16. Il suono della paura

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«Vattene» disse Helen senza voltarsi.
Aveva sentito i passi ovattati dal fango, aveva sperato fino all'ultimo che fosse solo una sentinella e che le sarebbe passata accanto fingendo di non notarla, ma lo scalpiccio si era arrestato dietro di lei e sentiva il peso di uno sguardo sulle spalle.
«Come sapevi che ero io?» domandò l'uomo ignorando la richiesta e rimanendo in piedi dietro di lei.
La sua sagoma era appena visibile nel buio, seduta a terra con la schiena curva e i capelli sciolti osservava in lontananza prestando poca attenzione a ciò che la circondava.
«Oh, non lo sapevo» rispose lei sincera.
Aveva pensato fosse Nixon o Buck Compton, Roe no di sicuro dato che era ancora alla tenda medica, ma era stata più sfortunata di quanto aveva previsto.
«La richiesta rimane la stessa».
Il tenente Speirs le si avvicinò e si sedette accanto a lei sull'erba. Helen non disse nulla, non aveva voglia di giocare, forse se lo avesse ignorato lui si sarebbe stancato e se ne sarebbe andato.

In lontananza la città di Eindhoven brillava come un macabro fuoco d'artificio mentre i tedeschi la bombardavano senza sosta. Market Garden era stata un fallimento su tutta la linea e l'Olanda era ancora saldamente controllata dai nazisti.
«Ho saputo cos'è successo a Nuenen» disse Speirs guardando in direzione della città che bruciava.
La Compagnia Dog era stata inviata verso un obiettivo diverso dalla Easy, ma a entrambe era stata ordinata la ritirata dopo un terribile scontro.
Lei non rispose, continuando con la sua strategia.
«A cosa ti riferivi l'altro giorno, a Eindhoven?» domandò lui insistendo e alzando decisamente la posta.
«Tenente, non ha nulla di meglio da fare?» domandò Helen guardandolo per la prima volta.
Questo era troppo. Andavano bene le provocazioni che poteva sopportare, il Tenente stava superando una linea che non doveva essere nemmeno toccata da lui. Non gli avrebbe detto nulla, non avrebbe avuto motivo di farlo e lui avrebbe dovuto saperlo, limitandosi per una volta e facendo a entrambi il favore di lasciar perdere.
Helen voleva stare solo in compagnia della silenziosa borraccia riempita con il whisky di Nixon e nessun'altro. Aveva abbastanza pensieri per la testa e le sembrava di sentire mille voci oltre la sua, sicuramente quella fastidiosa e fredda del tenente Speirs non era una di quelle che voleva ascoltare.
«Direi di no» rispose lui continuando a guardare avanti e ignorando i tentativi di allontanarlo, ma non aggiunse altro.
Al contrario di quello che lei credeva, lui era in grado di porsi dei limiti e capiva quando era meglio evitare di proseguire con certi argomenti anche se la curiosità era molta.
Speirs aveva già sistemato tutto, gli uomini erano stati informati dell'imminente partenza e dell'abbandono dell'operazione. La ritirata non piaceva a nessuno ma a volte era necessaria, soprattutto dopo sconfitte come quelle che avevano subito quel giorno.

«Se proprio deve stare qui almeno beva e stia zitto».
Helen deglutì un altro sorso di whisky e allungò la borraccia al vicino, aveva capito che lui non se ne sarebbe andato, ma non il perché.
«Credo che tu stia bevendo abbastanza per entrambi» rispose sfilandole il contenitore dalle dita e chiudendo il tappo prima di appoggiarlo sul suolo.
Diversi erano stati i feriti e i morti quel giorno, senza contare la devastazione che la ripicca tedesca stava causando ai civili, ma forse lei era un po' troppo melodrammatica.
«Sento ancora le loro urla» disse Helen in un soffio di voce «Finché sentirò le urla non avrò bevuto abbastanza» sentenziò prima di riprendere la bottiglia e bere avidamente un altro sorso.
Sentiva tutto nella sua testa, i suoi dubbi, gli spari, le urla. Gli ordini impartiti risuonavano ancora dentro di lei, le grida si facevano sempre più forti e le gelavano il sangue.
Il terrore aveva assunto un suono preciso quel giorno.
«Helen» disse lui ma non poté continuare perché venne interrotto dalla donna.
«Siamo passati al nome?» domandò scontrosa «Cosa ci fai qui, Ron?».
La sua presenza la innervosiva eppure non se ne era andata. Forse credeva di non meritarsi un momento di pace e continuava a torturarsi con i ricordi di quella giornata, con i nomi dei caduti. Si era fatta consegnare la lista dei morti appena era stata disponibile e l'aveva letta e riletta, ripetendoli in un discreto sussurro fino quasi a impararli a memoria. Ripetere era un modo per tranquillizzarsi, ma quella volta era diventato un modo per punirsi.
Lei e il Tenente non erano amici e non intendeva scambiare con lui più di qualche convenevole, soprattutto dopo la loro ultima conversazione. Era tanto chiedere di stare sola? Voleva solo piangersi addosso, a sentirsi in colpa e starci male, così il giorno seguente avrebbe potuto rindossare la sua maschera e andare avanti, continuare a lavorare e cercare di resistere.
Lui alzò le spalle, erano passati al nome nel momento in cui lei lo aveva spinto contro un muro insultandolo, quando era stata lei la prima ad annullare la distanza che continuava a mantenere con lui ma che aveva tolto con tutti gli altri uomini del suo grado.
«Ti ho vista mentre facevo il giro del perimetro» rispose con voce seria «E mi sono chiesto se stessi bene».
Helen si voltò verso di lui e incrociò i suoi occhi, non capì se fosse vera preoccupazione o solo un'ombra quella che gli vide nello sguardo.
«Certo che sto bene» disse retorica poi tornò a guardare la città esplodere pochi chilometri avanti a loro «Il piano a cui ho dato il consenso era una trappola. Gli inglesi hanno sottovalutato la minaccia. Sei morti e una dozzina di feriti. A Compton hanno sparato nel culo, un proiettile, quattro buchi».
Dopo la ritirata si era recata personalmente in infermeria per vedere come stava Buck. Lo aveva trovato piuttosto scosso, probabilmente si era dato per morto appena aveva sentito il proiettile lacerargli la cane, ma nessuno dei suoi uomini lo avrebbe lasciato lì nemmeno se non ci fosse stata speranza.

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