15.

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𖥸

«𝓟ossiamo-». Inspirai ed espirai, cercando di calmare il mio battito, mentre le mie gambe tremavano come budini. «Possiamo fermarci un po'?». Ritentai.

La voce di Cayman arrivò dalle mie spalle. «Non lo so, lo sai tu se possiamo fermarci. Guarda».

«Ma io non ho tutta questa esperienza come te!». Ribattei stanca.

Sbuffò e finalmente mi raggiunse, posando un piede sulla collina e issandosi facendo leva sul ginocchio. Si posò le mani sui fianchi e osservò il panorama. «Sì, siamo arrivati».

«Oh cielo, grazie. Grazie grazie grazie». Mi piegai sull'erba e alzai le mani verso il cielo, sotto il suo sguardo divertito.

Cadde al mio fianco, di sedere, e poggiò le braccia sulle ginocchia, inclinando la testa all'indietro. Aveva il solito cappello con la visiera, stavolta azzurro come la mia felpa, che aveva reso i suoi occhi quasi celesti. Lo avevo notato mentre scalavamo la collina, quando ancora era giorno, perché adesso era notte piena e la città era un tumulto di lucine e palazzi scuri, tutto sui toni grigi come ricordavo dal giorno dell'escape room.

«Menomale che fai sempre le corse mattutine eh». Ironizzò, riferendosi al mio fiato corto.

Mi morsi le labbra per trattenere un sorriso. «Appunto, corse mattutine, non escursioni». Rise.

«Sono così stanco». Sospirò poco dopo, stendendosi.

«Riposiamoci un po', dai».

«Sei dolce, qëtesi, ma la mia stanchezza non ha nulla a che fare con la mia condizione fisica».

«Oh... beh».

«Non ti capita mai di svegliarti e sentire di più il peso del mondo sulle spalle rispetto agli altri giorni? É devastante. La gente ti chiede cos'hai e tu non sai neanche che rispondere, perché nemmeno tu sai cosa non vada. In quei giorni senti tutto in modo diverso e le vecchie ferite tornano a bruciare come se fossero appena state incise sul tuo corpo. E non sai cosa fare. Sei... bloccato».

Annuii. «Bloccato in attesa che passi».

Per un po' non parlammo, finché non mi venne in mente uno dei giochi che facevamo con Dagon e Verity il sabato sera, solo da schifosamente ubriachi. «Giochiamo a "dì la tua cosa preferita"?».

«Che razza di gioco è?». Rise.

Mi strinsi nelle spalle. «Lo facevo con i miei amici ma da ubriachi, era più divertente perché non avevamo il limite della vergogna, ma sono sicura che lo sarà anche con te».

«L'hai voluto tu eh». Chiuse gli occhi e sorrise, passandosi le braccia dietro la nuca. «La mia posizione preferita è la cowgirl».

Alzai le sopracciglia così tanto che mi toccarono quasi la radice dei capelli. «Okaay...». Soffocai una risata. «La mia è la stessa».

«Sul serio?». Aprì un occhio di scatto.

«No». Gli colpii la visiera. «Volevo solo vedere la tua reazione».

Sbuffò, dicendo qualcosa in albanese che ignorai.

«La mia stagione preferita è l'autunno».

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora