9. Arrivi imprevisti

136 15 1
                                    

13 giugno 1944. Carentan, Normandia, Francia occupata

Come ordinato, alle prime luci dell'alba l'attacco stava per cominciare. Speirs e la Compagnia Dog aspettavano di sentire i colpi della Easy che aprivano le danze prima di attaccare il fianco nemico e mostrare la loro posizione. I colpi che sentirono però non erano quelli che si aspettavano.
Boati troppo profondi per essere della loro fanteria si levarono vicino a loro, non era il suono dei fucili o dei mortai, erano carri e loro decisamente non ne avevano.
Le lunghe bocche dei cannoni tedeschi si facevano spazio tre le fronde delle siepi, miravano a tutta la linea davanti a loro colpendo qualunque cosa lungo la linea di fuoco, soldati o alberi che fossero.
La Easy osservava quasi impotente l'avanzata dei pesanti mezzi corazzati che scavallavano l'altopiano per scendere nel campo che divideva le due trincee. Ai soldati fu ordinato di fare fuoco sulla fanteria tedesca mentre i mortai provavano a indirizzare i loro colpi contro i carrarmati quasi sempre mancandoli. Erano troppo lontani per poter mirare precisamente contro un blindato in movimento e sperare di fare dei danni, così il tenente Welsh decise che se proprio fosse dovuto morire lì, almeno lo avrebbe fatto con stile.
«McGrath vieni con me» disse il Tenente al soldato munito di bazooka che si trovava accanto a lui.
Aveva un'idea per distruggere almeno uno di quei maledetti carri che gli andavano incontro, ma non poteva metterlo in atto dalla buca sotto la siepe. Welsh trascinò il soldato in mezzo al campo abbastanza vicino al carro da poter sentire il cigolio delle ruote.
«Così mi farà uccidere, Tenente» urlò l'uomo terrorizzato mentre teneva il pesante tubo di ferro sulla spalla e aspettava che il suo superiore lo caricasse con un proiettile dalla forma simile a un siluro.
«Spara quando te lo dico» gli urlò Welsh ignorando la paura del soldato, anche lui ne aveva ma questo non lo avrebbe fermato.
Erano talmente vicini che in altre situazioni gli sarebbe bastato sussurrare per farsi sentire, ma in quel momento il frastuono era talmente forte che a mala pena urlando riuscivano a capirsi. Il rumore dei colpi di cannone copriva ogni altro suono, gli alberi che cadevano sotto le ruote cingolate sembravano più delicati degli enormi proiettili che dilaniavano il terreno facendo esplodere enormi zolle e chiunque vi fosse sopra. Forse solo le grida di terrore e dolore dei feriti facevano concorrenza alle bombe. I medici cercavano di fare il possibile, le urla che li chiamavano provenivano da tutte le parti e nemmeno con l'aiuto degli infermieri sarebbero stati abbastanza per soccorrere tutti, la fascia bianca con la croce rossa che portavano legata al braccio sinistro non li aiutava a schivare i colpi delle pallottole che ormai non avevano più un bersaglio preciso.
Welsh cercava di ignorare tutto quel frastuono alle sue spalle, aveva paura che se si fosse voltato per guardare i suoi stessi uomini feriti e urlanti avrebbe perso la calma e fare la loro fine sarebbe stato inevitabile.
«Ora» urlò nell'orecchio di McGrath, poi si allontanò per evitare di essere assordato dal colpo.
Il proiettile sfiorò appena la cima del carro senza fargli nemmeno un graffio. Il Tenente non poté che sperare di aver almeno colpito qualche uomo dietro di esso, ma non aveva intenzione di arrendersi.
Nonostante le sempre più vivaci richieste del soldato di tornare indietro a quel vago senso di riparo che le trincee offrivano, Harry Welsh ricaricò il bazooka e aspettò ancora pazientemente.
Quando il carro salì dritto su una collinetta di terreno smussato, lasciando scoperta la sua base, il bazooka di McGrath sparò di nuovo bucando la pancia del mostro di ferro e facendolo crollare a terra come se non avesse più vita.
Harry Welsh e John McGrath furono riaccolti come vincitori dalle file dei loro compagni che a stento riuscivano a credere a quello che avevano appena visto.

Helen sentiva il frastuono in lontananza e non poter vedere quello che succedeva la infastidiva notevolmente. Nessuno si era accorto della sua scappatella della notte precedente e nessuno degli ufficiali che aveva incontrato nelle trincee aveva fatto la spia, anche se era sicura che il capitano Winters prima o poi l'avrebbe detto a Nixon, quei due non riuscivano a non raccontarsi qualunque cosa accadesse.
Il Maggiore continuava a guardare il campo di battaglia dall'alto, gridando ordini che nessuno sentiva mentre il resto degli uomini faceva finta di fare qualcosa, anche se a quella distanza non erano utili a nessuno. Nixon aveva inviato alcuni della scorta con delle munizioni alle trincee, mentre l'intelligence lavorava sulle cartine cercando di trovare un modo per fare sopravvivere le truppe durante una ritirata che ormai sembrava inevitabile.
Helen aspettava davanti alla radio da almeno mezz'ora, non riusciva a discostare lo sguardo dal suo orologio, un modello classico con quadrante rotondo bordato in oro e cordino di cuoio nero. Era stato un regalo che sua sorella Luisa le aveva fatto qualche anno prima, dopo aver rotto accidentalmente quello che Helen le aveva prestato. Finalmente la radio cominciò a gracchiare e la donna fermò con un gesto della mano il marconista che vi si stava avvicinando per rispondere. Sollevò il ripetitore e ascoltò la voce distorta dall'altro lato.
Helen spazientita sbatté la mano sul tavolo.
«Mi avevate assicurato che avreste fatto in tempo!» disse con rabbia «Mi servono adesso, qui è un massacro!» continuò a gridare coprendosi un orecchio con la mano per cercare d'isolarsi dai rumori della battaglia.
«Non mi importa se dovete farli spingere dai vostri uomini, ma muovete più in fretta quei dannatissimi carri!».
Gli uomini intorno a lei la guardavano come se fosse pazza, probabilmente abituati com'erano a ignorarla nessuno aveva notato l'infinità di chiamate e bozze sulla carta da lucido che aveva fatto per tutta la notte. Il maggiore Strayer le aveva dato il premesso di fare tutto quello che avesse ritenuto necessario, e così lei aveva fatto.
«Le conviene sperare di arrivare in tempo o la riterrò personalmente responsabile di questo disastro. E spero che i suoi uomini calcolino la mira meglio di come lei calcola le tempistiche, altrimenti siamo tutti fottuti» disse senza il minimo pudore alla radio.
Non le interessavano le buone maniere in quel momento, erano in guerra.
«Grazie, Signore» disse con voce lievemente più calma «E no, non mi scuserò per i modi non adatti a una signora» concluse la chiamata spegnendo la radio.
Si voltò spostandosi la ciocca di capelli scuri che le era ricaduta sul volto, sfuggita a una delle forcine di metallo. Gli uomini intorno a lei continuarono a fissarla per alcuni istanti fino a quando l'ennesimo colpo di cannone non li fece sobbalzare. Helen si abbassò istintivamente come fecero tutti gli altri, in quel breve secondo in cui i suoi colleghi si erano accorti di lei si era resa conto di quanto quel suo modo di comportarsi fosse stato poco professionale ed esattamente quello che ci si aspettava da una donna, emotivo.

Si drizzò e nessuno sembrava più far caso a lei, tutti erano tornati al loro lavoro. Dal marconista fece chiamare la radio della Compagnia Dog, cercando di ignorare quello che era appena successo.
«Sono Backet, mi faccia parlare con tenente Speirs» urlò all'uomo che le rispose dalla trincea.
Avrebbe dovuto parlare con un comandante di compagnia ma la Dog al momento non ne aveva uno e al comando di un numero di uomini appena sufficiente a formare un plotone c'era Speirs.
«Siamo in guerra, Signora! Cosa diavolo vuole?» rispose dopo alcuni istanti un'inconfondibile voce dall'altro capo della radio, con un inconfondibile e arrogante modo di parlare.
«Deve ritirarsi. La Dog e la Fox devono ritirarsi dal fianco Est» disse ignorando i modi del Tenente e cercando di scandire il più possibile le parole per farsi capire.
«Lei deve essere pazza» rispose Speirs incredulo mentre urlava sopra il rumore dei carri sempre più vicini.
«So che non è un mio grande sostenitore, ma si deve fidare» disse la donna urlano a sua volta «Arrivano i rinforzi proprio alle vostre spalle. O si ritira o si troverà in mezzo al fuoco incrociato».

