5.

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𖥸

𝓒olpii ripetutamente il modem e imprecai senza tenere più il conto di quante ne avessi già sputate fuori da più di due giorni. «Cazzo ma perché non funzioni?!». Strillai furiosa e gli lanciai un calcio che lo fece volare dall'altra parte della stanza da letto dei miei.

«Cazzo!». Presi la prima cosa vicina che mi capitò, un vaso dove la mamma metteva sempre i fiori che le regalava giornalmente mio padre e che adesso era giustamente vuoto, e lo frantumai a terra.

Passata la rabbia momentanea, dettata dallo stress che avevo subito in quei giorni, mi inginocchiai per pulire tutto.

Non riuscivo ad usare internet, di conseguenza il pc mi era praticamente inutile perché non potevo fare le ricerche per il mio esame e neanche fare l'esame online, la notte la passavo a mangiare senza sosta anche se non avevo fame e non mi fermavo finché non insorgeva la nausea e durante il giorno digiunavo dai sensi di colpa. Ero perennemente sola, senza Verity e Dagon, senza un singolo sms di mia madre o l'ironia perenne di mio padre e non mi ero mai sentita prima così sbagliata.

Wrong, lo diceva anche la mia mano, e la voglia di strapparmi la pelle di quel punto a morsi aumentava ogni minuto di più. Presi un respiro profondo e mi alzai, ma la poca acqua che era rimasta nel vaso e che ora era a terra mi fece scivolare. Caddi in avanti e per pararmi il viso utilizzai le mani.

Le mille schegge di vetro mi si conficcarono in ogni punto della mano e grugnii di dolore, cercando di fare presa sulle ginocchia per rialzarmi e non sulle mani. «Cazzo!». Sibilai.

Andai in bagno furiosa, non sapevo dire se con me stessa o con la vita, e mi fasciai le mani con della garza bianca che assorbì quasi immediatamente le gocce di sangue scarlatto che avevano iniziato a sgorgare dalle ferite. "Okay, Melody, con calma" mi dissi.

Agguantai il telefono e sulle pagine gialle degli elenchi telefonici che era posato sul tavolino vicino l'ingresso, di cui ora comprendevo l'utilizzo, cercai il numero di un tecnico che avrebbe potuto risolvere il mio problema con internet.

«Salve, avrei un problema da risolvere con internet. Non va proprio, quasi come se non ci fosse linea in casa mia... è possibile avere il vostro aiuto?». Chiesi al telefono, mordicchiandomi le unghie in stato già pietoso e come se non stessi perdendo sangue sotto le garze.

Ci furono delle voci di sottofondo dall'altro capo e poco dopo una voce rauca e strana, quasi divertita o forse entusiasta, finalmente rispose alla mia richiesta. «Certo, signorina. Ci dia l'indirizzo e saremo da lei in poco tempo».

«46 Summit Ave, graz-». Appena pronunciai l'indirizzo, senza dire nient'altro, mi attaccarono in faccia. Battei le palpebre sconvolta e fissai il telefono.

«In questa città c'è un alto tasso di problemi neurologici e comportamentali». Mormorai.

Aspettai con pazienza ed effettivamente arrivarono presto, perché neanche 10 minuti dopo la fine della chiamata il mio campanello suonò. Dal piano superiore, dove avevo appena gettato le prove del vaso distrutto, corsi all'entrata e spalancai la porta.

«Salve, potete-».

«Salve? Da quando mi dai del lei?». Un paio di occhi grigi mi fissarono sgomenti.

Si concentrò sulle mie parole e mi squadrò da capo a piedi con una minaccia velata nello sguardo. «Un momento, "potete"? Aspettavi qualcuno oltre me?».

«In realtà a te non aspettavo proprio, se dobbiamo dirla-».

«Melody». Mi richiamò bruscamente.

Sbuffai. «Anche se fosse?». Mi resi conto solo ora del vino rosso che teneva in mano e di qualcosa che aveva nascosto dietro la schiena.

Il rombo di un furgoncino ci disturbò e gli feci segno di entrare, oltre che di muoversi, e poi mi affrettai a spiegare. «Ho chiamato l'assistenza per il Wi-Fi, non riesco a navigare in nessun modo e non posso vivere così con l'università in mezzo».

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