34. Era solo un ragazzo

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Helen era in piedi al centro della piccola e spoglia stanza. Aveva i pugni stretti lungo i fianchi con le unghie conficcate nei palmi. Avrebbe dovuto restare in silenzio, lasciare che Ron uscisse e ignorare il suo ultimo sguardo gelido, ma non poteva. Fargli credere di essere andata a letto con un altro era stato crudele e Helen aveva creduto di poter fingere quel che bastava per lasciarlo andare via con quella convinzione, ma non aveva retto il peso del suo sguardo.
Era caduta nella sua stessa trappola.
Aveva sperato di vedere indifferenza in lui, ma nei suoi occhi gelidi qualcosa si era infiammato. Non poteva permettere che lui le credesse, non voleva lasciargli nemmeno il dubbio altrimenti non sarebbe più stata in grado di guardarlo in volto, e dio solo sapeva quanto aveva voglia di guardare il viso di quell'uomo.
«Jackson aveva 19 anni, era solo un ragazzino» spiegò all'uomo fermo sulla soglia che le dava le spalle.
Ron richiuse la porta e si voltò.
«Com'è possibile?!» domandò scettico.
Helen si fece indietro mettendo distanza tra di loro e si avvicinò alla finestra chiusa con le assi di legno. La notte stava finendo e le prime fioche luci del mattino passavano tra le fessure. Guardò in uno spiraglio e riuscì a vedere la strada vuota e i palazzi diroccati e silenziosi che, come carcasse di giganti, gettavano la loro ombra ovunque.
«Ha mentito all'arruolamento, aveva sedici anni non diciotto» spiegò continuando a osservare fuori «Quando l'ho scoperto era già maggiorenne e in Francia. Se avessi fatto rapporto alla polizia militare nessuno avrebbe ottenuto nulla, lui non sarebbe tornato a casa e la sua fedina sarebbe stata sporcata».
«Quindi hai deciso di non dire niente?» domandò lui con voce arrabbiata «L'unica volta che non ti intrometti è quando io formo la squadra per la tua folle idea di fare prigionieri».
«Non è stata una mia idea» gridò voltandosi verso di lui e trovandolo più vicino di quanto si aspettasse.
«Avresti potuto dirmelo ieri. Non c'erano volontari per la missione oltre a Webster e al nuovo ufficiale. Ho fatto io i nomi, l'ho mandato io laggiù, dannazione!» la interruppe Ron prima che lei aggiungesse altro «Lui era una mia responsabilità, la sua morte è una mia responsabilità, lo capisci?!».
Helen non si fece intimidire dal tono di voce o dalla rabbia che lo rendevano così diverso dalla sua solita impassibilità. Gesticolava mentre parlava, i suoi occhi erano vivaci e la voce faceva trasparire così tante cose che non sembrava nemmeno più lui.
«Lo stai chiedendo a me?» disse Helen indicando se stessa con un dito «Io scelgo i vostri obbiettivi, le strade da percorrere, i luoghi dove dormire. Io vi ho fatto prendere i ponti in Olanda mentre venivate massacrati dai carri tedeschi, io vi ho detto che Foy ci serviva anche se era una follia entrare in quel bosco in inverno. Io vi ho detto di attraversare quel maldetto fiume!».
Era stanca di essere considerata un accessorio, vedeva e provava le stesse cose di tutti loro. Aveva persone care tra quegli uomini e il terrore di perderli non la faceva dormire la notte.
«Questi sono ordini, tu non fai i nomi!» disse Ron sempre più arrabbiato.
Non le stava chiedendo di non fare il suo lavoro, sapeva quello che lei aveva fatto per tutti loro nel bene e nel male. Dal suo operato dipendevano le loro vite e forse questa volta avrebbe potuto fare di più.
«E cosa sarebbe cambiato se lo avessi saputo? Se avessi mandato Shifty, di ventidue anni, avrebbe fatto qualche differenza? Ross ha una figlia che non ha mai visto a casa, mandare lui avrebbe fatto qualche differenza?».
Helen avrebbe potuto continuare in eterno con la lista di uomini e di tutto quello che avrebbero potuto perdere oltre che la vita, ma non lo fece. Erano responsabili della vita di quegli uomini, mariti, figli, fratelli e scegliere qualcun altro non avrebbe fatto differenza, qualcuno sarebbe comunque morto.
«Mi hai fatto mandare a morte un ragazzino» le gridò in faccia e lei sbiancò facendo un passo indietro in silenzio.
Ron si accorse di essere andato oltre, lei aveva paura di lui e questo lo fece stare ancora peggio. Come aveva potuto non dirgli nulla, proprio perché lei sapeva cosa voleva dire avere quelle responsabilità avrebbe dovuto essere più comprensiva o almeno non rendergli le cose così difficili e invece non aveva detto nulla e gli aveva lasciato mandare Jackson in una missione inutile.
Fece anche lui un passo indietro mentre cercava di regolarizzare il respiro affannoso.
«Qualunque morto di questa notte sarebbe stata una tua responsabilità, sei il loro comandante, e non provare a scaricare il tuo senso di colpa su di me. Ne ho abbastanza dei miei di fardelli, non posso assumermi anche i tuoi» disse Helen riprendendo coraggio e provando a non urlare, ma il suo tono era pieno di rimprovero e rancore.
Ron sorrise amaramente mentre si passava una mano sulla fronte sudata spostando i capelli scuri.
«Quindi tu puoi farlo e io no. Tu poi lamentarti, sfogarti e fare la moralista, puoi ricordarmi di non essere diverso dai soldati tedeschi, di fare le stesse cose orribili senza battere ciglio, ma non sei in grado di ammettere un errore» era arrabbiato e sapeva che quella discussione che non avrebbe portato a nulla «Ricordati che i tuoi scarponi camminano nello stesso fango e nella stessa merda dei miei sempre, non solo quando vuoi tu».
Non avrebbe più sprecato una parola con lei, la sua prima impressione era corretta: era solo una ragazzina che giocava a fare il soldato.
«Vogliono un'altra pattuglia per domani notte» disse lei dopo essersi voltata verso la finestra per non mostrare quanto quelle parole l'avessero ferita.
Quanto avrebbe voluto essere là fuori da sola e poter gridare a pieni polmoni, poter piangere fino ad avere sonno e poi addormentarsi senza sentire più nulla. Quanto avrebbe voluto sapere quello che l'aspettava prima di partire, prima di ritrovarsi incastrata in una guerra che ogni giorno diventava sempre più lunga e spietata.
Ron non sarebbe tornato indietro questa volta, non ne sarebbe valsa la pena.
«Sai cosa ti dico Helen, fanculo i tuoi ordini, io non ne voglio sapere niente» e sbatté la porta alle sue spalle sperando di chiudere tutto quello che era successo tra loro in quella stanza e lasciarlo lì per sempre.

