CAPITOLO XXVII

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Saremmo partiti per la gita a breve e, nonostante le interrogazioni e l'ansia crescente per gli esami, eravamo proiettati totalmente verso questo viaggio. Nonostante la partenza fosse alle porte, non sapevamo ancora quali professori ci avrebbero accompagnato ed io tremavo. Da una parte, avrei desiderato con tutta me stessa ci accompagnasse la professoressa di Francesca così da poter trascorrere con lei del tempo non scolastico ma, dall'altra parte, avevo il timore che averla lì mi avrebbe rovinato la gita perché non avrei avuto occhi e testa che per lei. Finalmente, qualche giorno dopo, scoprimmo che non ci avrebbe accompagnato: mi dispiaceva ma, allo stesso tempo, tirai un sospiro di sollievo.
Non sapevo come sentirmi e questi sentimenti contrastanti mi facevano anche sentire in colpa e cercai con tutta me stessa di concentrarmi sul viaggio e su ciò che avremmo visitato. Ci diedero il programma ed iniziai a studiarlo per informarmi preventivamente su ciò che saremmo andati a visitare. Così partimmo, a fine marzo di quell'anno, per visitare musei e città della Spagna: fu una gita memorabile. Formammo istintivamente dei piccoli gruppi composti, da una parte, da coloro fossero meno interessati ai monumenti e più alle chiacchiere e all'organizzazione serale tra musica e cose da bene mentre, dall'altra parte, c'era chi era particolarmente interessato alla cultura e a tutto ciò che quella gita ci avrebbe insegnato. Io facevo decisamente parte del secondo gruppo di persone, motivo per cui, mi trovavo molto spesso in prima fila per ascoltare attentamente la guida che ci avrebbe spiegato ciò che avevamo davanti ai nostri occhi: statue, cappelle, tetti decorati, giardini e tantissime altre cose. Era una gita illuminante e, stranamente, stavo riuscendo a godermela.
Tra i miei compagni di classe, c'era un ragazzo col quale avevamo un rapporto piuttosto strano perché continuavamo a scherzare in modo ambiguo tant'è che non perdeva occasione, durante le foto di gruppo, di mettersi accanto a me per stringermi la vita. Non ero particolarmente interessata a lui, al di là del fatto che fossi già perdutamente innamorata, ma devo ammettere che quel modo di scherzare mi teneva impegnata e divertita.
Quella gita mi diede la possibilità di conoscere meglio un'altra professoressa con la quale avevamo avuto un rapporto di amore-odio ma, proprio in quell'occasione, capimmo che eravamo più simili di quanto sembrasse. Tutto cominciò quando ci trovammo vicine sull'autobus: odiavo stare seduta tra coloro che facessero baldoria e fracasso così scelsi dei posti più silenziosi. Sull'autobus indossavo spesso le cuffie alle orecchie, un po' per attutire il rumore degli schiamazzi ma un po' anche perché adoravo viaggiare ascoltando musica.
Vedendomi immersa nella musica e nei pensieri, un giorno mi chiese cosa stessi ascoltando e, con sua sorpresa, scoprì che i miei gusti musicali erano molto più vicini ai suoi piuttosto che a quelli dei miei coetanei. Ne fu talmente sorpresa che intavolò una discussione con me per scavare più a fondo sui miei interessi.
Ci ritrovammo, così, a confrontarci su vari argomenti stupendoci di come una ragazza di soli diciotto anni fosse così simile ad una donna con il doppio della sua età. Arrivammo al punto di non sembrare più un'alunna e la sua professoressa ma due amiche. I nostri discorsi occasionali diventarono sempre più frequenti al tal punto che, oltre a metterci vicine durante le spiegazioni della guida, talvolta mi invitò a sedermi più vicina a lei in modo da poter chiacchierare più tranquillamente. Mi sentii felice.
Finalmente qualcuno vedeva in me non soltanto una ragazzina ma mi trattava semplicemente come un essere umano andando oltre l'età e i ruoli. Ancora oggi, il ricordo più bello della gita non riguarda i miei compagni ma il rapporto instaurato con la professoressa. Dopo aver trascorso una settimana indimenticabile in Spagna sbattemmo la faccia contro l'inevitabile conto alla rovescia. Ricevemmo, subito dopo essere tornati, la notizia che non sarebbero state accettate le tesine agli esami ma ci avrebbero dato la possibilità di creare delle mappe concettuali: si rivelò essere un lavoro doppio ma che presi molto seriamente perché avevo voglia di distinguermi.
Molti dei miei compagni scelsero dei temi piuttosto banali, a mio avviso, e mentre tutti già iniziavano ad esercitarsi con gli insegnanti per ripetere gli argomenti, io ancora non avevo niente di pronto perché la scelta si rivelò più complicata del previsto.
Lavorai e studiai come mai avevo fatto in tutti quegli anni perché quell'esame sarebbe stata la mia rivalsa, almeno nello scritto, perché la professoressa di Francesca non sarebbe stata presente tra le persone della commissione d'esami e speravo di riuscire a fare meglio senza farmi distrarre dalla sua presenza.
Scelsi il tema che comunicai in primis alla professoressa con la quale avevo stretto rapporti di amicizia durante la gita che fu immediatamente entusiasta e mi riempì di complimenti. Successivamente lo dissi anche alla professoressa di Francesca che si stupì piacevolmente della mia scelta originale e, dentro di me, provai un crescente orgoglio. Non si sbilanciò più di tanto e, ciò, mi fece restare molto male perché da lei mi sarei aspettata qualcosa in più.
Iniziammo a ripetere le nostre mappe concettuali esponendo ciascun argomento all'insegnante della materia in questione ed io evitai con tutta me stessa di ripetere le materie della professoressa di Francesca nella speranza mi saltasse o si dimenticasse di me. Non successe. Mancava un quarto d'ora circa alla fine della lezione e la professoressa di Francesca mi chiamò.

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