Capitolo Cinquanta

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Il rumore della porta che viene chiusa, con un po' troppa veemenza, lo costringe ad aprire gli occhi. È sveglio da un po', ma si sente esausto, come se avesse corso per ore e finalmente si fosse fermato. Ha gli arti intorpiditi, il cervello pesante, la vista annebbiata, ma la sensazione di stare bene. L'ha sentito il dottore, quando gliel'ha detto. L'operazione è stata un successo, ci metterà un po' a riprendersi, ma tornerà come nuovo. Magari all'inizio gli farà male l'addome, a causa della ferita, dovrà tenere i punti per qualche tempo, ma non deve preoccuparsi, è stato fortunato, il proiettile non ha colpito alcun organo vitale, è andato tutto per il meglio. Grazie dottore, gli ha risposto, con un filo di voce, stava per chiedergli cosa è successo e per quale ragione si trova su questo letto d'ospedale, ma poi ha ricordato. Il discorso del Re e della Presidente del Consiglio, Veronica accanto a lui, il rumore degli spari. Sta bene Veronica? Il dottore ha sorriso e ha risposto che sì, la Principessa sta bene, anzi, forse è stato anche un po' merito suo se si è ripreso, perché ha avuto la prontezza di premere forte sulla ferita, prima che arrivassero i soccorsi. Stanno tutti bene, non deve preoccuparsi. È stato un eroe, ha salvato l'erede al trono, la destinataria di quelle pallottole. L'hanno preso, quel criminale, è stato prontamente arrestato dalla Polizia presente sul posto. C'è qualcuno per lui, lì fuori, il dottore gliel'ha detto senza che lo chiedesse per primo. C'è la sua famiglia, c'è un suo amico, c'è anche la Principessa Veronica. Quale amico? Al dottore è sembrato di capire che si chiami Paolo. Stava per andare a chiamare suo padre e sua madre, ma lui ha detto di no, perché voleva Paolo. Può far entrare prima lui? Certo che può far entrare prima lui, ci mancherebbe, però non deve sforzarsi troppo, d'accordo?

«Ciao.»

Sono passati due mesi, o forse di meno, non ricorda l'esatto giorno in cui se n'è andato di casa, ma è comunque tanto tempo. Hanno trascorso gli ultimi cinque anni l'uno accanto all'altro e gli ultimi tre condividendo lo stesso tetto e ora non hanno più contatti. Josh non ha mai risposto a nessuna delle telefonate che Paolo ha provato a fargli.

«Ehi.»

Ha i capelli più lunghi. Josh capisce subito che non li ha più tagliati da quando si sono lasciati, ed è strano, perché Paolo è una persona molto curata, che si fa la barba tutti i giorni e non lascia mai che le basette diventino troppo lunghe. Ha lo sguardo stanco, gli occhi rossi e la camicia stropicciata. Sembra molto stanco. È molto bello, pensa Josh, anche se non vorrebbe pensarlo. Non avrebbe voluto nemmeno chiedere di vederlo per primo, perché non se lo merita. Si merita di essere mandato via, per quello che gli ha fatto, si merita solo il suo odio e quello dei suoi genitori. È quasi tentato di cacciarlo, ma non esce nulla dalla sua bocca. Lo guarda avvicinarsi al suo letto e sedersi su una sedia della quale Josh non si è nemmeno accorto. Paolo si azzarda a guardarlo. Si vergogna.

«Non so da che parte cominciare...» mormora. Gli sfiora la mano e Josh è troppo debole per sottrarsi a quel contatto fisico. Paolo lo prende come un incoraggiamento.

«Sono così felice che tu stia bene.»

Gli trema la voce ed era sul punto di rimettersi a piangere. Josh guarda i suoi occhi riempirsi di lacrime. Tira su con il naso e cerca di trovare le parole.

«Ho pensato che...» si interrompe, mordendosi l'interno guancia per fermare la commozione. Josh non ha detto una parola fino adesso. Paolo tiene ancora la mano sulla sua. Josh la sposta e incrocia le loro dita.

«Sto bene, Paolo», dice, a voce bassa. Forse è merito della morfina se non prova dolore. Forse è semplicemente la presenza di Paolo a farlo stare bene, finalmente, dopo due mesi.

«Il dottore ha detto che sono stato fortunato, il proiettile non ha colpito nessun organo vitale», continua. «Sono il solito sculato, lo so.»

Paolo si mette a ridere. Gli stringe la mano ancora più forte.

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