CAPITOLO XIX

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Entrammo in quella stanza che mi diede l'impressione fosse una "stanza delle necessità" materializzatasi appositamente per noi così da poter avere un luogo in cui parlare tranquillamente. Mi piaceva pensare che il fato fosse dalla nostra parte ogni qual volta volessimo parlare in santa pace e che facesse in modo di farci trovare nel posto giusto al momento giusto.
Avrei trascorso con lei ore e ore a chiacchierare su centinaia e centinaia di argomenti anche se, più che parlare io, preferivo ascoltarla e ascoltare ogni singola parola uscisse dalla sua bocca. Non mi bastavano più le lezioni in classe perché volevo sentirle raccontare la sua vita, i suoi interessi e accorgermi come, molti di questi, erano simili ai miei nonostante la nostra sostanziale differenza di età.
In quel momento, una di fronte all'altra, ci guardammo con occhi sorridenti nell'attesa che qualcuna dicesse qualcosa. Ero spaventata ed emozionata allo stesso tempo ma, su tutto, curiosa di sapere cosa volesse dirmi.

«Chiara, come stai?» disse lei rompendo il ghiaccio.
«Sto piuttosto bene, lei?» le chiesi titubante.
«Io sto molto bene» mi rispose con un sorriso smagliante e, dopo un momento di pausa continuò.
«Come sta andando dalla psicologa?»
Rimasi interdetta perché io non gliene avevo mai parlato. Cercai di scandagliare mentalmente tutte le persone che lo sapevano per capire chi glielo avesse detto e, concludendo, immaginai fosse stata la preside.
«Sta andando bene» risposi piuttosto turbata e confusa.
Avrei preferito dirglielo io.
«Sicura che vada bene? Non fai altro che ripetere quella parola quindi non so effettivamente se crederti oppure no>> disse con tono quasi scherzoso.
«Sì, in effetti...» risposi ridendo e continuando «diciamo, però, che ci sono momenti in cui va meglio e altri in cui ancora faccio più fatica ma ci sto lavorando»
«Ecco, ora va meglio. È bello sentire queste parole. Spero che il percorso tu stia facendo possa aiutarti a stare meglio»
«Sì, lo spero anch'io»
«Stai scrivendo ancora?»
«Scrivere cosa?»
«Non so: pensieri, poesie, altro. Scrivere aiuta molto a mettere nero su bianco i pensieri che di solito ci turbano o che ci passano per la mente ai quali non abbiamo tempo di riflettere con la calma e l'attenzione che meritano».
Quelle parole mi turbarono un po' perché ultimamente avevo scritto molte cose su di lei. Ogni singolo avvenimento tra me e lei lo trasformavo in poesie perché desideravo lasciare impresse le emozioni da rileggere più e più volte. L'ultima cosa che avevo scritto era proprio una poesia che avrei voluto farle leggere. Descrivevo con occhi sognanti tutte le cose che mi piacevano di lei: gli occhi, la bocca, i capelli e come mi facesse sentire soltanto guardandola.
Sì, avrei voluto fargliela leggere per farle capire che i miei occhi erano diversi da tutti gli altri e i miei sentimenti nei suoi confronti erano puri.
«Sì, ho scritto altre cose e sto scrivendo ancora. In realtà...ho scritto una poesia per lei!>> le dissi tutto d'un fiato.
Era come se non fossi riuscita a fermarmi, come se i miei pensieri fossero collegati direttamente con la mia bocca senza nessun tipo di freno che intercorresse tra essi.
«Ah sì?!» mi chiese stupita ma col sorriso sulle labbra.
«Sì, magari prima o poi gliela farò leggere. Tra un paio d'anni magari» le dissi arrossendo ma col sorriso.
«Esagerata. Io sarei molto curiosa di leggerla. Sì, vorrei proprio leggerla!»
«Le prometto che gliela farò leggere prima o poi. Ancora devo anche finire di sistemarla e trascriverla perché è tutta accartocciata nello zaino e...»
«Nello zaino?» mi interruppe lei «Allora ce l'hai qui?!».

