CAPITOLO VI

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Quella sera stessa ero distesa sul letto, i miei occhi cercavano riparo dalla luce che penetrava dalle serrande e non riuscivo a rilassarmi. La mia mente era distratta dal pensiero della professoressa perché ciò che provavo era indecifrabile.
Sentivo dentro me una strana sensazione che assomigliava perché ero riuscita a raccontarmi così apertamente ad una persona che avevo conosciuto da così poco tempo. 
Frotte di pensieri armati fino ai denti mi accerchiavano per farmi sputare la verità dalla quale mi stavo nascondendo: mi stavo innamorando.
Il soggetto del mio amore era lei: Laura di Francesca, la mia prof di letteratura.
Mi nascosi sotto le coperte come per sfuggire a ciò che avevo appena realizzato ma quei sentimenti così contrastanti non avevano confini e mi stavano avvolgendo come una coperta in una fredda sera.
Decisi di chiamare Michela: avevo bisogno di parlare con lei.

«Pronto?»
«Michela? Sono io, Chiara. Dormi?»
«Chiara, sono le 22 ancora. Non mi sono ancora trasformata in una gallina!»
«Sempre dolce e amorevole»
«Dai che scherzo...musona! Che succede, stai bene?»
«Sì, sto bene. Devo farti una domanda: come ci si sente quando ti piace qualcuno?»
«Ah, ecco svelato il mistero! Beh...quando mi piaceva Giacomo ero come intontita, gli andavo sempre dietro, gli scrivevo dei biglietti e glieli nascondevo nel diario, lo seguivo con lo sguardo quando usciva da scuola e poi ho pure lasciato perdere Luca che invece era davvero un ragazzo d'oro soltanto per andare dietro a lui! Menomale che una mattina mi sono svegliata col cervello di nuovo funzionante e ho capito che stavo solo sprecando il mio tempo: io voglio stare sola! Zitella, single, solaaa!»
«Sì, Michela, messaggio recepito»
«Sarò la zia ricca che distribuisce banconote ai nipoti per Natale»
«Michelaaaaa, ho capito!» dissi esasperata.
«Ma...piuttosto...chi è che ti piace?»
«Come se non lo sapessi! Fai tutta la finta tonta ora?!»
«Voglio che me lo dica tu. Forza: vuota il sacco»
«Devo necessariamente dirlo? Tanto lo sai, io lo so. Bene così no?»
«No, lo voglio sentire pronunciare dalla tua voce melodiosa» disse prendendomi in giro, come sempre.
«D'accordo. Penso mi piaccia la di Francesca...la prof di Francesca...» dissi desolata.
«Oh, finalmente! Ma ti piacciono le donne? Ma lo sai che lei è sposata? Ha anche un figlio, è poco più piccolo di noi»
«Grazie, adesso sì che mi sento meglio. Vuoi farmi un interrogatorio? Comunque sì, lo so che è sposata e ha un figlio ma non posso farci niente. No comunque, cioè non lo so se mi piacciono le donne. Penso di no. Insomma, so che mi piace lei»
«Sareste così carine assieme»
«Getta pure altra benzina sul fuoco! Lei non prova niente per me, mi sta solo aiutando»
«Questo lo vedremo... comunque sono contenta tu me l'abbia detto: ero sicura ci fosse qualcosa però il fatto che me l'abbia detto tu vuol dire che ti fidi di me»
«Certo che mi fido di te! Anche se sei così...così...così...non mi viene la parola giusta...»
«Attenta a cosa dici eh! Sono come? Eh?! Sputa il rospo!»
Risi e le dissi:  «Niente, lascia perdere. Adesso devo andare a dormire, ci vediamo domani»
«Domani ti vedrò e te ne pentirai» e riattaccò.

Posai il telefono sul comodino, spensi la luce e, con la testa sul cuscino sorrisi: mi sentivo felice. Avevo finalmente fatto i conti con una realtà, fino a quel momento, scomoda.

Le settimane passarono velocemente, il tempo si fece sempre più cupo così come il mio stato d'animo: mi sentivo meglio solo quando c'era lei, motivo per cui i nostri incontri e le nostre chiacchierate diventarono sempre più frequenti.
Persi l'interesse per ogni cosa e trascorsi le mie giornate dormendo sul divano, iniziai a trascurarmi e a non studiare più. Avrei voluto abbandonarmi al tempo che mi schiacciava e mi maltrattava senza pensare più a niente: desideravo morire.

Un pomeriggio cambiò tutto: stavo più male del solito, iniziai ad entrare in un brutto circolo vizioso di pensieri autodistruttivi.
Era una giornata terribile e il cielo era grigio come non mai, però scesi giù in garage determinata a prendere il mio scooter e a fare un giro.
A casa non c'era nessuno, i miei genitori erano a lavoro e io potei sgattaiolare fuori senza destare sospetti.
Appena sentii il vento freddo sulla faccia mi venne da piangere ma non riuscii a farlo.

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