CAPITOLO XXI

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Quella fu una delle notti più brutte della mia vita. Sfiancata e con le nocche delle mani doloranti, dormii malissimo e all'incirca verso le quattro di mattina iniziai a stare male: corsi in bagno e vomitai. Non era uno star male fisico ma era il mio mondo interiore a star male e che cercava di buttar fuori tutto il dolore che stessi provando. Il dolore, però, non riuscì a passare. Cercai di fare più piano possibile perché non volevo che nessuno si svegliasse né tantomeno che Michela si accorgesse del mio stato perché le avevo già dato molte preoccupazioni. Quando suonò la sveglia io ero riuscita ad addormentarmi da poco e Michela provò a svegliarmi dolcemente.

«Chiara, sveglia. Purtroppo dobbiamo andare»
«Buongiorno» dissi appena mi sollevai dal letto ma ciò mi provocò una nausea improvvisa e dovetti correre in bagno di nuovo.
«Chià! Che succede?» mi chiese Michela correndomi dietro.
«No, niente. Tutto ok, ho solo un po' di nausea»
«Un po'?! Ma ti sei guardata in faccia?! Hai delle occhiaie viola. Hai dormito?»
«In realtà...non troppo»
«Si vede e guarda queste mani!» mi disse prendendomi le mani.
«Lo so, non dire niente»
«Ora chiamo la professoressa. So che non le vuoi parlare ma stai troppo male: oggi non puoi uscire»
«No no: assolutamente no. Dobbiamo uscire e fare finta di niente».
Nel contempo che io pronunciavo quelle parole, Michela era già uscita dal bagno e si diresse verso la stanza della professoressa di Francesca senza che io riuscissi a fermarla. Dopo pochi minuti sentii bussare alla porta del bagno ed era lei.

«Chiara, come stai? Mi apri?»
«No, tutto bene. Non si preoccupi»
«Chiara, per favore apri» disse con tono fermo e così feci. Le fu sufficiente darmi un'occhiata veloce per capire che il mio malessere era colpa sua e vidi il suo sguardo incupirsi.

«Come stai?»
«Non molto bene. Vorrei restare in albergo oggi»
«No, non è possibile» rispose immediatamente.
«Ma io non mi sento bene e, uscendo, se ho la necessità di un bagno non saprei dove andare!» le dissi alzando il tono della voce.
«Non puoi restare in albergo perché dovrebbe restare qualcuno con te ma, in ogni caso, non mi sembra estremamente necessario. Penso, anzi, che uscire ti possa fare stare meglio così prendi un po' d'aria».

Anche lei aveva alzato il tono della voce e, stavolta, non riuscii a controbattere. Uscii dal bagno scansandola e mi diressi verso la mia valigia per prendere i vestiti. Lei mi guardò con la coda dell'occhio e poi, rivolgendosi a Michela, disse che l'appuntamento per incontrarci era alle 8:00 e che ci saremmo viste dopo. Infine salutò ma io non proferii parola: non volevo essere maleducata ma le lacrime mi scorrevano già sul viso e la mia voce tremolante e arrabbiata mi avrebbe fatta esporre troppo.
Passai tutta la giornata cercando di sfuggirle fino a quando il professore accompagnatore dell'altra classe, mi chiede di fare una foto a lui ed a lei assieme. Lui era un viscido pervertito perché continuava a farle complimenti cercando di abbracciarla e di toccarla e, quando mi avvicinai per fare la foto, il mio fastidio divenne evidente agli occhi di tutti. La professoressa di Francesca roteò gli occhi cercando di farmi capire quanto fosse infastidita da quell'atteggiamento e Michela, assistendo a tutta la scena, decise di venire in soccorso e propose una foto di gruppo così da far spostare quel maniaco da lei. La professoressa le fece l'occhiolino e, sottovoce, la ringraziò.

Quel momento fece da spartiacque tra la serata e la giornata in corso perché ricominciai a guardarla con i miei occhi innamorati, nascosti abilmente dietro occhiali da sole. Proseguimmo la gita tra chiese del barocco che ci lasciarono a bocca aperta e monumenti che vennero spiegati dalla guida che ci accompagnò. Ci fermammo ad una statua che si trovava all'interno di una villa immersa nel verde e, "casualmente", mi trovai vicina a lei. La guida iniziò a parlare ma i miei pensieri erano altrove: iniziai a scattarle delle foto e, nonostante fossi circondata da altri ragazzi e professori, non m'interessava completamente essere osservata. Il click della macchina fotografica rompeva il silenzio tra una spiegazione e l'altra della guida ma la professoressa sembrava facesse la vaga fingendo di non accorgersi delle foto che le stessi facendo. Appena terminò la spiegazione sulla statua, arrivò il momento delle domande ma io desideravo continuare a scattare così mi sistemai l'obiettivo e cercai l'inquadratura perfetta. Stavo per scattare quando lei si girò verso l'obiettivo ed io, preoccupata di averle dato fastidio, mi bloccai ma lei sollevò i suoi enormi occhiali da sole e mi sorrise aiutandomi a realizzare una delle foto più belle che abbia mai scattato. Nel tardo pomeriggio risalimmo sugli autobus per ritornare a casa. Sul bus indossai le mie cuffie e cercai di isolarmi da tutto, riascoltai la canzone che le avevo fatto sentire la sera prima e la rabbia ricominciò a ribollire nelle mie vene. Ero furiosa perché aveva fatto entrare le mie amiche senza neanche darmi il tempo di dire niente.

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