25. Dolore

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Helen barcollava tra le buche, strisciando i piedi per terra si allontanava dalla prima linea verso il Centro di Comando dove era stata chiamata. Teneva la sciarpa umida e sporca fin sopra il naso, il suo respiro le riscaldava il viso ma tra un sospiro e l'altro il freddo pungente tornava a farla tremare. Aveva naso e labbra talmente screpolate che sanguinavano ogni volta che li muoveva, le dita delle mani si erano ingrossate a causa dei geloni e i palmi si erano coperti di tagli e croste. Non si cambiava i vestiti da giorni e nemmeno si lavava più. L'unica acqua che riuscivano ad avere era neve sciolta e usarla per pulirsi voleva dire avere ancora più freddo e rischiare di ammalarsi.
Winters l'aspettava seduto su un tronco, con il collo infossato tra le spalle mentre si soffiava sulle mani screpolate e batteva i piedi a terra cercando di scaldarsi. Non c'era differenza di rango in quel posto, avevano tutti freddo, dall'ultimo rimpiazzo al comandante di Compagnia.
Il Tenente subito non riconobbe la donna nascosta da molti strati di lana infeltrita, nemmeno il suo avanzare era più riconoscibile, tremava talmente tanto tra un passo e l'altro che sembrava sempre sul punto di cadere.
«Helen» disse quando lei si calò la sciarpa dal viso e si sedette accanto a lui «Ho brutte notizie».
Lei si sforzò di sorridere e si impegnò per non mordersi la lingua a causa del battere incessante dei suoi denti «Allora è tutto nella normale».
Winters cercava di non fissarla, ma era quasi irriconoscibile e questo lo turbava. Probabilmente anche lui era diverso, con la barba di alcuni giorni, i capelli più lunghi di quanto avrebbe voluto e le violacee occhiaie che gli coloravano il viso.
«Hanno abbattuto gli aerei con i rifornimenti a quaranta chilometri dall'inizio della foresta» le spiegò ripetendo quello che gli era stato riferito alla radio «Dobbiamo fare con quello che abbiamo almeno per un'altra settimana».
Gli ultimi rifornimenti erano stati lanciati otto giorni prima ed erano talmente scarsi da non permettere nemmeno a tutti i soldati di avere una razione alimentare a pasto. Ma non a molti importava, quasi tutti avevano smesso di contare le ore, si mangiava quando si aveva fame, si dormiva quando non si era di guardia e il cielo tetro dell'inverno faceva distinguere a stento il giorno dalla notte.
Helen non rispose, continuò a guardarsi le mani tremanti mentre l'ennesima fitta alla pancia le provocava un altro conato di vomito che celò malamente con un forzato colpo di tosse.
Era già un paio di giorni che le fitte si facevano sentire, ma non così di frequente come in quel momento. Sapeva che qualcosa non andava e aveva dato la colpa al poco cibo, al freddo e al tanto stress. Aveva stretto i denti e aveva ignorato i rimproveri di Eugene che voleva farla portare in città almeno per un pasto caldo e una doccia. Il Dottore era stato insistente ma lei aveva smesso di ascoltarlo chiudendosi in una bolla di mutismo tanto spessa che non si parlavano da più di un giorno.
Era solo stanca e persino pensare la sfiniva. Passava le sue giornate accovacciata nella buca fredda e umida guardando il bosco davanti a lei, ascoltandone i tetri versi e le voci dei morti. Era sicura di averli sentiti gridare e piangere durante la notte e sapeva di non essere l'unica.
Winters non sapeva più come tenere i suoi uomini occupati e se anche ci fosse stato qualcosa da fare erano tutti troppo provati per farlo. L'unico momento in cui si ravvivavano era quando gli attacchi dei tedeschi si scagliavano contro di loro. L'adrenalina entrava in circolo facendo risvegliare gli uomini che miracolosamente recuperavano vigore e forza, urlavano ordini e insulti, sparavano alla nebbia davanti a loro e correvano come fulmini per ripararsi dietro gli alberi e dentro le buche.
«Sei pallida» le disse Winters notando il colorito spento della donna e accorgendosi che qualcosa non andava.
Erano giorni che non la vedeva vagare per il campo e ora sembrava un soprammobile seduta silenziosa accanto a lui.
«Sto bene» disse Helen senza smettere di battere i denti e stringendosi la pancia con le braccia «Sono solo stanca».

Un'altra fitta, un altro conato.

Dick avvicinò una mano al viso della ragazza, voleva posarle il palmo sulla fronte per sentire se avesse la febbre ma lei non si lasciò toccare. Si alzò di scatto e la sua vista si annebbiò per un istante, barcollò un paio di passi poi cadde in ginocchio nella neve con una mano a terra e l'altra che stringeva l'addome.
La testa bassa celava un ghigno di dolore mentre l'elmetto rotolato via aveva scoperto la massa i capelli arruffati e sporchi.
Winters si gettò accanto a lei. Le parlava, le chiedeva cosa non andasse, ma Helen non sentiva nulla se non un fastidioso fischio che le perforava i timpani.
La fitta alla pancia non era più una fitta, ma un lungo dolore continuato che variava d'intensità senza mai smettere, come se qualcuno si divertisse ad affondarle una lama nelle budella e continuasse a muoverla senza pietà. Avrebbe voluto gridare dal male, ma non aveva abbastanza fiato.
«Il dottore!» urlò Winters, facendosi sentire dai soldati delle buche più vicine che scattarono a cercare Roe, mentre lui inginocchiato a terra sosteneva la ragazza per non farla accasciare sulla neve che l'avrebbe infreddolita ancora di più.

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