XLV

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Un forte mal di tempie mi fa spalancare gli occhi e rotolare giù dal letto in un tonfo.

Solo quando un soffio di vento gelido mi solletica le gambe mi accorgo di essere avvolta solo da un telo bianco, e che la finestra è aperta.

In un verso stridulo provocato dal dolore della caduta, mi metto seduta sul parquet iniziando a massaggiarmi le tempie.

I capelli umidi e imbrogliati sulle spalle, le punte dei piedi gelate e le labbra che hanno un sapore ben preciso, che riconosco subito.
Presto mi accorgo che anche l'aria sa della stessa persona.
Eppure ieri non ricordo di averlo visto.

Ricordo di averlo desiderato, di averlo atteso, di aver pianto nella vasca, e di essermi addormetata lì, immersa in un'acqua ormai gelida e infreddolita dall'assenza delle sue braccia.

Poi, il vuoto.

Le labbra sanno di lui, la lingua di alcol e fatico a credere che il mio subconscio abbia trasformato il sapore del vino nel sapore di lui.
È stato qui.
Tutto lo urla, il profumo che pervade la stanza, le mie labbra, la finestra spalancata, i brividi della mia pelle.
Ma la mia mente non vuole proprio ricordare.

Mi sollevo, lanciando uno sguardo disinteressato all'orologio.
Resto qualche secondo a fissarlo, attendendo che la mia vista si nitidizzi, poi ghiaccio sul posto.
È tardi, e non solo è tardi, ma è anche uno dei giorni che ho più atteso questo mese.
Il giorno del concorso di arte.

Mentre indosso ciò che mi capita a tiro, mi piace fantasticare e inventarmi i ricordi, magari che lui è stato qui, mi ha sorriso, mi ha baciata, mi ha sussurrato parole che forse nemmeno ha mai pensato, e poi mi ha salutata in una carezza sgattaiolando via dalla finestra.

Oppure semplicemente non è mai stato qui, non mi ha mai baciata, non mi ha sussurrato niente e la finestra è stata aperta da una semplice folata di vento che è entrata in piena notte a ricordarmi che a dividerci c'è l'intero cosmo.

Mi riscuoto dai miei pensieri quando qualcuno bussa alla mia porta.
-Avanti- urlo.

Il viso di Jane, sbuca da uno spiraglio, sciolto in un'espressione rilassata e felice.
-Hai fatto la doccia?-

Mi tocco le punte umide dei capelli, e annuisco infilando le scarpe.
-Bene, volevo dirti che è passata Judit, stamattina.- sobbalzo sul posto.

Judit.

-Le ho offerto una fetta di crostata ma ha rifiutato- sbuffa un sorriso.
-Voleva vederti, ma tu dormivi, così è andata via- Jane avanza verso il mio letto, e prende posto al mio fianco, mentre allaccio le scarpe assorta nei pensieri.

Mi guarda, in attesa.
-Lhena, Judit non rifiuta mai la fetta di una mia crostata-

Sospiro, fissando davanti a me.
Judit ha sempre amato le sue crostate.
Di mia madre invece amava i vestiti che le faceva su misura. Amava quelli in seta e di color porpora.

Una mano, calda e familiare, si posa sulla mia schiena.
-Cosa è successo?-

Sospiro, ancora.
Tutto quello che non credevi possibile.
-Niente-

-Definisci niente-

Lascio cadere il piede a terra, posando il capo sulla sua spalla.
Ogni volta che mi confido con Jane, mi torna in mente mia madre.

-Credo sia colpa mia, Jane- mormoro, contro la sua spalla.

-Perché?-

-Perché sono felice e non dovrei esserlo, sono felice nel modo sbagliato-

Fiori Di NarcisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora