41. Una Possibilità

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28 Aprile 1945, Landsberg am Lech, Baviera, Germania.

Nixon non stava ascoltando Richard che parlava ininterrottamente da quando aveva fatto irruzione nella stanza della casa che dividevano. L'uomo continuava a esporgli le direttive arrivate dal Comando e di come la situazione fosse peggiore di quella che avevano immaginato, nulla che Nixon già non sapesse o che potesse interessargli in quel momento. Era decisamente troppo presto, il campo ancora dormiva e avrebbe voluto farlo anche lui, ma Richard non era stato clemente. Dalla sua retrocessione non lo mollava un secondo e questo includeva svegliarlo prima dell'alba per ritirare gli ordini del Generale appena arrivati.
Erano usciti sul marciapiede quando, alzando gli occhi dopo aver accesso una sigaretta, Nixon osservò la jeep parcheggiata dall'altro lato della strada. Quell'auto non sarebbe dovuta essere lì, nessuna delle donne che dormivano in quell'edificio ne avevano una a disposizione ed era troppo presto perché qualcuno fosse già a gironzolare.
Afferrò Winters per un braccio e lo fece rientrare nella nicchia del portone da cui erano appena usciti.
«Zitto e guarda» disse prima che potesse protestare.
Nixon se lo sentiva di aver avuto la giusta intuizione e non dovette aspettare molto perché la sagoma che aveva intravisto scendere le scale attraversasse l'uscio del palazzo davanti a loro e assumesse un volto.

Ron uscì dal portone con le chiavi della jeep in mano e la sigaretta già accesa in bocca. Si guardò intorno frettolosamente poi salì sull'auto e si allontanò verso il perimetro della cittadina.
«Lo sapevo» esclamò Nixon uscendo dal suo nascondiglio trionfante «Da quanto è che te lo dico, eh Dick?» domandò sarcastico all'amico.
Richard non sapeva cosa dire, indubbiamente Lewis aveva ragione e per quanto avesse provato a ignorare tutti i segnali fino a quel momento concedendo a Speirs ed Helen il beneficio del dubbio, ora non poteva più negare nulla. Vederlo uscire dal palazzo dove lei dormiva era una conferma evidente delle voci che correvano sui due, ma lui rimaneva comunque senza un modo per affrontare la situazione.

«Questa mattina è stata proclamata la legge marziale in tutta la città. I tedeschi sani sopra i 14 anni si occuperanno delle sepolture e della manutenzione del campo sotto il controllo della Decima divisione» spiegò Nixon ripetendo gli ordini che avevano appena ricevuto dal colonello Sink.
Winters avrebbe dovuto presentare il piano, ma gli aveva lasciato la parola e se ne stava a fissare con sguarda smarrito gli uomini intorno al tavolo. Nixon cominciava a temere che la scoperta fatta quella mattina lo avesse destabilizzato un po' troppo, ma Winters era solo pensieroso e non aveva voglia di dare voce ai suoi pensieri.
«Alle 12 partiamo per Thalem quindi, a meno che qualcuno di voi non voglia prendere casa e mettere su famiglia in questo buco, siate puntuali».
Helen a quelle parole si sforzò di non mandare di traverso il caffè che stava bevendo, nascondendosi dietro il bordo della tazza. Una risatina nervosa si alzò dagli uomini intorno a lei e immaginò che tra di loro vi fosse anche Speirs, ma non lo cercò con lo sguardo. Sapeva che Nixon aspettava solo un suo passo falso e non gli avrebbe dato la soddisfazione di spettegolare su di lei, anche se data l'inopportuna battuta proprio quella mattina poteva immaginare che avesse già del materiale.
Si congedò dai tenenti e uscì evitando inutili chiacchere di circostanza. Doveva prendere una boccata d'aria e schiarirsi le idee sul da farsi.

Ron quella mattina era uscito prima che lei si svegliasse e questo la rendeva più tranquilla dandole una scusa per evitare, ancora una volta, la conversazione che ormai non poteva più rimandare. Fece un respiro e cominciò a riordinare le idee, a pensare a cosa dire a Speirs, a Nixon o addirittura a Winters se le avesse chiesto spiegazioni nel caso in cui Lewis gli avesse spifferato ogni suo sospetto.
«È maleducazione non salutare» disse una voce che conosceva fin troppo bene.
Helen roteò gli occhi «Anche sparire di prima mattina» rispose senza voltarsi verso l'uomo che la seguiva.
«Questione logistica, dovevo spostare la Jeep, ma a quanto pare non ho fatto in tempo».
Helen si bloccò di scatto. Aveva ragione, non si era immaginata tutto e quella battuta era per loro. Afferrò Ron per la giacca e lo spinse nel vicolo accanto, abbastanza piccolo e defilato da concedergli un po' di privacy.
«Cosa hai detto a Nixon?» non era una domanda.
Lewis poteva essere intelligente, ma accorgersi di qualcosa da una Jeep parcheggiata sembrava un po' troppo anche per lui, a meno che non avesse avuto altri motivi per confermare le sue idee.
Ron si liberò dalla presa della donna. Il vicolo era stretto e gli bastarono due passi perché lei arretrando si trovasse con le spalle al muro.
«E tu?».
Helen non rispose, le mancava l'aria tanto da non riuscire a parlare e quel silenzio la fece sembrare colpevole. Si era ripromessa che non le sarebbe successo mai più e invece era di nuovo spalle al muro e ce l'aveva messa qualcuno di cui si fidava.
«Helen» la chiamò Ron avvicinandosi preoccupato dopo averla vista sbiancare tutto d'un colpo.
«Spostati» fu tutto quello che lei riuscì a dire mentre il suo viso era sempre più pallido, la sua gola sempre più secca e i palmi sempre più sudati «Ti prego».
Ron si spostò lasciandole spazio e la guardò mentre si reggeva contro il muro con gli occhi chiusi e la mano sul petto come a voler sentire il proprio respiro.
«Helen, cosa diavolo sta succedendo?» insistette lui provando ad avvicinarsi nuovamente, ma lei lo fermò alzando un solo dito.
Prese gli ultimi profondi respiri, aprì gli occhi, si staccò dal muro e parlò.
«Io non ho detto niente e non lo farò perché sarebbe la mia rovina» disse sottovoce mentre cercava di non arrabbiarsi «Non ho nulla da guadagnarci a farlo sapere in giro».
Ron la fissò e a stento riconobbe gli occhi pieni di terrore della ragazza. Non era la guerra a spaventarla quella volta, non erano gli orrori che aveva visto o il peso delle decisioni che sentiva costantemente, era stato lui.
«Spiegami Helen, cosa sta succedendo?» domandò preoccupato.
Non gli importavano i sospetti di Nixon o le opinioni di Winters, voleva solo sapere cosa stava accadendo a lei.
«Non cambiare argomento» disse lei a voce alta quasi strillando.
Non si sarebbe fatta incantare da lui, non ancora.
«Se qualcuno lo sapesse perderei te, quindi no, non ho detto nulla. Perché avrei dovuto rischiare?» rispose lui gridando a sua volta.
Helen arretrò e guardò la strada sotto i suoi piedi senza rendersi conto di aver distolto lo sguardo. Ron rimase sorpreso nel vederla con gli occhi abbassati anche se solo per un istante. Tutte le volte che avevano discusso, o anche solo parlato, lei non aveva mai scostato lo sguardo, mai mostrato un segno di cedimento nemmeno quando lui si era permesso di urlare contro.
«Perché quello che fate vuoi uomini, vi vantate e tenete il conto come in una stupida gara».
«Io non sono tutti gli uomini» rispose lui senza lasciarla finire con una punta di amarezza nella voce.
Non gli importava quello che pensava degli altri, ma di lui si. Ron cominciava a capire cosa si celasse sotto la preoccupazione e le scuse, ma non poteva solo ipotizzarlo, lei doveva dirglielo. L'aveva già vista piangere e tremare, non per il freddo e non era stato piacevole, ma vederla aver paura di lui era molto peggio.
Sapeva che non erano stati i suoi modi a infastidirla, avevano già litigato molte altre volte e per i più futili motivi, Ron aveva scalfito una superfice che cominciava a sgretolarsi e Helen ne era sopraffatta.
«Devi darmi una possibilità, Helen, perché io non sono lui» disse senza avvicinarsi, lasciandole tutto lo spazio di cui aveva bisogno «E devi dirmi chi è, e se è qui ora».
«Non è qui, non so dove sia, non più ormai» si affrettò a dire prima che il Tenente potesse pensare che qualcuno degli uomini le aveva fatto qualcosa.
Ron annuì sollevato almeno in parte «Cosa è successo?».

