24.

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FASE DUE

𖥸

Cayman

𝓥ederla mangiare era sempre, per me, uno spettacolo unico. La guardavo con occhi pieni di ammirazione, sapendo quanto per lei fosse difficile questa semplice ed essenziale azione negli ultimi anni.

Spesso mi ero arrabbiato nel vederla evitare gli specchi, tanto che neanche si truccava molto, o nascondersi in felpe e maglioni più larghi. L'odio che provava nei suoi confronti era così grande che il solo pensiero mi nauseava, sapendo di non poter fare nulla per aiutarla.

Mi beccò a fissarla, mentre si portava alla bocca l'ultima piena forchettata di tavë prizreni, che aveva molto apprezzato. Sapevo che non andasse pazza della carne, perciò invece che preparare il tavë kosi o tavë dheu, i miei preferiti poiché sempre cotti al forno ma nella versione con carne, avevo deciso di prepararle la versione vegetariana.

«Perché mi fissi con quello sguardo?». Chiese.

Mi portai le mani sotto al mento e sorrisi con innocenza. «Quale sguardo?».

Prese un sorso di vino. «Come se vedermi mangiare ti saziasse l'anima».

«Tu mi sazi l'anima con ogni cosa che fai». Le feci l'occhiolino per smorzare l'importanza di quello che avevo detto e iniziai a sparecchiare, rimproverandola con lo sguardo quando si alzò per aiutarmi.

In poco tempo, in due, la tavola tornò pulita, e quando la vidi pulire i piatti le agguantai le mani per lavarli insieme. Di solito lo facevo solo io e lo preferivo, perché volevo che lei smettesse di pensare dopo mangiato, per evitare che si concentrasse su quante calorie avesse ingerito o a fare calcoli su cosa avrebbe dovuto fare per smaltirli.

«Che fai?». Ridacchiò, e il mio mondo incolore divenne un po' più colorato.

Sorrisi spontaneamente. «In due si finisce prima».

In silenzio insaponai ogni piatto usufruendo delle sue mani e poi lo sciacquammo sotto il getto d'acqua calda, ogni tanto le schizzai sul viso delle bolle di sapone e lei ripeté il gesto con l'acqua. Era inutile, con lei provavo una pace nel cuore che silenziava ogni mio brutto pensiero.

Quella pace di cui parlavo venne totalmente distrutta e cadde ai miei piedi infranta come vetro quando l'acqua calda divenne bollente, probabilmente un grado prima di una possibile ustione, e Melody si tirò indietro con un urlo. Indietro, dove c'ero io, ancora poggiato sulla schiena, e il suo sedere batté sul cavallo dei miei pantaloni.

Emisi un grugnito involontario, mentre le mutande iniziavano a starmi strette, e la vidi voltarsi con preoccupazione. «Scusami, Cay! Ti ho fatto male?».

«Male non è esattamente la parola giusta». Ammiccai, togliendole il ciuffo di capelli da davanti il viso. Era così bella da farmi venire voglia di baciarla ogni minuto della fottuta giornata, ma dovevo mantenere il controllo se non volevo bruciare le tappe.

Abbassò lo sguardo sulla patta dei miei pantaloni, che adesso non erano affatto piatta, e si leccò le labbra, mordendole per non far uscire un sorrisino. Non so se mi eccitò di più il suo sguardo lì, la sfida che aveva in quei bellissimi occhi marroni o il fatto che ormai aveva il mio stesso modo di sorridere.

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