Capitolo XXV - Save the Queen

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Scatter her enemies,
and make them fall.
Confound their politics,
frustrate their navish tricks,
on thee our hopes we fix,
God save us all.
Thy choicest gifts in store
on her be pleased to pour,
long may she reign!
May she defend our laws,
and ever give us cause
to sing with heart and voice,
God save the Queen!(2)

(anthem of the United Kingdom)


Sua Maestà, la regina Vittoria, scese dalla carrozza senza aiuto alcuno.
Comunemente, v'era sempre un lacchè pronto ad offrirle l'appoggio necessario a posare i piedi a terra senza pericolo né impaccio, e con la grazia che ci si attende da una sovrana.
Per una notte al mese, al contrario, Vittoria rinunciava ad una manciata di privilegi dovuti alla propria corona, a favore della maggiore discrezione possibile.
La carrozza sulla quale viaggiava in suddetta occasione era priva di stemmi, i cavalli non appartenevano alle scuderie reali ed il cocchiere era un uomo fidato che prestava i propri servigi soltanto per quella notte. Nessuno avrebbe potuto riconoscere in lui uno dei cocchieri abitualmente impiegati dalla casa reale.
In più, Sua Maestà viaggiava completamente sola.
Nessuna delle sue dame di compagnia, né tanto meno cameriere o governanti, erano coinvolte. Una sola persona di troppo avrebbe potuto destare l'attenzione: un errore fin troppo facile a commettersi.
Nemmeno il Principe, suo consorte, l'aveva mai accompagnata.
Vittoria era stata costretta a metterlo a parte del proprio segreto. Però aveva sfruttato tutta la propria determinazione – nonché la devozione che Alberto nutriva nei suoi confronti – per costringerlo a giurare di non tentare mai di accompagnarla o seguirla in quelle sue uscite notturne, all'insaputa dell'intera corte e del governo e dell'Impero tutto.
Fosse stato per la giovane regina, nemmeno Alberto avrebbe mai appreso qualcosa del suo segreto.
Era però stato inevitabile, dopo i primi tempi del loro matrimonio, svelargli quanto era stato gelosamente custodito per anni ed anni. La presenza del Principe nelle giornate di Vittoria, e nel suo cuore, l'aveva resa incauta ed Alberto era fin troppo brillante per non accorgersi dei piccoli misteri che circondavano la moglie.
Posso non essere un inglese, ma non sono uno stupido.
E così la regina, che sarebbe stata acclamata come una fra le più grandi della Storia, aveva reso le armi di fronte all'affetto che nutriva per quel giovane uomo, il cui primo figlio – all'epoca – portava in grembo(3). A dispetto dell'enormità della confessione, Alberto si era comportato in maniera straordinariamente coraggiosa: la moderazione e la franchezza con cui aveva affrontato il problema avevano soltanto aumentato la stima della sovrana per il marito.
Lasciare che egli sapesse, però, era ben diverso dal concedergli di partecipare: Vittoria non aveva mai desiderato coinvolgerlo. E ciò significava escluderlo dagli appuntamenti a Westminster.
Era già abbastanza rischioso e difficile che lei sola si allontanasse da palazzo senza suscitare l'attenzione. Figurarsi se entrambi avessero dovuto affrontare quelle escursioni notturne!
No, il meglio che il Principe consorte(4) potesse fare in quei casi era assicurarsi che nessuno, per intento o per caso, badasse agli spostamenti di Sua Maestà.
Un solo pettegolezzo avrebbe potuto rovinarla per sempre.
Era sufficiente che il più piccolo frammento della verità venisse a galla per compromettere irrimediabilmente la stabilità dell'Impero e la fiducia nella Corona. Dopo quanto già avevano saputo affrontare insieme(5), come potevano lasciare che quel segreto cadesse nelle mani sbagliate?
Per questo, una volta al mese, il Principe Alberto frenava il proprio istinto – che era quello di proteggere la propria sposa e non lasciare che si avventurasse da sola nella notte per incontrare un mago – e vegliava sul palazzo addormentato.

Vittoria gettò un rapido sguardo alla strada.
Era completamente sgombra, isolata, mal illuminata: quel punto era stato prescelto proprio per garantire la maggiore sicurezza possibile per l'identità di Sua Maestà. Con la veletta ben sistemata sul volto, le vesti scure ed austere, la regina avrebbe potuto essere facilmente scambiata per una qualunque vedova(6). Se non altro perché sarebbe stata necessaria parecchia fantasia per credere che una sovrana potesse decidere di aggirarsi per Londra, nella notte, senza scorta né compagnia.
Una prospettiva che la stessa Vittoria detestava: aborriva l'idea che una donna potesse esporsi a quel modo a situazioni disonorevoli.
Lei vi era costretta dalle circostanze, chiamatavi dalla stessa sicurezza della Corona, ma in diverse condizioni mai si sarebbe permessa di agire contro il proprio status, contro la morale e la buona creanza. Pure qualcosa bisognava sacrificare, almeno per una notte, per uno scopo più alto.
Vittoria non era certo quel sultano Harun Rashid(7), che cavava piacere dall'aggirarsi in incognita come l'ultimo dei criminali, esponendosi a pericoli d'ogni sorta e ad avventure lascive.
Non a caso la sua espressione, sotto il velo nero, era di piena contrarietà. Un volto che, un tempo difficile da immaginarsi non al colmo dell'ira ma persino intento a manifestare qualche cipiglio, aveva invece imparato ad esprimere una profonda, sbalorditiva fermezza.
Se qualcuno avesse potuto sbirciare sotto la veletta, avrebbe compreso due cose almeno di Vittoria del Regno Unito. La prima era che ella si trovava lì, quella notte, per uno scopo preciso. La seconda che non avrebbe abbandonato il campo prima d'averlo conseguito.
Quel che nessuno avrebbe compreso, pur nella posizione di poter osservare i tratti di Sua Maestà, sarebbe stata la natura dello scopo. Oh, no, Vittoria aveva imparato da anni, fin quando era stata in grado di comprendere, come dominarsi in simili circostanze.
In questa notte, ad esempio, era particolarmente affaticata.
Ben lungi, però, dal lasciarlo trasparire dai propri movimenti! No, ella si muoveva, senza indugi né ripensamenti, dalla carrozza all'ingresso dell'abbazia, e quindi al suo interno.

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