29. Spettri

81 9 1
                                    

Era una sagoma scura e definita, i suoi contorni si stagliavano netti sullo sfondo di neve bianca che abbracciava tutto in una mortale stretta.
Era piantata nel terreno nevoso, rigida e fredda come i tronchi intorno a lei. Il vento soffiava sibilando con voci spettrali tra gli alberi trascinando con sé la nebbia densa, ma non la smuoveva ne piegava. Solo pochi ciuffi di capelli umidi e arricciati danzavano nella brezza come i più alti e sottili rami delle piante che la circondavano.
Silenziosa dava le spalle al campo, al suo limitare più estremo dove pochi si avventuravano. Le buche ormai abbandonate, dopo la decimazione delle truppe, erano celate in parte dalla soffice neve che cadeva ogni giorno. Vecchie coperte gelate erano state lasciate lì insieme a molti altri oggetti che nessuno aveva recuperato. Pacchetti di sigarette finiti, accendini rotti, carte di razioni alimentari, bossoli di colpi esplosi e un bottone che nessuno si era accorto di aver perso.

«Helen» disse una voce alle sue spalle, una che non pensava di sentire e che non credeva potesse essere così delicata, ma la sua mente avrebbe ricordato quei dettagli solo successivamente. In quel momento era solo una voce.
Si voltò veloce e silenziosa smuovendo la neve ai suoi piedi e con la pistola che già teneva in mano puntata avanti.
Il ferro nero sembrava un prolungamento del suo braccio, stretto nella mano senza alcuna esitazione o tremore come un lungo e mortale dito che indicava la sua vittima designata.
Speirs alzò istintivamente le mani, le fece vedere di non essere armato e non mosse un passo di più verso di lei. Sapeva che non gli avrebbe sparato, quello non lo preoccupava, ma l'espressione della donna lo spaventava.
I suoi occhi sembravano appannati da una fitta nebbia e lo sguardo fisso su di lui non sembrava vedere nulla. Il viso inespressivo, teso e glaciale gli ricordava gli austeri quadri dei musei tanto impassibili da sembrare irrealistici. Quasi non la riconobbe dietro all'espressione vuota, l'aveva vista preoccupata, arrabbiata, delusa e in molti altri stati d'animo, ma l'assenza totale di ogni cosa era così palese sul suo volto da renderla una sconosciuta.

Con passi lenti si avvicinò alla donna pronto fermarsi a ogni cenno di lei, non avrebbe rischiato di farsi colpire ma non l'avrebbe lasciata in quelle condizioni. Posò lentamente le mani sulla pistola circondando la canna e bloccandole le dita lasciate scoperte dai guanti di lana. La sua pelle era fredda tanto quanto il ferro e si chiese da quanto tempo fosse lì con l'arma in mano e il dito sul grilletto.
«Questa la prendo io» disse sfilando la pistola dalla stretta della donna e incastrandola nella cintura dei suoi pantaloni.
Helen abbassò il braccio dopo un istante senza protestare. I suoi movimenti erano rallentati come se non fosse realmente lì per controllare il suo corpo, come se dovesse pensare a ogni singola cosa prima di farla.
Non disse nulla, non si preoccupò di essere rimasta senza armi, non ci fece nemmeno caso. Continuava a stare ferma fissando l'uomo davanti a sé apatica e silenziosa.
«Dimmi cosa è successo» chiese lui senza imporsi.
Non si allontanò da lei, erano più vicini di quanto fosse consono per una semplice conversazione, ma farsi indietro sarebbe stato come respingerla. Rimanendole di fronte continuò a osservarla spaesata. Era persa dentro di sé e non come quando rimaneva silenziosa e pensierosa nella buca per ore, era qualcosa di molto più profondo.
Helen sbatte le palpebre velocemente un paio di volte come se provasse a concentrarsi e cominciò a raccontare.
«Non sono arrivata in tempo. Il bombardamento è iniziato prima del mio arrivo. I danni sono stati pesanti. Quattro morti e sette feriti. Hanno spostato la linea più indietro per».

Uno sparo la interruppe bruscamente riducendo il volume della sua voce a poco più che un sibilo. Un solitario colpo di mortaio sparato come prova risvegliò la foresta e lei era ancora lì sola nella neve, circondata da spettrali e secchi alberi che non offrivano alcun rifugio.
Immobile, senza accorgersi del tempo che passava, guardava verso la radura distante molti metri. La nebbia era tanto fitta da sembrare solida e il suo sguardo si perse a seguire ombre immaginarie che correvano oltre quel macabro velo. Qualcosa di mostruoso le stava mostrando la sua immaginazione e lei ne era quasi attratta. Mentre sentiva il cuore martellare nel petto la voglia di avvicinarsi alle sagome cresceva e più quella aumentava, più i contorni si facevano nitidi e spaventosi, incuriosendola.
Si accorse di essere dentro una buca solo quando al posto dell'orizzonte grigiastro ci fu una linea di terra marrone a bloccarle la visuale. Non sapeva come ci fosse arrivata, non ricordava Speirs che la tirava a terra con sé al riparo nella conca. Non ricordava le mani che le stringevano il cappotto, il calore del corpo contro il suo, le imprecazioni pronunciate a pochi millimetri dal suo orecchio.
Tutto introno a lei era ovattato e si muoveva lento, silenzioso come nel più impalpabile dei sogni mentre la realtà sembrava lontana e fredda.
Ron le era accanto e parlava, ma la sua voce sembrava distante e distorta, come se fosse dietro a uno spesso vetro. Mani ruvide e gentili si posarono sul suo viso pulendola dalla terra e dalla neve e obbligandola a voltarsi, incrociò lo sguardo preoccupato dell'uomo e la realtà irruppe vivida e prepotente introno a lei.

Stand By YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora