il cielo azzurro macchiato da nuvole leggere che sembravano dipinte con precisione dal più bravo dei pittori. Non riuscivo a capire se stessi facendo la cosa giusta o meno perché il mio cuore era totalmente in balia di quei sentimenti che mi avevano completamente accecata quel pomeriggio. Non mi ero mai sentita così e quasi non mi riconoscevo.
Arrivai nelle vicinanze di casa sua e decisi di fermarmi nella piazzetta in cui c'eravamo incontrate l'ultima volta, parcheggiai lo scooter, mi tolsi il casco e composi il suo numero di cellulare.

«Pronto, Chiara?» rispose lei.
«Sì professoressa sono io. Buonasera» le dissi io ormai tremante perché l'ansia si era impossessata di me.
«Tutto ok? È successo qualcosa?» mi chiese preoccupata.
«No, tutto bene. Volevo chiederle se fosse in casa perché avrei una cosa da darle»
«Sì sono a casa. Tu dove sei?»
«Sono nella piazzetta vicino casa sua. Quella dove ci siamo incontrate l'ultima volta, non so se ricorda»
«Certo che mi ricordo. Finisco di prendere il caffè e ti raggiungo»
«Non si preoccupi, non c'è fretta. Io aspetto qui»
«D'accordo, a dopo» mi disse lei chiudendo la chiamata.
Quell'attesa fu pesantissima per me perché tutti i dubbi e le insicurezze mi assalirono improvvisamente: i miei pensieri approfittarono di quel momento in cui rimasi sola per attaccarmi e non lasciarmi scampo. Più passavano i minuti più la situazione peggiorava perché avevo paura di star facendo un madornale errore al quale non avrei potuto rimediare ma tutti i miei dubbi svanirono quando vidi in lontananza la sagoma della sua auto avvicinarsi. Il sole le illuminava il viso attraverso il lunotto della macchina e la sua figura risaltava come non mi era mai capitato di vedere. Più si avvicinava più riuscivo a guardarla meglio fino a quando non parcheggiò proprio accanto a me e con un sorriso abbassò il finestrino dicendomi:

«Ciao Chiara, che bel pomeriggio eh!»
«Buonasera, mi dispiace averla disturbata ma non potevo più aspettare»
«Allora, è successo qualcosa...»
«No, adesso le spiego»
«Vieni, entra».

Mi fece cenno di entrare in macchina e sedermi sul sedile accanto al suo. La piazzetta quel pomeriggio sembrava piuttosto frequentata da troppe persone e apprezzavo che avesse portato la macchina in modo da poter parlare lontano da tutti coloro si aggiravano lì. Appena entrata iniziò a farmi una serie di domande una dietro l'altra perché era piuttosto preoccupata per me ma io non riuscivo a dirle granché. Avevo la mano in tasca per tenere il foglio che dovevo darle ma, per uno scherzo del destino, quest'ultima tremava e lo stringeva incredibilmente forte come se non volesse separarsene.

«Chiara, allora? Parlami, ti prego»
«Le ho scritto una lettera ma non sono sicura di volergliela dare perché ho paura»
«Paura di cosa?»
«Paura di fare la cosa sbagliata, di disturbarla sempre con i miei pensieri»
«Non mi disturbi, lo sai. Quante volte devo dirtelo? E poi cosa ci sarebbe di sbagliato in una lettera?» mi chiese lei.

"Se solo sapessi cosa celano quelle parole, cosa il mio cuore è costretto a sopportare ogni volta che ti vede o ti pensa. Se solo sapessi quanto questo amore stia gravando sulla mia imperfetta instabilità!"

Mi presi di coraggio, tirai fuori il foglio dalla tasca e glielo porsi.

«Ecco la lettera» dissi io immobilizzata dalla paura.
«Grazie, posso leggerla adesso?» chiese lei gentilmente ed io annuii. Nel frattempo impiegai il mio tempo osservando minuziosamente ogni millimetro del suo viso e delle sue mani. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso perché era particolarmente bella quel pomeriggio: completamente struccata, i suoi lineamenti erano ancora più belli del solito ma i suoi occhi mi ipnotizzavano facendomi perdere qualsiasi contatto con la realtà che mi circondava. Appena finì di leggere mi guardò con tenerezza, i suoi occhi erano appena lucidi e un sorriso si stampò sulla sua bocca che però si trasformò in un'espressione seria in pochissimi secondi.