Quella domanda mi lasciò di stucco poiché svelai di avere la poesia lì, a scuola. Mi accorsi di aver pronunciato quelle parole e di aver commesso un errore soltanto quando lei mi fece notare di aver capito bene e che si trovasse proprio a scuola. A pochi passi da noi.
«Sì» risposi, con un filo di voce, senza neanche riuscire a guardarla negli occhi.
«Allora la voglio leggere»
«Quando, adesso?» le domandai incredula di ciò che stesse accadendo.
«Sì sì, dai sono curiosa!» disse quasi saltellando, come una bambina in un negozio di caramelle.
Così uscii dalla stanza senza dire una parola, rientrai in aula e cercai il foglietto stropicciato su cui avevo scritto quella poesia. Ero particolarmente nervosa perché, nonostante fosse ormai ovvio, quella poesia avrebbe rivelato a pieno i miei sentimenti per lei e non sapevo come l'avrebbe presa. Avrebbe raccontato quanto il mio amore per lei non fosse soltanto qualcosa di platonico ma di come i miei occhi la guardassero e di quanto la trovassi estremamente bella. Non ero certa che lei fosse pronta a leggere quelle righe, ad accettare che una ragazza si fosse innamorata di lei in quel modo e che non fosse frutto di un'infatuazione o di un'ammirazione nei suoi confronti. Avevo il terrore che si potesse rompere quel rapporto che si era creato e che sarebbe svanito tutto per colpa di quelle parole ma ormai ero presa dal momento così, dopo aver preso il foglio tra le mani, lo piegai e lo infilai in tasca cercando di uscire facendo la vaga. Appena arrivai davanti la porta il cuore mi stava per esplodere nel petto e aspettai qualche secondo fuori dalla porta prima di entrare. Infine, aprii la porta e la vidi, seduta nello stesso posso in cui l'avevo lasciata, a contemplare fuori dalla finestra e pensai che non avrei potuto fare cosa più giusta rivelandole i miei sentimenti per lei: io non pretendevo niente ma volevo essere libera di amarla.
«Eccoti» mi disse appena entrai.
«Eccomi» risposi io.
«Allora, questa poesia?»
«Io l'ho presa però non sono sicura che possa essere una buona idea dargliela» le dissi scegliendo di optare per la verità dei fatti.
«È una poesia, dai, fammi leggere».
Così tirai fuori il foglietto dalla mia tasca, lo aprii cercando di stirarlo un po' con le mani e glielo porsi. Lei si alzò dalla sedia, lo prese tra le sue dita e iniziò a leggerlo ad alta voce.
«No, no. Per favore, lo legga nella sua mente>> dissi io immediatamente in preda all'imbarazzo più profondo.
Così lei ricominciò a leggere ed io iniziai a scrutare il suo viso per cercare di cogliere i suoi sentimenti e le sue emozioni. Cominciai anche a ripercorrere mentalmente ogni singola parola scritta in quel foglietto stropicciato come il mio cuore in quell'esatto momento. Sembrava che il tempo non scorresse più e si fosse bloccato in quell'attimo in cui i suoi occhi poggiarono sulle righe di quel foglietto mentre sentii dentro al mio petto un insistente battere che non mi dava pace. Appena finì di leggere, un sorriso illuminò il suo viso.
«Mai nessuno mi aveva scritto una cosa del genere! È bellissima, grazie»
«Sono contenta le sia piaciuta, l'ho scritta di getto in realtà e non l'ho ancora corretta»
«Certo che mi è piaciuta».
E, mentre pronunciava queste parole, si avvicinò verso di me con le braccia tese per raccogliere le mie emozioni in un abbraccio.

Mi strinse a sé e anch'io la avvolsi tra le mie braccia: i nostri abbracci erano sempre molto delicati perché avevo quasi paura che, stringendomi troppo a lei, avrebbe potuto leggere tutti i miei pensieri e le mie sensazioni più segrete. Il mio cuore palpitava così forte che pensai riuscisse a sentirlo durante la durata del nostro abbraccio e la mia mente iniziò ad annebbiare la ragione facendo prevalere l'irrazionalità che mi aveva accompagnata durante gli ultimi incontri con lei. Ci distaccammo ma le sue mani non si allontanarono: erano ancora poggiate sulle mie braccia per fare da cornice a quel sorriso luminoso che riempiva la stanza.
Ebbi l'improvvisa voglia di baciarla.
Avvicinai le mie mani sul suo viso e la mia bocca alla sua perché il perfetto coronamento non poteva che essere un dolce bacio per sigillare quella poesia tra le sue labbra.
«No, Chiara. Non...» mi disse spostandomi bruscamente.
Sul suo volto il dolce sorriso era diventato amaro e non ebbe il tempo di dirmi nient'altro perché corsi via da quella stanza e la lasciai lì, senza dire nient'altro. Nel frattempo la campanella annunciò la fine della giornata e orde di ragazzi mi vennero incontro mentre io avrei voluto soltanto sparire da qualche parte e piangere ininterrottamente.
Tornai al mio banco per recuperare le mie cose e feci finta di niente ma il mio cuore, quel giorno, incassò un colpo che non dimenticherà mai.

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