Capitolo XXXI - A Slumber Did My Spirit Seal

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A slumber did my spirit seal;
I had no human fears:
She seemed a thing that could not feel
The touch of earthly years.
No motion has she now, no force;
She neither hears nor sees;
Rolled round in earth's diurnal course,
With rocks, and stones, and trees(2).

(W. Wordsworth, A Slumber Did My Spirit Seal, Lyrical Ballads )

Emerse dalle tenebre come da acque profonde.
Il buio, da denso e vischioso, si fece crepitante: erano suoni ovattati, distorti, come provenienti dal fondo di un pozzo – sempre che non fosse lei ad essere stata gettata giù, giù ed ancora più giù, fino a dove la profondità non si sarebbe trasformata nel puro nulla.
La sua coscienza, però, tornò a destarsi.
Con lentezza, cominciò ad aggrapparsi a quei piccoli rumori. La sua mente non era ancora in grado di ordinarli, di riconoscerli, ma i suoi sensi ne venivano già solleticati: li lasciava affluire in sé, caldi e confortanti.
Non riusciva a comprendere quale fosse la posizione del proprio corpo. Era come assiderata, rinchiusa in un bozzolo che le impediva di conoscere il mondo circostante, ma anche le proprie stesse membra. A fatica riconobbe la propria mano schiacciata sotto di sé, quando prese a dolerle.
Dopo quel primo allarme, tutto il corpo cominciò a farle male.
Si sentì invasa da una spossatezza dolorosa e si rese conto di aver schiuso le labbra per gemere, ma di avere la bocca troppo secca per farlo.
Piccoli crampi si accesero nei muscoli delle braccia e delle gambe. Cominciò a provare l'impulso di piangere, anche se la sua mente non riusciva a mettere a fuoco un valido motivo per le lacrime.
Aveva le palpebre pesanti. Quando cercò di aprirle, ricaddero immediatamente chiuse.
Tentò ancora e non cambiò molto: intorno era così buio, instabile, prevalentemente confuso. Le forme oscillavano davanti ai suoi occhi e se ne sentì nauseata. Strinse le palpebre, cercando di ritagliare un luogo accogliente e sicuro nei recessi della propria mente affaticata.

Poi li sentì.
Fruscii, simili a passi. No, non simili: veri passi, attorno a lei.
Ebbe soltanto tempo di capire che qualcuno si stava avvicinando, prima che cominciassero le voci.

- Hermione! –
Il mio nome.
- Hermione, sei tu? Ehi, da questa parte, presto! Ho trovato Hermione –
Neville.
- Oh, sia lodato Godric! Signorina Granger, può sentirmi? –
La McGranitt.
- Merlino, non apre gli occhi...ma è viva, non è vero? E' viva –
Neville.
- Signor Paciock, dobbiamo portarla in infermeria, immediatamente. Può farcela da solo? –
La McGranitt.
- Io...sì, certo –
Neville.
- Allora lo faccia subito, signor Paciock. Del resto mi occuperò io –
La McGranitt.

E poi il mondo che si rovesciava, mentre il suo corpo veniva sollevato. Per un momento le sembrò di non poter respirare, non così, non quando le sue membra venivano strappate alle ultime vestigia di un sonno che le sembrava durato anni ed anni.
Però il respiro tornò, non del tutto regolare, ma era lì.
Anche i suoi sensi intorpiditi parvero riprendere le proprie normali attività. Improvvisamente il mondo riacquistò consistenza, spessore. Sentiva chiaramente il proprio corpo affidarsi alla presa di Neville – chi avrebbe mai detto che potesse essere così salda?
Tutte quelle informazioni, che improvvisamente la raggiungevano, suscitarono una nuova ondata di nausea. Cercò di concentrarsi sullo scacciarla, ma lo sforzo prosciugò le poche energie.

Nei sobbalzi provocati dal trasporto, la testa di Hermione ricadde all'indietro.
Aprì le palpebre. Davanti ai suoi occhi confusi danzò una sagoma bizzarra, protesa dalla cornice di pietra d'un portico.
Una larga bocca di rana, spalancata in un riso tremendo.
Membra di pietra, ma occhi vivaci, che non la perdevano di vista.
Aristofane.

