Il momento delle vacanze portava con sé ogni anno una certa malinconia. Quand'ero piccola non vedevo l'ora di festeggiare e sederci attorno ad un tavolo pieno di leccornie con la compagnia di familiari tra risate e racconti dei tempi passati che i nonni avevano vissuto. Ascoltavo attentamente tutte le storie che desideravano condividere perché, ripensando alla loro gioventù, li vedevo felici e sognanti e guardarli in quel modo era un piacere. Si parlava di avventure tra i campi, attività di agricoltura e racconti sulla fattoria con animali da accudire ma, purtroppo in alcuni casi, si parlava anche di guerra. Alcuni di loro, infatti, avevano dovuto assistere all'evacuazione di molte famiglie e alle difficoltà che comportava tra figli piccoli e cibo che non abbondava. Ultimamente, invece, si parlava di argomenti come, ad esempio, la politica intavolando discussioni poco costruttive che non facevano altro che appesantire quei giorni che avrebbero dovuto essere pieni di gioia e di festa. Dopo il pranzo tutti si allontanavano dalla tavola per il momento del riposo dovendo rinunciare a giochi da tavolo e alla tipica tombola natalizia. Quell'anno, in più, avrei dovuto festeggiare il mio diciottesimo compleanno che fu un disastro.
Convinta da mia madre, invitai tutta la classe ad una cena ma alcuni di loro non vennero neanche e mi ritrovai in un locale quasi deserto con coloro i quali ritenevo essere gli amici più intimi ma avrei voluto festeggiare in modo diverso con loro.
In compenso, i festeggiamenti in famiglia andarono benissimo: fu una serata memorabile e mi sentii travolta dall'affetto di tutti.
Michela, però, aveva architettato qualcosa di diverso: andare a ballare in discoteca. Io ero assolutamente contraria ma non riuscii ad averla vinta. Così, dopo esserci preparate, ci facemmo accompagnare all'ingresso del locale ed entrammo. Una nube di fumo di sigaretta ci travolse immediatamente accompagnata da un odore acre di sudore: odiai stare lì ma cercai in tutti i modi di divertirmi. Cominciammo con un cocktail così da scioglierci un po' e iniziammo a ballare una vicina all'altra, dopo qualche minuto ci raggiunsero altre compagne di scuola con le quali Michela si era data appuntamento. Cercai di lasciarmi tutto alle spalle per quella sera: la professoressa che mi abbracciava, il bacio, i suoi occhi magnetici, le nostre vicissitudini. Era la mia serata ed erano lì per me. La sala era colma di ragazzi e qualcuno provò anche ad avvicinarsi a noi ma con scarsi risultati perché lo allontanammo immediatamente. Dopo un paio d'ore uscimmo per prendere una boccata di aria fresca e, rientrando, andai a prendere un altro cocktail. La festa stava procedendo piuttosto bene e, nonostante non amassi quel genere di cose, mi stavo divertendo tra risate e balli scomposti. Improvvisamente sentii una fitta in testa e la necessità di vomitare così trascinai Michela in bagno per capire cosa mi stesse succedendo. Non ero ubriaca ed i cocktail che avevo bevuto erano piuttosto leggeri.«Chiara, che ti sta succedendo?» disse Michela agitata mentre mi strattonava.
«No...non ne ho idea...» risposi sentendo le gambe cedere sotto al mio peso.
«Aspetta, Chiara. Forse è la pressione. Reggiti a me e cerchiamo di uscire» pronunciò Michela preoccupata. Non riuscivo a muovere le gambe ma, fortunatamente, sentimmo bussare alla porta una delle nostre compagne. Michela aprì e c'era anche Dario, un nostro amico e compagno di scuola.«Che sta succedendo?» disse la nostra compagna terrorizzata.
«Penso sia un problema di pressione, dobbiamo portarla fuori!»
«Non preoccupatevi, ci penso io!» disse Dario avvicinandosi a me.«Chiara, mi senti? Sei ancora con noi?» continuò schiaffeggiandomi leggermente per cercare di farmi riprendere.
«Mh...mh...» mugugnai sommessamente.I miei occhi erano leggermente aperti perché sentii le palpebre appesantirsi sempre di più così Dario, dopo avermi fatto una carezza, mi guardò negli occhi e poi rivolgendosi a Michela disse:
«Chiara sta male ma c'è qualcosa dentro che la sta logorando ancora di più...» e, dopo aver pronunciato quelle parole, mi prese in braccio per portarmi fuori. Chiamarono i miei affinché venissero a prendere mentre io ripensai alla frase di Dario allibita di come avesse fatto a leggermi dentro e a capirmi con un solo sguardo.
Arrivati i miei, mi caricarono in macchina e tornai a casa. Entrai sotto le coperte e mi fu tutto più chiaro: quella calca, quel fumo e quell'aria pesante mischiati ad un po' di alcol mi avevano fatto abbassare la pressione improvvisamente ma, la sofferenza che provavo, mi stava divorando. Quando, inizialmente, iniziai a provare dei sentimenti per la mia insegnante pensai si trattasse di ammirazione, poi si tramutò in una cotta ma, soltanto dopo un po' di tempo, capii che i miei sentimenti erano molto più profondi. Il mio primo amore fu lei e, ciò, mi porterà a non dimenticarla mai. Il rientro a scuola fu molto più traumatico rispetto agli altri anni perché, l'imminente arrivo degli esami e la chiusura del primo quadrimestre ci aveva messi in subbuglio ma iniziava ad alleggiare nell'aria una parola: gita. Tutte le classi quinte non vedevano l'ora di conoscere la destinazione della gita di quinto anno: quella memorabile che non si dimentica mai. Appena finite le interrogazioni del quadrimestre e, dopo aver visto i voti parziali, ci chiesero di scegliere tra due destinazioni: Germania o Spagna. Inutile dirvi che tutti scelsero la Spagna dal momento che il tempo sarebbe stato più mite. Il silenzio tra noi continuò ad uccidermi e decisi che fosse arrivato il momento di spezzarlo. Una notte, non riuscendo a dormire, scrissi su un foglio accartocciato una lettera piena d'amore e di sentimenti per lei. Le parole saltarono fuori di getto e, tutto ciò che era scritto su quel foglio era la parte più nascosta di me. Mi misi completamente a nudo perché desideravo che sapesse quanto fossero profondi e genuini i miei sentimenti. Così, dopo una piccola revisione, decisi che gliel'avrei consegnata.
Scelsi una sua ora buca ed andai nell'aula insegnanti dove la trovai sola.

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Vuoti di cuore
RomanceQuesta che sto per raccontarvi è una storia vera: la mia. Ciao, sono Chiara e ho passato gli ultimi tre anni del liceo travolta da un'amore impossibile: quello per la mia insegnante. I suoi atteggiamenti, molte volte ambigui, mi hanno fatto perder...