23. Gelido Inverno

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16 Dicembre 1944. Mourmelon-le-Grand, Francia.

La Taverna dei Sette Peccati riempiva la parete con le sue immagini in bianco e nero mentre le battute degli attori, che alcuni soldati ormai sapevano a memoria, erano interrotte solo dal ronzio del vecchio proiettore. Il pavimento di legno umido scricchiolò sotto gli scarponi di Helen quando entrò nella sala, ma nessuno si voltò verso di lei, Marlene Dietrich aveva catturato tutta la loro attenzione.
Helen rimase un secondo a guardare lo schermo catturata dalla bellezza magnetica dell'attrice e inconsapevolmente si passò una mano sul viso.
Non ricordava l'ultima volta che si era presa un po' cura di sé, sicuramente non aveva a disposizione un negozio di cosmetici, ma la cipria e il rossetto che aveva nel suo bagaglio non erano ancora stati aperti. Scosse la testa e si spostò una ciocca di capelli ribelli del viso, non era quello il luogo per pensare a come truccarsi ed era già abbastanza osservata senza bisogno di attirare l'attenzione con del rossetto.

Si sedette dietro a Buck, Winters le aveva detto che era arrivato quel pomeriggio dopo una lunga degenza in ospedale. Quasi sempre gli uomini tornavano alla loro compagnia dopo il ricovero, ma era difficile avere loro notizie mentre erano lontani. Nemmeno di Moose avevano più saputo nulla per giorni fino a quando non era arrivata una lettera dove confermava di star migliorando e si rammaricava di non poter essere il comandante che la Compagnia Easy meritava.
«Ciao, Buck» disse sottovoce per non disturbare.
Non le avrebbero perdonato l'interruzione del film anche se era sicura che pochi di loro stessero realmente seguendo la trama.
Il tenente Compton non mosse un muscolo, non sembrava averla sentita né essersi accorto della sua presenza. Continuava a fissare dritto davanti sé la parete come se stesse tentando di bucarla con lo sguardo.
«Come stai?» insistette di nuovo la ragazza alzando leggermente la voce, ma ancora una volta non ricevette nessuna risposta, come se stesse parlando a un manichino.
Helen posò delicatamente la mano sulla spalla del soldato, non voleva spaventarlo ma cominciava a preoccuparsi.
«Buck!» lo chiamò ancora una volta e lui si voltò.
Forse il suo tocco aveva riportato la sua mente vagante dentro il corpo, oppure il tono duro ma preoccupato l'aveva distratto dal film.
Gli occhi di Buck non aveva solo il colore del ghiaccio, ma anche l'aspetto.
«Ciao, Helen» disse lui guardandola spaesato con la voce rauca di chi si è appena svegliato.
«Ti piace il film?» domandò lei con un finto sorriso.
Non aveva nulla di cui preoccuparsi si ripeteva, era difficile tornare a quella realtà dopo aver passato qualche settimana tra lenzuola pulite e docce calde. Arrivare lì non era certo come tornare al campo estivo dove sapevi che avresti rivisto gli amici di sempre, in quel posto non sapevi mai quali volti ti avrebbero accolto e quali non avresti più rincontrato.
«Si» disse con voce titubante «Veramente bello» poi si voltò verso le immagini che scorrevano sulla parete con braccia incrociate e le spalle ricurve in avanti.
Helen sapeva che la pellicola non era molto bella e sicuramente non all'altezza di capolavori come Casablanca, e sapeva anche che Buck quel film non lo stava guardando.

Si appoggiò allo schienale della sua sedia alzando lo sguardo verso la proiezione ma senza prestargli troppa attenzione. Compton non era solito comportarsi così, si era aspettata un saluto un po' più caloroso e vederlo freddo e distante le faceva pensare che qualcosa non andasse in lui.
La luce si accese all'improvviso mentre più di un paio di scarponi camminava pesantemente sulle fragili assi di legno. L'ufficiale Norman Dike, il nuovo tenente comandante della Easy fortemente raccomandato dall'alto, salì sul piccolo palco della sala tra il dissenso generale dei soldati interrotti in uno dei pochi momenti di svago.
«Silenzio» urlò con tono autoritario e la platea, anche se di mala voglia, ubbidì.
«Elementi di due divisioni Panzer delle SS sono penetrati nella foresta delle Ardenne, hanno decimato la Ventottesima divisione fanteria» parlava veloce come se stesse leggendo da un foglio invisibile, o meglio, come se avesse imparata il discorso a memoria «Gli ufficiali vadano a rapporto ai rispettivi quartier generali e i militari in servizio alle loro baracche. Tutti i permessi sono annullati».
Un nuovo brusio sempre più contrariato si levò dagli uomini, non solo li stavano riportando in prima linea in pieno inverno, ma il Capitano faceva anche il sarcastico: erano tutti in servizio dal momento in cui aveva annullato tutti i permessi.
«Helen» disse Dike passandole accanto mentre si alzava «La stanno cercando dagli uffici dell'intelligence, dovrebbe fare rapporto anche lei».
La donna lo fissò per un istante, quell'uomo non piaceva a nessuno e tanto meno a lei. Era arrivato da poco ma si comportava come se fosse sempre stato lì, come se fosse qualcuno che conoscevano e di cui si fidavano, esigeva un rispetto che non aveva mai mostrato di meritare e per la Compagnia Easy non era un comportamento accettabile.
«Agente Backet, prego» rispose la donna.
Non gli aveva mai detto di chiamarla per nome, si erano visti appena un paio di volte e questo non era sufficiente per prendersi libertà che avevano uomini con cui aveva condiviso mesi e mesi di guerra. Helen si mostrava amichevole con molti, ma mai era per caso o pura cortesia. Anche lei come tutti doveva mantenere un ruolo e non era un lavoro facile, al capitano Dike non avrebbe fatto alcuno sconto.
Dike la guardò sorpreso poi si guardò intorno in cerca di testimoni di quella sua brutta figura «Arrivederci, Agente» le disse mentre si allontanava rosso in viso tra la folla di uomini.

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