Poi, il buio, di nuovo.

***

Il secondo risveglio fu più dolce.
Hermione ebbe l'impressione che qualcuno le tenesse la mano.
Serrò appena le dita, per impossessarsi di quella sensazione. La sua stretta fu ricambiata, persino con eccessiva energia. La ragazza allora prese fiato e, lentamente, schiuse gli occhi.
- Hermione...-
La strega sentì le proprie labbra aprirsi in un sorriso, prima ancora di poterlo pensare.
Le lenzuola del San Mungo avevano la lieve rigidezza della biancheria pulita. Non era spiacevole, come non lo era lo sguardo che la ragazza si ritrovò ad incrociare.
- Harry
Sorrise di nuovo e strinse più forte la mano del mago.
Harry Potter era proprio davanti a lei, in carne ed ossa. Non aveva un gran bell'aspetto, ma dopo tutto non peggiore di quello che gli aveva visto cucito addosso nel giro dell'ultimo anno.
Pallido, piuttosto smagrito, gli occhi cerchiati di scuro. Qualche graffio sul viso, ma nulla di serio, almeno all'apparenza.
- Come ti senti? – le domandò, avvicinando la sedia al lettuccio d'ospedale. Ci fu un leggero stridio sul pavimento lucido ed Hermione si rese conto di avere la testa pesante.
- Intontita – ammise, infatti, con una leggera smorfia. Aveva dovuto riflettere per formulare il proprio giudizio sul proprio stato: il suo corpo, come la realtà circostante, le sembrava ancora qualcosa di cui dubitare.
Harry annuì ed in quel momento, appena prima che gli occhi verdi del ragazzo le sfuggissero nel movimento del capo, la Gryffindor si rese conto che molto era cambiato.
Oh, quello era sicuramente Harry Potter, con la sua inconfondibile cicatrice. Ed era affettuosa la sua stretta sulla sua mano, piena di premura la sua voce.
Era proprio il suo caro, prezioso Harry.
Ma c'era in lui qualcosa di spezzato: la speranza? La fiducia?
Il cervello di Hermione prese a muoversi, goffo e spaurito, attorno ai pochi dati raccolti dal momento del suo risveglio. Se il Bambino Sopravvissuto era lì con lei e quello era proprio il San Mungo, e non una lurida prigione, non c'era che una spiegazione: avevano vinto.
Non più Voldemort, non più i suoi Mangiamorte, non le persecuzioni.
Chiuse gli occhi, mentre sollievo ed angoscia si cristallizzavano in un'unica domanda.
Quanto è costata questa vittoria?
- Sei qui da lungo tempo, Harry? – chiese, invece. La propria voce le sembrò strana, leggermente stridula: dovevano essere le pozioni di cura, oppure il timore di assalire l'amico di domande le cui possibili risposte la terrorizzavano.
- No, non da molto. I medimaghi hanno informato la professoressa McGranitt che vi erano i segni di un imminente risveglio e lei ha avvisato me. Sono qui soltanto da un paio d'ore –
- Per quanto tempo sono rimasta incosciente? –
- Due giorni –
- Co...cosa? Due interi giorni? –
Harry sbatté rapidamente le palpebre e si sistemò gli occhiali sul naso. A ben guardare, forse una delle asticelle era un poco storta.
Il giovane mago osservava distrattamente gli altri due letti della stanza, vuoti.
- Ero...ero molto preoccupato, Hermione. Non eri ferita, quando ti hanno trovata, se escludiamo qualche livido – le spiegò, con voce accorata - I medimaghi ci hanno detto che stavi semplicemente dormendo, che eri molto stanca e non si poteva far altro che lasciarti riposare. Ma io ero talmente preoccupato, Hermione, così terrorizzato da questo tuo sonno e se ti fosse accaduto qualcosa... – si bloccò e si prese il capo fra le mani.
La strega tentò di allungarsi verso di lui. Avrebbe voluto abbracciarlo, posare una mano fra i suoi capelli, oppure sistemare quella sciocca asticella deformata. Desiderava disperatamente potersi aggrappare a qualcosa, a qualcuno...avere prove di quella realtà alla quale si era destata. Persino il dolore di Harry le sembrava qualcosa di cui potersi fidare, capace di ridare spessore alla ridda di fantasmi che occupava la sua mente intorpidita.