Il tenente Speirs allontanò la radio dalla bocca e imprecò vivacemente guardando la linea del nemico che si faceva sempre più vicina, poi allungò il microfono al marconista.
«Le dica che farò come ha detto» non le avrebbe dato la soddisfazione di sentirlo obbedire a un suo ordine, ma se aveva detto il vero, non aveva altra scelta.
Il marconista riferì e poi riagganciò la radio mentre il Tenente, in piedi fuori dalla trincea e ben visibile ai suoi uomini, dava l'ordine di ritirarsi e lo faceva comunicare dalle staffette anche alla compagnia Fox.

Sulla collina il maggiore Strayer continuava a osservare tutto da dietro le lenti del suo binocolo.
«Perché la Dog e la Fox si stanno ritirando? Chi ha dato l'ordine?» urlò voltandosi verso i suoi uomini.
«Io» disse Helen avvicinandosi al Maggiore e al tenente Nixon.
Tanto prima o poi lo avrebbero scoperto comunque quello che aveva fatto, era inutile nascondersi ed era abbastanza fiera di quello che era riuscita a ottenere. Ogni giorno che passava si sentiva più utile, cominciava a lavorare bene con le truppe e ogni tanto qualcuno persino la ringraziava. Non era certo come lavorare in un ufficio, sul campo di battaglia le cose cambiavano molto più rapidamente di quanto si pensasse, ma l'intraprendenza a Helen non mancava.
«Come si permette?!» le urlò a pochi centimetri dal volto il Maggiore «Quelle compagnie sono ai miei ordini».
Helen indietreggiò di un passo, ma non piegò il suo sguardo orgogliosa di aver finalmente scatenato una qualche reazione in quell'uomo sempre troppo pacato.
«E quelle sono ai miei» disse indicando un punto in lontananza dove apparentemente non c'era nulla.
Solo dopo aver posto nuovamente il binocolo davanti agli occhi Strayer notò uno spostamento in quella direzione. Alle spalle delle due compagnie in ritirata, che correvano dietro le linee della Easy andando ad arricchire le file dei tiratori, una lenta e progressiva avanzata di nuove truppe andava in loro soccorso.
«Ben fatto» disse Nixon piegandosi leggermente verso di lei «Davvero un ottimo lavoro per una donna» concluse ironico sapendo che l'avrebbe infastidita, ma anche che avrebbe capito la battuta.
«Davvero gentile per un uomo» rispose lei sorridendogli.

Dalle trincee americane si levarono grida di gioia quando si accorsero che qualcosa di ben più grosso e potente di loro faceva fuoco sui tedeschi e i loro carri. I paracadutisti ricominciarono a combattere con energia ed entusiasmo, probabilmente per la prima volta dall'inizio dello scontro riusciva a farsi spazio in loro una nuova speranza.
Le armate nemiche battevano in ritirata mentre gli Sherman del Secondo reparto corazzato arrivavano direttamente dalla spiaggia di Utah, mostrando solo una parte dell'enorme potenza di fuoco americana che continuava a sbarcare sulla costa. In meno di un'ora le trincee della Wehrmacht erano state distrutte e i carri americani erano parcheggiati in mezzo al campo dove fino a poco prima i tedeschi avanzavano.
Nel giro di un istante tutti avevano smesso di sparare. Non si sentivano più i fischi dei mortai e i rombi dei cannoni, le zolle di terra non saltavano in aria e nessuno oltre le siepi si muoveva. I tedeschi erano morti o in fuga e l'intero Secondo battaglione poté finalmente respirare sapendo che quella boccata d'ossigeno non sarebbe stata l'ultima.

Stand By YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora