40. Il potere del Whisky

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Helen lo fissava negli occhi gelidi come la sua voce, ma in qualche modo questo la rassicurava.
Speirs era tutto quello che lei avrebbe voluto essere, asettica e concentrata, ma non ci riusciva più da molto tempo. Nella sua mente affollata da molti pensieri riusciva però a sentirne uno più chiaro degli altri, uno che le diceva di dimenticare tutto e prendersi quello che voleva, la stessa voce che stava zittendo da tempo.

In un impeto di coraggio e follia si avvicinò a lui, gli gettò le braccia al collo e lo baciò.
Ron le lasciò il polso all'istante, accogliendola tra le sue braccia senza perdere nemmeno un secondo di quel bacio. L'avvolse con un braccio, strofinando il palmo contro la camicia fino a raggiungere il fianco dove le sue dita stinsero possessive la carne della donna. La sentiva vicina ma non era abbastanza, voleva di più e sapeva che lo voleva anche lei.
Le sue mani scesero lungo il collo e si insinuarono sotto il bavero della giacca facendola cadere a terra vicino a quella di lei.
Quel bacio non era come il precedente, non era lento e quasi timido, ma forte e possessivo, e il fatto che fosse stata lei a prenderselo lo rendeva ancora più eccitante.

Helen sentiva il calore del suo corpo, sentiva come ogni cellula sembrava risvegliarsi sotto il tocco di lui, sentiva il suo respiro affannato, sentiva ogni cosa ed era bellissimo.
Le dita di Ron giocavano con sui capelli annodati, le sfioravano il collo, le stringevano i fianchi. Si spostavano su di lei come se dovessero esplorarne ogni parte e questo la intrigava. Non aveva mai pensato di ritrovarsi in quella situazione durante la guerra, ma in quel momento non era in grado di pensare a nulla, semplicemente sentiva e si lasciava guidare solo da quello di cui aveva bisogno ignorando ogni altra cosa.
Le sue mani si mossero spigliate e veloci come facevano le sue labbra su quelle del Tenente. Gli accarezzò il mento coperto da una scura barba, gli sfiorò il collo con la punta delle unghie lasciando una scia di brividi e arrivò al colletto della camicia. Passò le dita sui bottoni di cui conosceva la posizione e cominciò a slacciarli uno a uno mentre la stretta del Tenente dai suoi fianchi scivolava più in basso avvicinandola ancora di più a sé.

«Fermati Helen».
La sua voce era rauca e bassa, flebile quasi, ma comunque decisa. Le prese i polsi con gentilezza, mettendo pochi centimetri di spazio tra loro, guardando in basso per non fissare quelle labbra arrossate che avrebbe voluto divorare.
Ma lei non si fermò. Si spinse in avanti, riavvicinandosi e premendo le sue labbra su quelle dell'uomo. Era successo solo una volta prima di allora ma era come se lo facessero da sempre.
«Helen» Ron si era spostato di nuovo usando tutta la volontà di cui era dotato «Non così».
La desiderava così tanto che mai avrebbe pensato di essere in grado di tirarsi indietro, ma Helen non era in sé e lui non ne avrebbe approfittato. Era stanca e non solo per le poche ore di sonno, quello che avevano dovuto affrontare quel pomeriggio era stato tremendo per tutti. La guerra aveva scalfito anche lei e solo ora lui si rendeva conto di quanto per la donna tutto fosse stato più difficile e disumano che per loro. Helen sapeva cosa accadeva e ne aveva le prove, ma era dovuta stare in silenzio e fingere che fosse una guerra come tutte le altre dove due eserciti si scontrano su un campo di battaglia, ma quel campo ora erano le città, le case delle persone, le vite di tutti.
I loro superiori sapevano dei lager di prigionia, dello smembramento delle famiglie, dei trattamenti disumani e delle morti di fame e fatica, ma non avevano detto nulla per non peggiorare l'umore dei soldati, avvilendoli più del necessario e spaventandoli davanti a un nemico che di umano non aveva più nulla.

Helen sapeva tutto ed era rimasta in silenzio obbedendo e facendo il suo lavoro senza mai domandare aiuto. Ron si chiese quante delle volte che l'aveva vista pensierosa stava immaginando i campi, quante volte negli interrogatori con le SS aveva raccolto informazioni su quei luoghi facendo finta di non aver ottenuto nulla, quante volte si era sentita sola e in colpa per non poter fare nulla per quelle persone se non aspettare venissero trovate per caso. I tedeschi li avevano rinchiusi in campi per eliminarli, ma gli Alleati forse avevano fatto peggio, li avevano dimenticati ancora prima che fossero morti.
La donna si fece indietro arrossendo, l'euforia svaniva mentre la vergogna affiorava e si sentiva una sciocca ragazzina in preda a una cotta che non riusciva a controllare.
«Oddio» disse in un sussurro mentre si copriva il viso con le mani e si voltava cercando una via di fuga che non c'era.
Forse aveva travisato tutto e probabilmente si era resa ridicola. Non riusciva a credere a quello che aveva fatto e non riusciva a pensare cosa sarebbe accaduto il giorno seguente quando tutti, forse, lo sarebbero venuti a sapere. Aveva accumulato ogni cosa per mesi poi aveva ceduto solo per alcuni istanti e si era sentita meglio, come se il mondo in guerra che la circondava si fosse bloccato lasciandola libera di muoversi, ma aveva esagerato e non sapeva come poter rimediare.
Eppure non poteva essere tutto nella sua testa. Lui si era fatto avanti e non aveva mai smesso di osservarla anche se da lontano e Helen lo sapeva perché lo faceva anche lei.
La notte fuori dal convento sembrava essere accaduta solo poche ora prima e più provava a non dargli importanza, meno aveva il controllo su quel ricordo. Non sapeva se per lui quella fosse solo una bravata, una notte da aggiungere a molte altre con chissà chi, e non avrebbe avuto il coraggio di chiederlo.

Sentì la mano dell'uomo sulla spalla afferrarla dolcemente facendola girare, nulla a che vedere con la stretta possessiva di poco prima. Senza che potesse dire nulla la strinse a sé, circondandola con le braccia, respirando l'odore dei suoi capelli sciolti mentre li sfiorava con le dita. La sentì rilassarsi contro di lui e desiderò che quel momento durasse il più a lungo possibile.
Helen rimase con il viso posato sul torace dell'uomo sentendolo respirare lentamente, sentendosi al sicuro per la prima volta dopo tanto tempo. Forse aveva avuto ragione, forse aveva fatto bene ad agire d'impulso e prendersi quello di cui aveva bisogno che ormai coincideva con quello che voleva.

«Devi riposare» disse la voce profonda di Ron con una punta di amarezza data dalla consapevolezza di doversene andare.
La sua camicia era nuovamente allacciata, ma la giacca era ancora per terra. Sarebbe voluto restare con lei, avrebbe voluto che tutto quello fosse accaduto in un modo diverso, in un luogo diverso, ma quella era la loro realtà e non potevano scappare, solo tentare di renderla un po' meno amara.
Helen rabbrividì come se solo l'idea di allontanarsi dal calore di lui l'avesse fatta tornare nella neve delle Ardenne. Aveva paura che tutti i volti dei suoi incubi si sarebbero fatti vedere e quel giorno in centinaia si erano aggiunti alla già lunga lista. Non voleva restare sola, di questo era certa, ma fino a quel momento non aveva capito quanto volesse che fosse proprio lui a starle accanto.
«Non mi lasciare» disse con voce lieve che non sembrava nemmeno la sua, stringendo i lembi della camicia per non farlo allontanare.
Ron sorrise silenziosamente mentre le posava un leggero bacio sui capelli che sapevano di fumo di sigaretta e sapone da bucato.
«Non vado da nessuna parte».

Quando Ron uscì dal piccolo bagno la ragazza era già a letto. Aveva tolto la camicia e indossava solo una maglietta di cotone bianca mentre i pantaloni verdi erano nascosti sotto le coperte pulite. Era stesa su un lato e i riccioli scuri le circondavano il viso. Doveva essersi addormentata appena aveva posato la testa sul cuscino.
Ron la fissò per alcuni secondi, osservando bene ogni dettaglio della figura della donna e cercando di imprimerlo nella sua mente, poi sospirò togliendosi inadatti pensieri dalla testa e si sedette sulla poltrona a distanza di sicurezza. L'avrebbe guardata tutta la notte se avesse potuto, ma anche lui doveva riposare se voleva affrontare la giornata seguente.

Helen sbuffò aprendo lentamente gli occhi assonnati.
«Quella poltrona sembra scomoda» constatò spostandosi su un lato del letto per lasciarne una metà libera, ma tenendo la maggior parte della coperta.
Ron deglutì passandosi una mano sul volto e rendendosi conto di quanto poco controllo avesse sulla situazione e su se stesso. La sua fermezza era messa a dura prova e per la prima volta aveva voglia di perdere.
«Oh, andiamo» disse la donna «Sei scorbutico abitualmente, figuriamoci se non dormi. Vuoi che mi senta in colpa per tutti i poveretti della Easy che ti dovranno sopportare domani?».
L'uomo sorrise sfilandosi gli scarponi e lasciandoli accanto alla sedia.
«Tu mi farai impazzire» disse mentre si alzava e si sedeva sul materasso accanto a lei, posando la testa contro la spalliera del letto.
Rimase fermo nel piccolo spazio che la donna gli aveva lasciato, lei aveva la capacità di tranquillizzarlo e agitarlo allo stesso tempo e non ne aveva mai abbastanza.
Non si mosse continuando a fissare la parete grigia davanti a lui mentre sentiva il respiro di Helen farsi sempre più pesante man a mano che il suo sonno si faceva più profondo. La sentì voltarsi verso di lui rimanendo su un fianco nella sua metà, ma le sue sottili dita scivolarono tra quelle dell'uomo e fu a quel punto che Ron, stringendo la mano della donna accanto a lui, si addormentò.

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Ciao a tutti!
Ecco una nuova parte e qui ho proprio bisogno di sapere la vostra opinione! Le cose procedono come vi aspettavate??
Fatemelo sapere nei commenti e non dimenticate di votare!

Al prossimo aggiornamento!
Alex

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