Dovette invece ricadere contro il cuscino, perché non aveva ancora energie sufficienti.
- Non fare così Harry, te ne prego... – pigolò, intimorita dal silenzio.
- E' stato spaventoso – le disse il ragazzo, di colpo, come raggrinzendosi sulla sedia.
- Parlamene. Dimmi ogni cosa – lo invitò Hermione, dolcemente.
Lo chiedeva per lui, che sembrava poter esplodere da un momento all'altro. Lo chiedeva per se stessa, perché aveva bisogno di ristabilire un confine fra realtà e sogni, fra vita e morte.
Harry quasi balzò sulla sedia al suo invito. Scosse il capo, con un'espressione improvvisamente dura.
- No, no, sono uno sciocco...dovrei chiamare il medimago di turno. Ti sei appena svegliata e forse sarebbe meglio che qualcuno ti visitasse e si sincerasse...-
- Harry, per Merlino! – sbottò lei, con una nota di esasperazione – I medimaghi avranno tutto il tempo di visitarmi più tardi. Non ho bisogno di tornare a dormire, ma ho bisogno che tu stia qui e che tu risponda alle mie domande –
Il giovane si fece sfuggire il primo vero sorriso. Per un momento l'ombra nei suoi occhi si dissolse e lei rivide il suo caro, impavido Harry.
- Vedo che stai abbastanza bene da darmi ordini – le riconobbe.
- Oh, non so che faresti senza di me, Harry Potter...-
Si guardarono, ancorandosi a quel piccolo momento di agio che si ristabiliva fra loro.
Questo era qualcosa che poteva sopravvivere anche alla guerra: la petulanza di Hermione Granger, la riluttanza di Harry Potter ad accettare i buoni consigli. La loro amicizia.
- Va bene – si arrese il ragazzo, scrollando le spalle – Dimmi cosa vuoi sapere –
Presa in contropiede, la Gryffindor si fece immobile.
Oh, c'era molto che desiderava scoprire, ma era difficile formularlo senza sembrare completamente folle. Inoltre c'erano delle priorità: avrebbe dovuto chiedergli della battaglia, delle condizioni dei loro amici, dello stato di Hogwarts, di quale fosse la situazione attuale del Mondo Magico.
- In che condizioni mi hai ritrovato? –
Partire da se stessa era il miglior compromesso cui riuscisse a pensare, al momento.
- Non sono stato io a trovarti – la contraddisse l'amico - E' stato Neville. Mentre la professoressa McGranitt ha deciso di farti trasferire dall'infermeria al San Mungo, per ricevere migliore assistenza. Ad Hogwarts hanno curato soltanto i feriti più lievi – le spiegò.
Hermione annuì appena, meccanicamente. Come fosse arrivata al San Mungo le sembrava, dopo tutto, meno fondamentale dei momenti precedenti l'arrivo dei soccorsi.
Ingrata. Neville Paciock e la professoressa McGranitt si erano occupati di lei e lei stava sminuendo la notizia in cuor proprio. Avesse avuto maggiori energie, la strega si sarebbe presa a schiaffi. Forzò un sorriso e cercò di concentrarsi sui ricordi più recenti.
- Sì, Neville...credo di essermi accorta di lui, ma non ero certa se fosse un sogno o meno –
- Non lo era. Non so nemmeno dove abbia trovato energie per portarti fino all'infermeria! –
- Spero di rivederlo presto...lui e tutti gli altri – specificò la ragazza.
L'espressione sul volto di Harry Potter la raggelò. Gli occhi verdi del mago sfuggirono i suoi, una volta ancora. Hermione dovette deglutire un paio di volte prima di riuscire a pronunciare una piccola, ma fondamentale sillaba.
- Ron? –
Harry si guardò le mani e strofinò le dita sulle ginocchia coperte dai jeans.
- E' stato qui ieri, a lungo, ma oggi è con la sua famiglia –
C'era qualcosa nel modo in cui il ragazzo aveva detto famiglia che spaventò la strega.
- Harry...-
- Fred è morto(3)

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