Capitolo Cinque

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Cristiano

Il bicchiere in cui ho appena bevuto un caffè troppo forte e troppo acido cade nel cestino della plastica, con un rumore sordo che non dura più di un nanosecondo. Mi rendo conto che quello che ho appena bevuto è stato il quinto caffè della giornata. Anzi, della mattinata, l'orologio appeso al muro mi informa che non è ancora passata l'una.

Mi passo la lingua sulle labbra, il sapore del caffè ancora fresco in bocca. Sbatto più volte le palpebre, ho gli occhi che mi bruciano. Stanotte sono riuscito ad arrivare alle quattro ore di riposo, quasi un record per me. Devo fumarmi una sigaretta. Forse l'ottava della mattinata.

«Dottore!»

Riconosco la voce senza nemmeno aver bisogno di voltarmi. Socchiudo gli occhi e cerco di dosare il respiro. Che diamine vuole ora D'Alberti?

«Dottore.» Si blocca a meno di venti centimetri da me. Lo guardo. Da quanto tempo non si cambia questa camicia? Cinque giorni? Meglio non pensarci. Punto gli occhi negli occhi del mio sottoposto, piccoli e azzurro cielo, incastrati in una faccia gonfia a causa di tutti quei cornetti che mangia la mattina.

«Che succede?»

«È tornata.»

«Chi è tornata?»

«La giornalista.»

Ora gli do un pugno. Fa sempre così. Mai una volta che desse un'informazione completa, sempre a mozzichi e bocconi. Quando correggo i suoi verbali insulto i suoi antenati fino al Medioevo. Prendo un bel respiro.

«Quale giornalista?»

«Quella del De Monarchia

E ci voleva tanto?

«Ancora lei?»

«Dice che vuole parlare con lei.»

Gli darei fuoco a tutti quei maledetti giornalisti. Li eliminerei tutti, brucerei l'albo, farei qualunque cosa pur di togliermeli dalle palle. Non sono mai contenti, quegli infami. Andassero a rompere l'anima al Questore e si levassero di torno. Alzo lo sguardo oltre D'Alberti e vedo l'inviata del De Monarchia. Sono giorni che mi tormenta.

«L'avete fatta entrare?»

Ho alzato troppo la voce, ma non mi importa. Afferro D'Alberti per il braccio e lo sposto oltre la parete. I suoi occhi piccoli si allargano.

«E che potevamo fare? La stiamo cacciando da una settimana!»

Una giustificatissima rabbia comincia a salirmi dallo stomaco, insieme a un impellente desiderio di mettermi a dare pugni contro il muro. D'Alberti ha iniziato a guardarsi i piedi, è pronto a scappare da un momento all'altro. Tiro fuori l'aria e conto fino a dieci.

«Va bene, vado a parlarle.» Il mio tono di voce è tornato normale. Guardo di nuovo l'agente D'Alberti e mi fa un po' pena.

«E che le dice?» fa lui. «Non abbiamo niente sul killer della Principessa!»

Faccio un gesto con la mano. «Ma quale killer, se è ancora viva.»

E pure antipatica, ma questo evito di dirlo.

«E io che ne so, la chiamano così sui giornali!»

Appunto, quei giornali maledetti. «Ci penso io.»

Abbandono D'Alberti, senza ricordarmi di guardarlo. In realtà non ho idea di cosa dire alla giornalista, dato che le indagini sono a un punto fermo, ma qualcosa inventerò.

«Mi stava cercando, Signora...»

No, non sto facendo finta. Mi ritengo un bravissimo poliziotto, ma con i nomi faccio veramente schifo. Tuttavia, questa è una giornalista famosa, a quanto pare è lei che si occupa ufficialmente della Famiglia Reale italiana.

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