Helen lo fissò appoggiata al muro che l'aiutava a sorreggersi, quegli occhi blu continuavano a tormentarla come se scavassero dentro di lei, come se la ipnotizzassero e la rendessero incapace di stare zitta esattamente come la sera prima. Raccontò tutto, o quasi, di quello che era successo con Edward due anni prima e, mentre il peso del segreto si alleviava, la paura di essere giudicata aumentava. Anche se con razionalità sapeva di non avere responsabilità in quello che le era accaduto, ma nulla in quegli anni l'aveva fatta sentire meno in colpa, come se sé la fosse cercata.
Helen avrebbe dovuto avere difficoltà a fidarsi, dopo quello che le era successo era legittimo che ci andasse cauta con gli uomini, eppure non sembrava aver mai avuto dubbi o sospetti sui suoi collaboratori, solo Ron non riusciva a scalfire del tutto la sua diffidenza.
Più Helen raccontava più lui cominciava a capire. Il suo ruolo non era messo in discussione né lo erano le sue capacità da Tenente, ma il suo essere un uomo e volerle stare accanto era continuamente sotto esame. Ogni sua mossa e parola erano valutate con attenzione e diffidenza, e tutta questa importanza che lei gli dava da una parte lo esaltava, ma sapeva anche che era la principale cosa che li allontanava.
«E tu eri, insomma voi quanto eravate...» Ron aveva ascoltato in silenzio seguendo con lo sguardo i gesti frenetici della ragazza attenta a evitare di incrociare il suo sguardo.
Doveva sapere cos'era quello che c'era stato tra lei e il suo ex fidanzato, doveva saperlo perché il solo pensiero che fosse tra le braccia di un altro lo faceva innervosire e voleva capire quanto lui fosse stato subdolamente capace di distruggere la donna più forte che avesse mai conosciuto.
Helen arrossì, ma non poteva non dargli le spiegazioni che chiedeva, era pronta a giocarsi tutto e solo dopo aver visto la reazione dell'uomo avrebbe capito se dargli una possibilità.
«Ron, dovevamo sposarci. Era il mio migliore amico, il più stretto collaboratore di mio padre, come un figlio per mia madre. Andavamo in campagna nel fine settimana e per visitare i suoi genitori impiegavamo due giorni di viaggio» spiegò Helen imbarazzata e forse cercando giustificazioni «Eravamo intimi ed ero innamorata di lui».
Ron annuì ancora in silenzio per qualche istante. Non era facile metabolizzare ma avrebbe dovuto aspettarselo. Helen era una donna indipendente, moderna e a modo suo sfacciata. La fissò cercando il suo sguardo e si accorse che lei non era cambiata. Quello che gli aveva detto non aveva avuto alcun impatto su come la vedeva. Era sempre lei, con i ricci ciuffi ribelli a incorniciarle il viso, gli occhi scuri ed espressivi circondati dalle ciglia folte, il naso non perfettamente dritto e le labbra carnose e screpolate. Era sempre lei e gli faceva sempre lo stesso incontrollabile effetto.
Si avvicinò e la baciò cogliendola di sorpresa, proprio come la prima volta, e dopo un secondo di esitazione lei si fece cullare dalle rassicuranti carezze dell'uomo. La paura era svanita, scacciata da un famigliare senso di sicurezza che provava quando lui le stava accanto. Forse era quello di cui aveva bisogno per andare davvero avanti e dargli una possibilità era l'unico modo per tronare a fidarsi anche delle sue scelte e decise di concedersi il lusso di essere felice per il tempo che la guerra le avrebbe concesso.

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Ciao a tutti!
Questo nuovo capitolo potrebbe essere un punto di svolta per la relazione tra Helen e Ron, lo scoprirete solo continuando a leggere.
Lasciate una stellina e un commento per farmi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo aggiornamento!
Alex

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