Decisi di non fare più niente per il giorno del suo compleanno: né regali né messaggi perché pensai di godermi ciò che era avvenuto in classe senza forzare la mano. Passai tutto il pomeriggio pensando a cosa stesse facendo, a come avrebbe festeggiato, ai regali che le avrebbero fatto e al regalo del marito, soprattutto. Sempre più spesso mi capitava di pensare a lui e alle cose che la professoressa mi aveva raccontato: si erano conosciuti giovanissimi ancora minorenni, anche se lui era più grande di lei di qualche anno, e si erano fidanzati. Lui era stata l'unica persona con cui lei fosse stata in tutta la sua vita. L'idea di loro due assieme mi faceva diventare matta perché una donna come lei si meritava molto di più di un uomo che la desse per scontata e che a stento la considerasse. Avrei voluto esserci io al suo posto per farle capire quanto potesse essere forte un amore.
«Michela, che fai?» le dissi chiamandola al cellulare.
«Niente, dovrei studiare ma non ho voglia. Tu?»
«Io sto impazzendo. Non riesco a non pensare a lei in ogni secondo della mia giornata. Sta diventando tutto impossibile»
«Come se non bastassero i tuoi pensieri e i tuoi momenti di estrema tristezza. Se lei deve essere motivo di angoscia...te lo dico eh!? Puoi cancellarla dalla tua vita e dalla tua testa. Altrimenti lo farò io»
«Non è motivo di angoscia. È che non riesco a non pensare a quella sera in cui stavamo per baciarci»
«Senti, Chià! Ora basta! Crea un'occasione come quella e stavolta fallo. Questa storia sta andando fin troppo per le lunghe»
«La fai facile tu. Lo sai che mi faccio mille paranoie e in più sono timida»
«Sei timida quando vuoi tu. L'ho visto che cercavi di prenderle la mano in classe durante la foto!»
«Ma...come hai fatto? Non eri neanche in prima fila. E comunque non stavo cercando di prenderle la mano...è stata una coincidenza»
«Sì, una coincidenza...e io sono il Papa! La smetti di dire stronzate?!» e rise.
«Ok, ci ho provato! Però non stavo cercando di prenderle la mano ma volevo soltanto sfiorarla»
«Ma quanto siamo romantiche!» mi disse prendendomi in giro.
«La tua è tutta invidia» le dissi io ridendo.Continuammo a punzecchiarci un altro po' e poi, nell'attesa che quella giornata finisse al più presto, mi buttai a capofitto sui compiti per cercare di distogliere i miei pensieri da quell'immagine che mi tormentava. La mia carriera scolastica, in realtà, non procedeva granché bene perché non riuscivo a concentrarmi per studiare nonostante ci provassi e i miei voti ne stavano risentendo decisamente. Il ricevimento si sarebbe tenuto a breve ed ero preoccupata per ciò che avrebbero detto gli insegnanti ai miei genitori.
Dopo una settimana all'incirca, infatti, arrivò il fatidico giorno in cui flotte di genitori con i figli a seguito inondavano i corridoi per ascoltare dai professori ciò che i loro figli realmente combinassero.
Per la prima volta, in tutta la mia carriera scolastica, mi rifiutai di andare. Sapevo già cosa avrebbero detto ai miei genitori e non avevo nessuna voglia di star lì ad ascoltare le loro lamentele sulla mia mancanza di studio o di attenzione: la colpa era la mia, me ne sarei assunta la responsabilità e i miei genitori ne erano a conoscenza. Nonostante ciò, passai tutto il pomeriggio piuttosto agitata: ci tenevo al giudizio che mi avrebbero dato e a ciò che avrebbero detto ai miei perché ero sempre stata una ragazza diligente a scuola ma, per la prima volta, stavo deludendo tutti, compresa me stessa. Quando sentii la porta d'ingresso chiudersi, andai incontro ai miei genitori che, con una faccia piuttosto mesta mi chiesero di sederci per parlare. Non era un buon segno.«Allora? Che vi hanno detto?» chiesi io impaziente.
«Ci hanno fatto entrare nella tua classe e hanno chiuso la porta» iniziarono a raccontarmi.
«Addirittura!» dissi cercando di scherzare.
«C'è poco da scherzare, Chiara. Non ci hanno detto quasi niente sul tuo rendimento perché sappiamo tutti che non stai studiando e che, di conseguenza, i tuoi voti sono pessimi. D'altro canto, però, erano tutti d'accordo che questa non è la Chiara che conoscono. Non sei la Chiara di sempre»
«Sì, lo so. So anche che ve ne siete accorti»
«Esattamente e se ne sono accorti tutti. Non ci hanno parlato di niente se non di te e di ciò che ti sta succedendo e di come possono aiutarti. Ovviamente ci hanno detto che con questi voti non supererai l'anno ma sono disposti a chiudere un occhio se riesci a recuperare nel secondo quadrimestre».Tirai un sospiro di sollievo perché non volevo essere bocciata e ripetere l'anno. Avrei perso i miei compagni di classe, i miei insegnanti e tutte le certezze che avevo acquisito fino a quel momento.