Winters non si accorse di Nixon prima che lui lo salutasse. Era ancora seduto sulla poltrona di tessuto rosa e la bottiglia di whisky accanto a lui era sempre più vuota.
«Ehi, Nix» disse il Comandante sedendosi sul divanetto impolverato «Ti piace proprio quella poltrona! Vuoi che la portiamo con noi?».
Lewis abbozzò un sorriso «Avrei dovuto portarla a Bastogne, almeno avrei avuto il culo asciutto».
«Saresti stato un bel bersaglio lì in mezzo» lo imbeccò Winters, due chiacchiere in tranquillità erano proprio quello che gli ci voleva per distendere un po' i nervi.
«Già! Ma almeno sarei sembrato un re» disse il soldato sedendo dritto e imitando una postura regale «Lewis Nixon III, Re della foresta».
Entrambi risero prima di essere interrotti dal trambusto proveniente dal piano superiore.
«Che succede?» domandò Winters voltandosi verso le scale con la mano sul fucile.
«Ah, mamma e papà litigano, ancora» rispose Nixon riprendendo la sua posa rilassata e il bicchiere lasciato a metà.
Winters scosse la testa. La situazione non gli piaceva, anzi non gli era mai piaciuta. Helen e Speirs sembravano essersi dati una calmata nelle Ardenne, almeno si trattavano civilmente, ma era una tregua durata troppo poco e non avevano bisogno di un'altra guerra.
Il rumore di passi si trasformò in urla, attutite dai muri quel tanto che bastava per non far comprendere le parole, ma i toni della conversazione erano chiari.
«Non mi piace, vado a vedere» disse il Winters già in piedi, ma Nixon lo bloccò prontamente.
«Helen non ha bisogno di te e non credo apprezzerebbe il tuo intervento» disse ricordando quanto la donna fosse contrariata quando qualcuno di loro interveniva in sua difesa «Risolveranno, e credo non ti vogliano lì quando accadrà».
«Nixon, non mi pare il caso» lo zittì Winters ancora non convinto a lasciar perdere.
Stavano chiaramente discutendo al piano di sopra e dalle grida Helen sembrava essere in grado di tenere testa al Tenente, ma comunque la cosa non gli piaceva.
Lewis sorrise divertito da quanto l'amico fosse miope «Quei due risolveranno, devono solo decidere se concludere o evitarsi per il resto della guerra. Insomma non ti accorgi di come...» ma dovette interrompersi sentendo i passi pesanti di qualcuno scendere le scale.
Speirs attraversò il salotto passando tra i due uomini e salutandoli con un grugnito e un cenno della testa. Non avrebbe perso altro tempo in chiacchiere e doveva passare almeno cinque minuti da solo per sbollire, non avrebbe saputo controllarsi ancora.
Entrambi i Tenenti lo seguirono con lo sguardo mentre usciva veloce come se scappasse inseguito da qualcosa, atteggiamento decisamente non da lui. Dick si voltò nuovamente verso l'amico alzando un sopracciglio con fare sconcertato dopo che Speirs sbatté la porta.
Nixon sospirò deluso e scosse la testa.
«Io avrei scelto l'altra opzione al posto suo» disse con voce leggermente alticcia mentre osservava il fondo della tazza vuota «Ed ecco la fidanzatina d'Amer...» commentò mentre Helen scendeva le scale ma fu interrotto, di nuovo, dalla voce infuriata di lei.
«Zitto Nixon, ne ho anche per te» commentò Helen ignorando la parte precedente della conversazione tra i due uomini.
Helen aveva ciocche di capelli che le circondavano il viso sfuggendo dalla coda, le guance arrossate e la voce leggermente rauca, proprio come chi ha urlato troppo. Aveva in mano una lettera arrivata durante lo svolgimento dell'operazione e che aveva trovato sulla soglia della sua stanza.
La porse a Nixon senza complimenti perché la leggesse e lui guardò Winters riprendendo la sua espressione seria.
«Vogliono un'altra pattuglia questa notte».

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Situazione drastica, direi. Secondo voi si risolverà? E si, come?
Fatemelo sapere nei commenti e lasciate una stellina!
Al prossimo aggiornamento!
Alex

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