«Chiara, io non voglio sentirti dire che sei arrivata ad un punto di non ritorno perché non può essere così. La tua vita è fatta di tante cose belle e non riesco a credere che tu non le colga»
«Io non nego che non ci siano, penso soltanto non ne valga la pena»
«Come fa a non valerne la pena? Come puoi dirmi di volermi bene se poi pensi che non ne valga la pena?».

I suoi occhi erano sia rabbiosi che tristi ed io, dopo quella frase, non sapevo più cosa risponderle. Mi aveva spiazzato e aveva ragione. Come potevo pensare che niente valesse la pena se l'amore che provavo per lei mi faceva sentire così viva? I nostri sguardi restarono fissi l'uno nell'altro per un paio di secondi di troppo e l'atmosfera si fece tesa. Lei, poi, si piegò verso i sedili posteriori perché stava cercando di prendere qualcosa che aveva poggiato lì e successe tutto in un attimo. La testa mi girava e non avevo realizzato cosa fosse successo ma bastarono pochi secondi affinché tornasse la memoria: l'avevo baciata. Dopo aver preso l'oggetto che cercava dai sedili, stava ritornando nella sua posizione originale e fu lì che mi avvicinai e le rubai un bacio. Fu un bacio velocissimo che non durò neanche un secondo e al quale non riuscii a credere anche perché fu seguito da un imprevisto attacco di panico. Il mio respiro divenne affannoso come mai prima d'ora, mi mancava l'aria e non riuscivo a dire neanche una parola. Lei mi prese le mani chiamandomi per nome ma io non riuscivo a sentire la sua voce bene perché era come ovattata e, sebbene volessi risponderle, non riuscivo a proferire parola. Mi sembrò un momento interminabile e, quando iniziai a sentirmi meglio, le uniche cose che riuscivo a dirle erano:

«Mi dispiace, non volevo. Ho sbagliato. Non so cosa mi sia preso. È imperdonabile, le chiedo scusa» pronunciate come un disco rotto che continua a ripetersi. Lei continuava a dirmi che non era successo niente di grave e non c'era bisogno di reagire così ma io avevo perso qualsiasi contatto con la mia parte razionale e non riuscivo a riprendermi da quella situazione. Desiderai scomparire perché non era quello che avevo desiderato e stavo rovinando tutto, così le comunicai le mie intenzioni di andarmene ma me lo impedì:

«No, tu in queste condizioni non vai da nessuna parte»
«No, io devo andare. Non posso stare qui con lei. Che vergogna» le dissi senza il coraggio di guardarla in faccia.
«Non puoi andartene, Chiara! Stai tremando e non sei in grado di guidare. Cerca di calmarti, non è successo niente»
«Niente? Come fa a dire niente? L'ho appena baciata»
"Ma non era quello che volevo? Che cosa mi succede?" pensai tra una cosa e l'altra.

«Sì ma non è così grave come pensi tu. È un gesto d'affetto» mi rispose lei.
Le ultime parole furono per me come un segnale, un interruttore che aveva spento il panico che era presente e ritornai in me.

«Non la penso così perché, anche se è avvenuto in modo così avventato, era pur sempre un bacio in bocca» le dissi con voce improvvisamente calma. Lei non si accorse di questo cambiamento e la presi alla sprovvista perché non riuscì a controbattere.

«Senta, io...è stato affrettato ma voglio baciarla di nuovo. Sento di volerlo» le dissi pacatamente. Nel momento esatto in cui pronunciai queste parole, iniziai ad avvicinarmi nuovamente verso di lei. Nonostante il freno a mano tra i due sedili, mi sedetti quanto più vicina a lei mi fosse possibile, la guardai negli occhi e mi avvicinai al suo viso molto lentamente fino a quando la baciai: la sua bocca era morbida e quel bacio sapeva di caffè. Le mie labbra poggiavano sulle sue nel silenzio di quel pomeriggio, le mie mani accarezzavano la sua guancia, poi il suo collo ed infine la mano destra si concesse di scendere sul suo petto. Finito quel momento, mi allontanai altrettanto lentamente mantenendo il mio sguardo incollato al suo e, stavolta, sorrisi. Lei non riuscì a dire niente, ricambiò il mio bacio innocente e rimase in silenzio. Non mi aveva rifiutata, aveva ricambiato il mio bacio e adesso era davanti a me, in silenzio. Stavo per dire qualcosa, quando mi accorsi di una donna che ci stava guardando insistentemente da una macchina parcheggiata poco lontano dalla nostra.
Chi era? 

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