CAPITOLO VII

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L'indomani mattina non avevo neanche voglia di andare a scuola ma non avevo molta possibilità di scelta.
Svolsi tutte le azioni come se fossi un automa e arrivai in classe.
Quel giorno non avevo neanche aspettato Michela che arrivò in classe come una furia:

«Non potevi neanche avvisarmi? Cavolo, Chiara! Sono rimasta ad aspettarti con questo freddo per un quarto d'ora!»
«Scusa»
«Chiara, tutto bene? Cos'è successo? Hai una faccia cadaverica» disse tirandomi su la testa dal banco.
«No, dai lasciami stare. Tutto bene»
«Tutto bene niente! Dimmi cos'è successo» disse in modo autoritario.

La guardai negli occhi intravedendo sia della rabbia che delle preoccupazioni ed ebbi l'impressione di fare del male a quasi tutte le persone a cui volessi bene, Michela compresa.

«Michela, ieri non sono stata bene. Ho avuto pensieri più tristi del solito e adesso non mi sono ancora ripresa. Ho la testa confusa e non riesco neanche a descriverti bene ciò che sento>>
«Mi dispiace, ne parliamo a ricreazione» disse sussurrando dal momento che era già entrato il professore della prima ora.

Speravo che la ricreazione non arrivasse mai perché raccontare significava sentire, con le mie stesse parole, ciò che era successo. Non ero ancora in grado di razionalizzare il tutto e, sicuramente, parlarne mi avrebbe aiutata anche se non ne avevo nessuna voglia. Fui, però, costretta a raccontare gli avvenimenti del giorno prima, anche se cercai di rimuovere qualche dettaglio qui e là.
Michela mi abbracciò e mi disse che non mi avrebbe più lasciata sola neanche un attimo.

Ero fortunata ad averla.

Nei giorni successivi cercai di evitare la prof di Francesca: ero imbarazzata per ciò che era successo e non sapevo bene come comportarmi.
Lei arrivava in classe, faceva le sue spiegazioni e cercava i miei occhi col suo sguardo ma io cercavo di sfuggirle.

Questo scambio di sguardi durò per un bel po' di lezioni. Durante un compito mi ritrovai con il banco totalmente attaccato alla sua cattedra: non so chi era stato ma ormai non potevo più fare niente. Dopo aver tirato fuori dalla sua borsa l'occorrente, ci spiegò la consegna del compito mentre passeggiava tra i tavoli e poi si sedette.
Cercai in tutti i modi di non guardarla ma, di tanto in tanto, i miei occhi erano dirottati dalla sua persona: averla a pochi passi da me non aiutava certamente.
La trovavo terribilmente bella: i suoi occhi mi trasportavano in mondi mai conosciuti prima e la immaginavo con i raggi di sole che le sfioravano il viso ed il vento che si insinuava tra i suoi capelli.

«Chiara, tutto ok?»

Sobbalzai dallo spavento.

«Ehm...sì sì...tutto bene...stavo pensando...»
«Sì, avevo notato fossi con la testa fra le nuvole ma ricordati del compito!»

Abbassai velocemente la testa, sicura di essere arrossita visibilmente, e provai a svolgere il compito che avevo davanti.
Trascorso il tempo a disposizione, avevo scritto molto e consegnai non appena suonò la campanella.
Appena poggiai il foglio, mi lanciò un'occhiata e, con un sorriso sulle labbra, prese il foglio e lo aprì:

«Brava Chiaretta! Hai scritto molto!» disse a voce molto alta.

Inutile dire quanto la classe iniziò a scimmiottarmi ma io non diedi loro peso. Nonostante l'imbarazzo che quel momento mi avesse generato, ero felice che lei mi avesse chiamato "Chiaretta" perché era segno di quanta confidenza si stesse creando fra noi.

Michela consegnò poco dopo e mi raggiunse:

«Chiaretta eh?!»
«Non ti ci mettere pure tu»
«No, io non ti sto prendendo in giro. Ti sto solo facendo notare che la tua professoressa del cuore non ha mai chiamato nessuno con un nomignolo così come ha appena fatto con te. E vogliamo parlare degli sguardi che ti rivolge da un po' di tempo a questa parte?»
«Michela, smettila di costruire castelli in aria. Sono io quella che pende dalle sue labbra.
Ormai sono completamente cotta. Potrebbe chiedermi qualsiasi cosa e, per lei, la farei.
La mattina prima tutto andava bene e la mattina dopo è cambiato tutto: non faccio altro che pensare a lei, ai nostri abbracci, al suo profumo. Non vedo altro che lei in ogni cosa e in ogni luogo!» dissi esasperata.
«Tu non sei cotta: sei proprio innamorata! E i miei non sono castelli perché io noto alcune cose anche se tu non vuoi credermi ma un giorno mi darai ragione! A proposito, da quanto tempo non le parli? Venerdì c'è assemblea di istituto...potrebbe essere una buona occasione»
«Non ci penso proprio: è meglio che io le stia un po' alla larga».

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