«Sono contenta di avere un'altra possibilità e non voglio sprecarla: voglio recuperare»
«Sì, lo sappiamo che vuoi recuperare e siamo certi tu ce la possa fare ma devi parlarci. Chiara, che ti succede?»
«Bon lo so...non lo so davvero»
«Chiara, qualcosa la sai. Puoi parlare con noi»
«Sì, lo so che posso. So soltanto che non faccio altro che avere brutti pensieri e mi sento inutile e non riesco a fare niente e...» dissi senza riuscire a terminare perché le lacrime iniziarono a scendermi sul viso e incominciai a singhiozzare senza riuscire a fermarmi. I miei genitori si avvicinarono a me e mi abbracciarono facendomi sentire protetta e al sicuro. Mi sentii in colpa perché ero certa che avessero capito cosa affollasse la mia testa, anche se non lo dissi apertamente, e stavo dando loro molte preoccupazioni. Parlammo molto e scoprii che sapevano molte più cose di quante potessi immaginarne e, se da una parte mi sentivo scoperta e tradita, dall'altra mi sentivo sollevata perché non avrei dovuto dare troppe spiegazioni in più. Erano a conoscenza di quell'episodio a scuola, dei miei incontri con la psicologa della scuola e dei miei pomeriggi passati a letto senza riuscire ad alzarmi, anche se loro erano spesso a lavoro. Mi osservavano e avevano lasciato che io facessi a modo mio ma, accorgendosi della gravità della cosa, avevano deciso di intervenire. Mi convinsero ad andare da un'altra psicologa, fuori dalla scuola, e a riprendere pian piano le mie abitudini aiutandomi con qualsiasi mezzo a loro disposizione. Ascoltai le loro parole e, confortata dalla loro presenza, acconsentii a ciò che mi dissero di fare. Iniziai così ad andare dalla nuova psicologa, con la quale mi trovai più a mio agio rispetto a quella che veniva a scuola, e ripromisi a me stessa di provare ad aprirmi per cercare di stare meglio. Inizialmente, però, non riuscii molto. Avevo da poco incominciato gli incontri settimanali e tirare fuori alcuni pensieri, talvolta, mi rendeva più triste. Un pomeriggio presi un foglio di carta ed iniziai a scrivere una lettera per la professoressa di Francesca:"Cara prof,
no, non posso proprio iniziare così altrimenti inizio a pensare a tante di quelle cose che rischio di non scriverle più niente. Cara ragazza (non si offenda perché sto cercando di farle un complimento), volevo ringraziarla per tutto quello che sta facendo per me: gliene sono davvero grata. Lei ha fatto davvero il possibile cercando di aiutarmi in tutti i modi possibili. Volevo anche dirle che, come ben sa, sono arrivata ad un punto di non ritorno e voglio lei sappia che ha fatto il possibile ma il problema sono io. Lei mi è stata vicina più di quanto forse avrebbe dovuto fare e io, forse, mi sono affezionata a lei più di quanto avrei dovuto. Voglio che lei sappia quanto sia importante per me perché è una persona unica e speciale. Ho un grande peso dentro di me e mi sento in colpa per cercarla, anche quando non dovrei. Sento come se tutto questo sia sbagliato anche se non riesco a capirne il motivo.Donna,
le tue mani sono sempre pronte
ad afferrare chiunque le riesca a cogliere.
Le tue braccia pronte a contenere
chiunque vi cerchi riparo.
Ragazza,
vedo nei tuoi occhi la scintilla di una giovane
perché è quello che sei.
Donna,
perdonami se puoi.
Ragazza,
ti voglio bene".La mia lettera confusionaria finiva con questa poesia sgangherata. Non riuscivo ad essere consapevole che ciò fosse un ammasso di parole scritte di getto, col cuore in gola e le dita tremanti, alle quali non riuscii a dare ordine così come non riuscivo a farlo coi miei pensieri. Appena finii di scriverla sentii una spinta irrazionale che mi voleva costringere a fare qualcosa di cui sicuramente mi sarei pentita ma non riuscivo a far tacere quella voce nella mia testa che continuava a ripetermi la stessa cosa:
"Prendi la lettera e vai da lei".

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Vuoti di cuore
RomanceQuesta che sto per raccontarvi è una storia vera: la mia. Ciao, sono Chiara e ho passato gli ultimi tre anni del liceo travolta da un'amore impossibile: quello per la mia insegnante. I suoi atteggiamenti, molte volte ambigui, mi hanno fatto perder...